In che condizioni arriverà la Terra al 2100?

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In che condizioni arriverà la Terra al 2100?

I climatologi stanno studiando una nuova serie di scenari sul futuro riscaldamento del pianeta che, a differenza dei precedenti, tengono conto anche dei diversi possibili cambiamenti nell’andamento economico, tecnologico, demografico, urbanistico e dell’istruzione in ogni paese del mondo
di Jeff Tollefson/Nature
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Quando i leader mondiali si riunirono per festeggiare l’inizio del 2050, guardarono indietro alla pandemia di coronavirus di trent’anni anni prima come a un punto di svolta nel lungo percorso fatto per mettere un freno al riscaldamento globale. Le nazioni si erano unite per sconfiggere la pandemia e ciò aveva segnato l’inizio di una nuova epoca di collaborazione per prevenire un disastro climatico. Gli investimenti sull’energia verde e sulle nuove tecnologie avevano ottenuto rapide riduzioni nei livelli di emissioni di anidride carbonica, mettendo il mondo sulla buona strada per limitare il riscaldamento globale a circa 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali.

O forse no. Nel 2050 il mondo potrebbe guardare indietro e vedere la pandemia come un evento poco più che insignificante sul percorso lungo e per la maggior parte inutile degli sforzi fatti per prevenire il riscaldamento globale. Nonostante il calo temporaneo delle emissioni di carbonio durante l’epidemia del 2020, dopo la crisi le nazioni avrebbero fatto affidamento sui carburanti fossili a poco prezzo per rianimare le loro economie. Le emissioni di carbonio sarebbero schizzate alle stelle e così, a ruota, anche le temperature, aprendo la strada a un riscaldamento di 5 °C prima della fine del secolo.

Queste sono solo due possibili visioni del futuro. Nessuno sa come andrà a finire questa pandemia, né è chiaro se prima o poi l’umanità sarà capace di unire le forze per evitare una potenziale catastrofe climatica. Però i climatologi devono esplorare quali tipi di problemi possano emergere con diversi gradi di riscaldamento. Per farlo hanno sviluppato un insieme di scenari intesi a rappresentare diversi futuri possibili che l’umanità potrebbe trovarsi ad affrontare. L’obiettivo è studiare come le diverse politiche possano alterare le emissioni di carbonio e come reagirà il pianeta a quelle quantità di gas serra.

A un estremo ci sono scenari ottimisti che esplorano mondi in cui i governi nazionali uniscono le forze per far progredire le tecnologie a basse emissioni di carbonio e allo stesso tempo ridurre la povertà e le disuguaglianze sociali. All’altro estremo si vedono gli Stati che aumentano l’uso di combustibili fossili a buon mercato per inseguire la crescita economica a tutti i costi.

Per la prima volta alcuni gruppi di ricerca hanno usato questi scenari nei maggiori modelli climatici del mondo, creando proiezioni di come il pianeta potrebbe rispondere a diversi percorsi socioeconomici. Queste simulazioni plasmeranno la ricerca sul clima per gli anni a venire e avranno un ruolo centrale nella prossima grande valutazione del riscaldamento globale condotta dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), prevista per il prossimo anno. Lo studio potrebbe avere un ruolo chiave anche nei negoziati su una nuova serie di impegni per la riduzione delle emissioni ai sensi dell’accordo sul clima sottoscritto a Parigi nel 2015.

Questi scenari aggiornano la serie che è stata usata negli ultimi dieci anni, che includeva una versione estrema (e controversa) in cui si prevede un aumento delle temperature di circa 5 °C al di sopra dei livelli preindustriali entro il 2100. I critici accusano questo scenario particolare, che ha un ruolo centrale negli studi sul clima da più di dieci anni, di essere fuorviante, perché comprende livelli improbabili di uso del carbone, con un aumento di circa cinque volte entro il 2100.

Ma molti ricercatori respingono queste critiche e affermano che anche gli scenari che prevedono emissioni così alte hanno un valore, a patto di comprenderne i limiti e i presupposti impliciti. Per esempio, un grosso rilascio di metano dal permafrost artico potrebbe avere un effetto simile a un enorme aumento nell’uso di combustibili fossili.

