Metà della Terra è ancora relativamente intatta (nonostante l’uomo)

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Metà della Terra è ancora relativamente intatta (nonostante l’uomo)

Ci sono ancora chiare opportunità e grosse possibilità di salvaguardare con aree protette quel che rimane
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Secondo lo studio “Global human influence maps reveal clear opportunities in conserving Earth’s remaining intact terrestrial ecosystems”, pubblicato su Global Change Biology, «Circa la metà della territorio privo  ghiaccio della Terra resta senza una significativa influenza umana», un calcolo molto più ottimistico si quello fatto da studi precedenti che ritenevano abbastanza naturale solo un terzo delle terre emerse del nostro pianeta.

Per arrivare a queste conclusioni, iI team di ricercatori statunitensi, canadesi e australiani guidato da Jason Riggio della National Geographic Society e dall’università della California – Davis, ha confrontato 4 recenti mappe globali sulla conversione di terre naturali ad usi antropici e sottolinea che «La metà più colpita delle terre emerse della Terra comprende città, campi coltivati ​​e luoghi con allevamenti intensivi ed estrazioni minerarie».

Riggio sottolinea che «L’incoraggiante takeaway di questo studio è che se agiamo in modo rapido e deciso, c’è un piccolo spiraglio nella finestra temporale che abbiamo a disposizione per poter ancora conservare circa la metà dei territori della Terra in uno stato relativamente intatto».

Lo studio, che è il risultato del Mapping Intactness Workshop organizzato a maggio 2018 dalla National Geographic Society e dalla Leonardo DiCaprio Foundation, punta a fornire dati scientifici aggiornati alla prossima 15esima Conferenza delle parti della Convention on Biological Diversity – prevista per l’autunno 2020 in Cina ma che è stata rimandata a causa della pandemia di coronavirus . che tra i suoi compiti ha quello di stabilire obiettivi specifici e più elevati di protezione a terra e a mare.


Attualmente circa il 15% delle terre emerse e il 10% degli oceani sono protetti sotto qualche forma, ma la nuova direttiva europea sulla biodiversità della Commissione Ue chiede di proteggere il 30% del territorio e del mare e diverse organizzazioni, come Nature Needs Half e Half-Earth Project, chiedono ai governi di impegnarsi a proteggere il 30% delle terre demerse e del mare entro il 2030 e il 50% entro il 2050.

All’Uc-Davis ricordano che «Le terre naturali intatte in tutto il mondo possono aiutare a purificare l’aria e l’acqua, riciclare i nutrienti, migliorare la fertilità e la ritenzione del suolo, impollinare le piante e abbattere i prodotti di scarto. Il valore del mantenimento di questi servizi ecosistemici vitali per l’economia umana è stato valutato in miliardi di miliardi di dollari all’anno».

Gli scienziati evidenziano che la pandemia di Covid-19 che sta cambiando il mondo dimostra l’importanza di salvaguardare i territori naturali per separare l’attività antropica da quella animale: «Le principali prove scientifiche indicano la probabilità che SARS-CoV2, il virus che causa la malattia Covid-19, sia un virus zoonotico che è passato dagli animali all’uomo. Ebola, influenza aviaria e SARS sono altre malattie che si sono diffuse nella popolazione umana dagli animali non umani».

Un altro autore dello studio, Andrew Jacobson della National Geographic Society e del Catawba College, spiega che «Il rischio umano per malattie come Covid-19 potrebbe essere ridotto bloccando il commercio e la vendita di animali selvatici e riducendo al minimo l’intrusione umana nelle aree selvagge. Una pianificazione territoriale e nazionale dell’utilizzo del suolo che identifichi e adatti le zone più adatte alla crescita urbana e all’agricoltura potrebbe aiutare a tenere sotto controllo la diffusione dello sviluppo umano. Sarebbe anche utile stabilire protezioni per altri territori, in particolare quelli che attualmente vivono a basso impatto umano».

Tra le aree a basso impatto umano più ampie ci sono le vaste distese di foreste boreali e tundra in tutta l’Asia settentrionale e il Nord America e i grandi deserti come il Sahara e l’Outback australiano. Tutte aree che tendono ad essere più fredde e/o più secche e meno adatte all’agricoltura.

Un altro autore dello studio, il geografo Erle Ellis dell’università del Maryland – Baltimora, sottolinea che «Sebbene gli utilizzi antropici del territorio minaccino sempre di più gli habitat naturali rimanenti della Terra, specialmente nelle aree più calde e ospitali, quasi metà della Terra rimane ancora in aree senza un uso intensivo su larga scala».

Le aree a bassa influenza umana non escludono necessariamente le persone, il bestiame o la gestione sostenibile delle risorse. I ricercatori dicono che «Una risposta equilibrata alla conservazione che affronti la sovranità sulla terra e soppesi l’agricoltura, gli insediamenti umani e altre esigenze di risorse con la protezione dei servizi ecosistemici e della biodiversità è essenziale».

Riggio conclude: «Se speriamo di raggiungere ambiziosi obiettivi di conservazione, sarà necessario Il raggiungimento di questo equilibrio. Ma il nostro studio dimostra in modo ottimistico che questi obiettivi sono ancora a portata di mano».

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