Impressione artistica della sonda spaziale Messenger in orbita attorno a Mercurio. Crediti: Nasa/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington
Pare proprio che per vivere a lungo, ai neutroni, serva una presenza positiva. Come biasimarli. I poveretti, se isolati dai protoni con i quali si accompagnano solitamente nel nucleo degli atomi, resistono solo pochi minuti. Ma quanti, esattamente?
Studi decennali di laboratorio hanno portato gli scienziati a determinare il tempo di vita medio di un neutrone “libero” con precisione dell’ordine di un secondo, ma con accuratezza insoddisfacente: risultati ottenuti con metodi di misura diversi si discostano di circa nove secondi, risultando incompatibili.
Il motivo per il quale risulta così importante convergere nella soluzione del problema è che il tempo di vita dei neutroni è un parametro importante sia in fisica nucleare, sia in fisica particellare e persino in cosmologia. In particolare, le incertezze sul tempo di vita dei neutroni attualmente dominano quelle sulle stime dell’abbondanza dell’elio primordiale, condizionando così la nostra comprensione circa la formazione degli elementi chimici durante la nucleosintesi primordiale avvenuta subito dopo il Big Bang.
Un team di ricercatori dello Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (Apl) di Laurel, in Maryland, e dell’Università di Durham in Inghilterra, ha fornito un modo che potrebbe porre fine alla situazione di stallo che dura da decenni. Si tratta della prima misurazione spaziale del tempo di vita dei neutroni, ottenuta con i dati della navicella spaziale Messenger (Nasa MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry e Ranging). I risultati sono stati pubblicati l’11 giugno sulla rivista Physical Review Research.
«Questa è la prima volta che qualcuno ha misurato la vita di un neutrone dallo spazio» dice Jack Wilson, scienziato dell’Apl e primo autore dello studio. «Dimostra la fattibilità di questo metodo, che un giorno potrebbe fornire la soluzione a questa anomalia».
L’anomalia a cui fa riferimento Wilson è proprio il disaccordo fra i due principali metodi di misura finora impiegati. Il metodo della “bottiglia” prevede di intrappolare i neutroni in una bottiglia e tracciare quanto tempo impiegano a decadere radioattivamente: in media circa 14 minuti e 39 secondi. La tecnica del “raggio” invece consiste nello sparare un fascio di neutroni e calcolare il numero di protoni creati dal decadimento radioattivo. In media, questo richiede circa 14 minuti e 48 secondi – nove secondi in più rispetto al metodo della bottiglia, per l’appunto. Un valore molto maggiore rispetto all’incertezza di misura dei due esperimenti.
La tecnica proposta per misurare il tempo di vita dei neutroni dallo spazio si basa sul fenomeno della cosiddetta spallazione, ovvero il processo di frammentazione di un nucleo atomico in seguito a collisione con particelle di alta energia.
Atmosfere e superfici planetarie sono costantemente bombardate da raggi cosmici che collidono con gli atomi presenti, rilasciando neutroni che vengono deviati verso lo spazio esterno contro la forza di gravità. La distanza dalla superficie del pianeta percorsa dai neutroni prima di decadere radioattivamente è proporzionale al loro tempo di vita. Confrontando il numero di neutroni a varie altitudini quindi, una sonda spaziale potrebbe stimare la durata della vita neutroni.
Non esiste alcuna missione dedicata a questa misura, ma alcune missioni finalizzate allo studio della composizione atmosferica e superficiale dei pianeti sono dotate di strumenti adatti a raccogliere le informazioni necessarie. La distribuzione di energia dei neutroni prodotti per spallazione che riescono a fuoriuscire dal campo gravitazionale di un pianeta e giungono nello spazio è infatti dipendente dalla composizione elementare del pianeta su scale di profondità dell’ordine del cammino libero medio dei neutroni – la strada che essi riescono a fare prima di scontrarsi con altre particelle che li deviano in altre direzioni. Pertanto, allo scopo di studiare la composizione chimica – atmosferica e superficiale – planetaria, molte sonde spaziali sono dotate di spettrometri a neutroni.
«Di tutte le misurazioni effettuate in passato sulle navicelle spaziali, quelle di Messenger sono adatte a misurare il tempo di vita dei neutroni», conferma David Lawrence, uno scienziato planetario Apl e coautore dello studio.
Impressione artistica del sorvolo di Messenger su Mercurio. Crediti: Nasa/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington
Messenger ha campionato i flussi di neutroni in arrivo su una vasta gamma di altezze sopra Venere e Mercurio, partendo dal punto di massimo avvicinamento alla superficie planetaria – 339 km per Venere, 205 km per Mercurio. I neutroni a bassa energia emessi dall’atmosfera di Venere si muovono a pochi chilometri al secondo. All’altitudine di Messenger – da poche centinaia a poche migliaia di chilometri sopra la superficie del pianeta – i neutroni rivelati avrebbero viaggiato per un tempo simile al loro stesso tempo di vita. «È come un grande esperimento in bottiglia, ma invece di usare pareti e campi magnetici, usiamo la gravità di Venere per confinare i neutroni per un tempo paragonabile alla loro vita», ha detto Wilson.
Secondo questo nostro nuovo approccio, il tempo di vita dei neutroni viene determinato confrontando i risultati provenienti da una serie di modelli calcolati utilizzando diversi tempi di vita con le misurazioni ottenute da Mercurio e Venere. Il tempo di vita, assieme alla composizione superficiale o atmosferica e alla massa del pianeta, determina il tasso con cui il flusso di neutroni diminuisce all’aumentare della distanza. Nel caso di Venere, il migliore accordo fra dati e modelli ha definito un tempo di vita medio di circa 13 minuti.
«Questo risultato dimostra che anche utilizzando i dati di una missione progettata per fare qualcosa di completamente diverso, è ancora possibile misurare il tempo di vita dei neutroni dallo spazio», dice Jacob Kegerreis, ricercatore presso l’università di Durham e coautore dello studio.
Le incertezze sulle misure ottenute tuttavia sono significative – dell’ordine di un minuto circa sia per gli errori statistici che sistematici – e questo studio costituisce pertanto un primo tentativo esplorativo di fattibilità. Le incertezze statistiche sono grandi a causa della breve durata dei flybys (solo 70 minuti ad una altitudine inferiore a 104 km) e della conseguente scarsa quantità di dati raccolti. Gli errori sistematici sono altrettanto grandi; tuttavia, gli errori potrebbero essere notevolmente ridotti con un esperimento di più lunga durata utilizzando le osservazioni prese solo su Venere, evitando così le sistematiche associate alla complessità della composizione superficiale di Mercurio.
Effettuare misurazioni più precise richiederà una missione spaziale dedicata, possibilmente su Venere, poiché la sua atmosfera densa e uniforme e la sua grande massa intrappolano efficacemente i neutroni intorno al pianeta. Il team sta lavorando con il supporto interno dell’Apl per capire come realizzare una tale missione. «In ultima analisi, vogliamo progettare e costruire uno strumento spaziale in grado di effettuare una misurazione ad alta precisione della durata di vita dei neutroni», conclude Wilson, e forse risolvere finalmente questo eccezionale mistero.