“Cerchiamo di capire i rischi, non di prevedere il futuro”, spiega Donald Wuebbles, esperto di scienze dell’atmosfera all’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign nonché coordinatore e autore principale del primo volume della più recente valutazione nazionale degli Stati Uniti sul clima, iniziata nel 2017.

Gli scenari non sono pensati per generare proiezioni delle emissioni, ma per studiare i diversi livelli di riscaldamento e i vari tipi di sviluppo economico. Sono d’aiuto per tantissimi ricercatori diversi: quelli che si occupano di modelli climatici li usano per mettere alla prova i loro modelli e generare proiezioni dell’impatto che avrebbe un aumento delle emissioni di gas serra; gli economisti ne hanno bisogno per studiare il costo delle varie politiche; e gli ecologisti vi fanno affidamento per prevedere i cambiamenti negli ecosistemi di tutto il mondo.

“Questa non è fantascienza”, afferma Kristie Ebi, ricercatrice che si occupa del rapporto tra ambiente e salute all’Università dello Stato di Washington a Seattle e copresidente del comitato che ha sviluppato i nuovi scenari. “Questi risultati tipo ci servono per avere informazioni sull’impatto delle nostre scelte, e adesso ciò è possibile.”

Futuri possibili
Nell’aprile 1989 un gruppo di esperti incaricati di fare previsioni sui potenziali futuri si riunì a Bilthoven, nei Paesi Bassi, per preparare la prima valutazione dell’IPCC, prevista per l’anno successivo. Gli esperti crearono scenari che descrivevano le quantità di anidride carbonica, metano e altri gas serra che le nazioni avrebbero potuto produrre nel secolo successivo. E quei possibili mondi futuri, da quelli estremamente inquinati a quelli molto puliti, costituirono la materia prima da cui gli esperti di modelli climatici generarono le proiezioni su come avrebbe reagito il pianeta.

Da allora l’IPCC ha aggiornato diverse volte i principali scenari di emissioni. Però la situazione è cambiata nel 2006, quando l’IPCC ha deciso di non occuparsi più dello sviluppo di scenari a seguito di pressioni ricevute dagli Stati Uniti e da altri soggetti, secondo i quali il compito dell’organizzazione era di valutare la scienza e non di guidarla.

Così nel 2010 un gruppo auto-organizzatosi coordinato dal climatologo Richard Moss, all’epoca al Joint Global Change Research Institute di College Park in Maryland, ha pubblicato un nuovo quadro di riferimento per la creazione e l’uso di questi scenari, inteso a guidare la ricerca per la successiva valutazione dell’IPCC, che sarebbe stata pubblicata nel 2013-2014.

Confronto fra i livelli di emissioni di CO2 secondo gli scenari RCP e gli scenari SSP (© O’Neill et al. Creative Commons Attribution 3.0)

Il gruppo ha creato una serie di quattro proiezioni dei livelli futuri di inquinamento da carbonio (chiamate RCP, Representative Concentration Pathways, cioè percorsi rappresentativi delle concentrazioni) che potevano essere usate dai gruppi di modellizzazione climatica in tutto il mondo per produrre previsioni sul destino del pianeta.

Gli RCP erano stati selezionati per descrivere diversi livelli di forzante radiativo, un numero che riflette l’aumentare del riscaldamento globale a causa delle emissioni di gas serra. Gli RCP non intendevano descrivere particolari andamenti delle emissioni né proiettare i possibili cambiamenti delle economie e della tecnologia. Quel lavoro era lasciato ad altri ricercatori, che poi avrebbero compilato gli andamenti delle emissioni che avrebbero potuto causare concentrazioni di gas serra tali da ricalcare le condizioni degli RCP.

Moss afferma che gli RCP erano stati progettati per catturare tutta la gamma di possibilità di riscaldamento presenti nella letteratura scientifica e creare un ventaglio abbastanza significativo tra le proiezioni più alte e quelle più basse, in modo che chi preparava i modelli climatici potesse differenziare tra le varie proiezioni.

Uno dei principali vantaggi del tanto criticato scenario che prevedeva un aumento di 5 °C della temperatura globale (il cosiddetto RCP8.5) è che offre un segnale potente per chi si occupa di modellizzazione. “Volevamo dare abbastanza dettagli in modo da permettere a chi prepara i modelli di fare il proprio lavoro”, spiega Moss. A proposito— L’ARTICOLO CONTINUA QUI

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