Ma quanto è pesante l’universo?

0

Ma quanto è pesante l’universo?

Una nuova misurazione della densità della massa e dell’energia dell’universo è in conflitto con quella basata sui dati sulla radiazione cosmica di fondo raccolti dal satellite Planck. Questa discrepanza potrebbe costringere i fisici a riconsiderare vari aspetti del modello cosmologico standard, come la quantità e la natura dell’energia e della materia oscura e le loro relazioni con la materia ordinaria
di Anil Ananthaswamy/Scientific American
www.lescienze.it

Due modi, del tutto diversi, di “pesare” il cosmo stanno dando risultati discordi. Se più precise misure future non risolveranno la discrepanza, i fisici potrebbero dover rivedere il modello cosmologico standard, la miglior descrizione dell’universo di cui disponiamo attualmente. “Se davvero è un’avvisaglia dello sgretolarsi del modello standard, potrebbe essere qualcosa di rivoluzionario”, dice Hendrik Hildebrandt astronomo all’Università della Ruhr a Bochum, in Germania.

Analoghi dubbi sulla validità del modello standard sono stati destati in questi ultimi anni da due determinazioni indipendenti della costante di Hubble, cioè dell’attuale tasso di espansione dell’universo. Anche in quel caso, i risultati delle misure sono discordanti e ciò ha dato luogo a una situazione che è stata chiamata “tensione” della costante Hubble.

Calcolare la densità con la lente gravitazionale

La nuova discrepanza – detta tensione del sigma otto (σ8) – riguarda la determinazione della densità di massa dell’universo e della misura in cui questa massa è aggregata invece che distribuita in modo uniforme nello spazio. Il risultato della misura è sintetizzato in un parametro detto appunto sigma otto. Per calcolarlo, Hildebrandt e colleghi hanno usato il cosiddetto effetto lente gravitazionale debole, per il quale la luce delle galassie distanti viene curvata, molto lievemente, verso i nostri telescopi a causa dell’attrazione gravitazionale della materia che si trova tra quelle galassie e la Terra.

La distorsione risultante è tanto piccola da cambiare in modo appena percettibile la forma delle singole galassie. Ma se si considera la media fra le forme di decine di migliaia di galassie di una certa zona del cielo, il segnale dell’effetto lente debole si fa evidente. Ipotizzando che le galassie siano orientate a caso rispetto alla Terra, in media, se non ci fosse l’effetto lente la loro forma dovrebbe apparire pressoché circolare. In seguito alle lievi distorsioni dovute a questo effetto, invece, la forma media delle galassie tende a risultare ellittica.

Gli astronomi hanno usato questo segnale per stimare la quantità e la distribuzione della materia (sia normale che oscura) che si trova interposta lungo le linee di vista verso varie regioni ricche di galassie di un’ampia zona del cielo. In altre parole, sono riusciti a misurare la densità cosmica della materia.

Farlo con precisione, però, richiede un’altra informazione: la distanza di ciascuna delle galassie studiate. Di norma gli astronomi calcolano la distanza di una galassia determinandone lo spostamento verso il rosso (redshift): la misura in cui la luce emessa da una galassia è spostata verso l’estremità rossa dello spettro. Maggiore è il redshift e più l’oggetto è lontano.

Misurare i singoli redshift spettroscopici è tuttavia un sistema molto inefficiente quando si ha a che fare con milioni di galassie. Il gruppo di Hildebrandt ha così adottato la tecnica detta redshift fotometrico, in cui si acquisisce un certo numero di immagini della stessa parte del cielo a lunghezze d’onda diverse, nella gamma che va dal visibile all’infrarosso vicino. Partendo da queste immagini sono stati stimati i redshift delle singole galassie presenti in ognuna di esse. “I risultati non valgono quanto i tradizionali redshift spettroscopici” dice Hildebrandt. “Ma è molto più efficiente in termini di tempo di telescopio.”

