Ispra, le mascherine diventano nuovi rifiuti: ne useremo fino a 450mila tonnellate fino a fine anno

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Ispra, le mascherine diventano nuovi rifiuti: ne useremo fino a 450mila tonnellate fino a fine anno

Questa crescita dovrebbe però essere compensata dalla riduzione del 10% dei rifiuti urbani, quantificabile in 500mila tonnellate in meno. Vignaroli: «Non nascondo la mia preoccupazione su alcuni aspetti relativi alla gestione dei rifiuti, prima di tutto sull’abbandono di guanti e mascherine a terra»
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I dispositivi di protezione individuale (Dpi) come mascherine e guanti, impiegati in modo massiccio a causa della pandemia in corso, ci accompagneranno ancora per molto tempo: nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei rifiuti collegata all’emergenza Covid-19, condotta dalla commissione parlamentare Ecomafie, i rappresentanti Ispra hanno illustrato le dimensioni in gioco. In base a stime «cautelative» effettuate dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale «da qui a fine anno il sistema italiano dovrà gestire un quantitativo di rifiuti derivanti dall’uso di mascherine e guanti compreso tra 150mila e 450mila tonnellate».

Considerando che il peso di ogni mascherina è di circa 4 grammi sono chiari i rischi legati alla dispersione incontrollata nell’ambiente di questi Dpi, a causa di un’inciviltà purtroppo ancora molto diffusa. Ad oggi la soluzione sta nel seguire le indicazioni arrivate dall’Istituto superiore di sanità e dall’Ispra: mascherine e guanti vanno gettati nei contenitori per la raccolta indifferenziata, per poi essere avviate prioritariamente ad incenerimento o in discarica, in modo da minimizzare i rischi infettivi.

Il problema, come noto, è che questa tipologia d’impianti scarseggia sul territorio nazionale. Guardando nello specifico alla gestione dei Dpi, per Ispra si tratta però di una criticità affrontabile per il sistema impiantistico italiano perché compensata «dalla riduzione del 10% dei rifiuti urbani, quantificabile in 500mila tonnellate in meno». Gli auditi hanno infatti riferito che «nel bimestre marzo-aprile 2020 si è osservata una riduzione della produzione di rifiuti urbani pari a circa il 10%, e una diminuzione della raccolta differenziata sempre di circa il 10%».

Nel corso dell’audizione, Ispra ha inoltre precisato che «ad oggi è presente in Italia una capacità impiantica in grado di trattare  circa 340mila tonnellate di rifiuti sanitari (di cui 220mila tramite incenerimento e 120mila con sterilizzazione), a fronte di circa 145mila tonnellate di quantità effettivamente trattate (96mila tramite incenerimento, 50mila con sterilizzazione)».

«Mentre l’Italia fa i primi passi sulla strada della ripartenza – commenta il presidente della commissione Ecomafie, Stefano Vignaroli – non nascondo la mia preoccupazione su alcuni aspetti relativi alla gestione dei rifiuti. Prima di tutto sull’abbandono di guanti e mascherine a terra: come stimato da Ispra, ne useremo fino a 450mila tonnellate da qui a fine anno. È dunque fondamentale fin da subito porsi il problema di come fronteggiare la dispersione nell’ambiente di questi dispositivi, andando a privilegiare sempre guanti e mascherine lavabili e riutilizzabili». Previa sanificazione e spinta sull’ecodesign, anche le possibilità di un riciclo dei Dpi possono essere esplorate.

Per capire le dimensioni della sfida occorre però allargare lo sguardo andando oltre la gestione dei soli Dpi. Come spiegava neanche due mesi fa sempre l’Ispra «l’emergenza sanitaria nazionale connessa all’infezione da virus Sars-Cov-2 sta determinando problematiche nel settore dei rifiuti, in particolar modo nel ciclo di gestione dei rifiuti urbani, dei fanghi generati dal trattamento delle acque reflue, nonché per i rifiuti prodotti dagli impianti produttivi. Le problematiche sono prevalentemente legate ad una carenza di possibili destinazioni per specifiche tipologie di rifiuti, attualmente non gestite sul territorio nazionale per l’assenza di una specifica dotazione impiantistica e, nel caso dei rifiuti urbani, a difficoltà organizzative e logistiche», data la mancanza di impianti di prossimità in molte aree del Paese e soprattutto al sud.

Si torna così a un problema strutturale dell’economia circolare italiana: la mancanza di impianti per la gestione dei rifiuti – urbani e speciali – che produciamo. Senza contare le tratte fuori confine la nostra spazzatura vaga per 1,2 miliardi di km l’anno, il che equivale a percorrere circa 175.000 volte l’intera rete autostradale, prima di poter giungere a una qualche destinazione. Un calo temporaneo nella produzione di rifiuti urbani (e di quelli speciali), in parte compensato dall’aumento di rifiuti sanitari, non sposta di una virgola la necessità di un piano nazionale che indichi con chiarezza quali impianti sono necessari (e dove) per chiudere il ciclo di gestione rifiuti nel nostro Paese.

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