Per la sua analisi, il gruppo ha usato immagini in alta risoluzione di centinaia di gradi quadrati del cielo (il diametro della Luna piena è pari a circa mezzo grado), a nove diverse lunghezze d’onda: quattro nel visibile e cinque nell’infrarosso vicino. Sono state osservate circa 15 milioni di galassie, nell’ambito delle indagini del Kilo-Degree Survey (KiDS) e del VISTA Kilo-Degree Infrared Galaxy Survey (VIKING) condotte dall’Osservatorio europeo australe (ESO) con due piccoli telescopi dell’Osservatorio Paranal, in Cile.

Rappresentazione schematica della copertura del cielo dei vari sondaggi VISTA. L’immagine è una proiezione dell’intero cielo con la Via Lattea che attraversa il centro (© VISTA/ESO)

I dati dell’indagine VIKING sono andati a integrare quelli raccolti dall’indagine KiDS mettendo a disposizione molteplici immagini della stessa regione del cielo alle lunghezze d’onda dell’infrarosso vicino. Maggiore è la distanza di una galassia e maggiore è la velocità con cui si allontana da noi. Ciò fa sì che la sua luce si sposti a lunghezze d’onda maggiori (redshift), sconfinando nella gamma dell’infrarosso vicino; per questo, non è sufficiente affidarsi alle sole osservazioni ottiche. Le misure nell’infrarosso catturano una parte maggiore della luce proveniente dalle galassie, e quindi consentono migliori stime dei relativi redshift fotometrici.

Per assicurarne la massima precisione possibile, queste osservazioni sono state calibrate per confronto con i redshift spettroscopici di alcune delle stesse galassie determinati con telescopi più potenti: il Very Large Telescope, da otto metri, di Paranal, e i telescopi Keck, da 10 metri, sul vulcano Mauna Kea alle Hawaii.

Adam Riess, della Johns Hopkins University, astrofisico e premio Nobel, approva il lavoro dei ricercatori dell’indagine KiDS. “I loro ultimi risultati si avvalgono di dati all’infrarosso, che probabilmente funzionano meglio per valutare la massa che fa da lente e ottenere redshift fotometrici affidabili”, dice.

Dai dati combinati, che coprono circa 350 gradi quadrati del cielo, gli astronomi hanno ottenuto una stima di sigma otto. Il valore che hanno trovato è in conflitto con il valore di sigma otto calcolato a partire dalle osservazioni effettuate con il satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea (ESA) sul fondo cosmico a microonde (CMB), la più antica radiazione elettromagnetica osservabile dell’universo, che venne emessa circa 380.000 anni dopo il big bang. Il satellite Planck ha mappato le differenze di temperatura e polarizzazione del CMB da un punto all’altro del cielo.

Il conflitto con Planck

I cosmologi sono in grado di usare questa mappa per calcolare il valore del parametro sigma otto per l’universo primordiale. Grazie al modello cosmologico standard (secondo il quale l’universo è fatto per il cinque per cento di materia ordinaria, per il 27 per cento di materia oscura e per il 68 per cento di energia oscura, circa), si può poi estrapolare, attraverso più di 13 miliardi di anni di evoluzione del cosmo, quale sia il valore di sigma otto ai nostri giorni.

E da qui nasce la tensione. Lo studio mediante l’effetto lente debole di Hildebrandt stima che il valore di sigma otto è intorno a 0,74, mentre dai dati di Planck si ricava un valore di circa 0,81. “C’è una probabilità dell’1 per cento circa che [la differenza]sia dovuta a una fluttuazione statistica”, dice Hildebrandt. Le fluttuazioni statistiche sono dovute al rumore casuale dei dati, che può somigliare ai dati reali, ma tende a sparire quando aumenta la quantità dei dati. “Non è una cosa da toglierci davvero il sonno.” L’articolo continua qui

Share.

Leave A Reply