il Covid-19 sta amplificando gli impatti socio-economici del cambiamento climatico (VIDEO)
«Il calo delle emissioni di CO2 legate al COVID non fermerà il cambiamento climatico www.greenreport.it
Negli ultimi 50 anni «I segnali fisici del cambiamento climatico e delle sue cinseguenze si sono moltiplicati, e ancora di più durante gli ultimi 5 anni che sono stati i più caldi mai osservati- Questa tendenza dovrebbe prosegure». A dirlo è il nuovo rapporto “Global Climate 2015-2019” della World meteorogical organization (Wmo) presentato in occasione dell’ Earth Day che aggiunge che «Dal 1970, li livelli di biossido di carbonio registrati in una stazione di osservazione mondiale chiave sono aumentati di circa il 26% e la temperatura media mondiale si è innalzata di 0,86° C, per raggiungere 1,1° C in più che nell’epoca preindustriale».
Secondo il Wmo lead centre for annual to decadal climate prediction gestito dal Met Office Hadley Centre, «La temperatura media mondiale è in grado di battere il record durante il prossimo periodo quinquennale (2020–2024)» e queste previsioni indicano che «Nuovi aumenti della temperatura mondiale sono probabili, in particolare alle alte latitudini e nelle regioni terrestri con un riscaldamento più lento degli oceani, in particolare nel Nord Atlantico e nell’Oceano Australe».
Il rapporto ricorda che la temperatura è solo uno degli indicatori climatici, ci sono anche la CO2, il calore e l’acidificazione degli oceani, il livello del mare, il bilancio di massa dei ghiacciai e la banchisa artica e antartica… «Tutti questi indicatori mostrano un’accelerazione del cambiamento climatico in questi ultimi 5 anni».
Per quanto riguarda gli effetti della pandemia in corso. La Wmo evidenzia che «Il Covid-19 potrebbe portare a una riduzione temporanea delle emissioni di gas serra ma non rimpiazza un’azione durevole in favore del clima. Inoltre, complicherà il trattamento dei fenomeni meteorologici, climatologici e idrologici, dei quali il cambiamento climatico accresce la gravità».
Presentando il rapporto, il segretario generale della Wmo, Petteri Taalas, ha detto: «Certamenteo, il Covid-19 ha provocato una grave crisi sanitaria ed economica a livello mondiale, ma se non lottiamo contro il cambiamento climatico, il benessere umano, gli ecosistemi e le economie potrebbero essere minacciate per secoli. Dobbiamo circoscrivere il cambiamento climatico come la pandemia. Dobbiamo dar prova della stessa determinazione e della stessa unità nella nostra lotta contro il cambiamento climatico come nella lotta che conduciamo contro il Covid-19. Dobbiamo agire insieme nell’interesse della salute e della qualità della vita dell’umanità, non solo nelle settimane e nei mesi a venire, ma anche per le numerose generazioni a venire. Le condizioni meteorologiche estreme aumenteranno e il coronavirus non le farà sparire. Al contrario, la pandemia complica ancora di più l’evacuazione delle popolazioni e la loro messa al riparo durante dei cicloni tropicali, come abbiamo visto con il ciclone tropicale di categoria 5, Harold, nel Sud Pacifico. C’è il rischio che dei sistemi sanitari troppo stressati non siano in grado di far fronte a un carico supplementare di pazienti dovuto, per esempio, a una canicola. Sono le popolazioni vulnerabili dei Paesi in cui i sistemi di preparazione alle catastrofi sono più deboli ad essere più esposte ai rischi. I governi devono raddoppiare gli sforzi per rafforzare i loro sistemi di alletta e far fronte a pericoli multipli».
Malgrado gli ostacoli create dal Covid-19, I Servizi meteorologici e idrologici nazionali hanno continuato a funzionare quasi in tutti i Paesi, assicurando i loro servizi essenziali di prevenzione e di allerta 24 ore su 24. Anche le stazioni Global Atmosphere Watch proseguono le loro attività di vigilanza, svolgendo così un ruolo essenziale nel registrare una riduzione dei principali inquinanti e un miglioramento della qualità dell’aria attribuibili al rallentamento delle attività industriali. Ma il Wmo fa notare che «Però, le concentrazioni di CO2 osservate nelle principali stazioni operative restano a livelli record. E’ quindi importante che i piani di ripresa post-Covid-19 aiutino l’economia a ritrovare una crescita più verde. Le crisi economiche sono state spesso seguite da una ripresa accompagnata da una crescita delle emissioni di carbonio ben più forte di prima di quelle crisi».
Il “Global Climate 2015-2019” conferma e aggrava quanto emerso dalla versione preliminare presentata nel settembre 2019 al Climate Action Summit organizzato dal Segretario generale dell’Onu e completa l’annual statements on the state of the climate della Wmo: «Il periodo 2015–2019 è stato il più caldo mai constatato. La temperatura media del pianeta è aumentata di 1,1° C dall’epoca preindustriale e di 0,2° C in rapporto alla media del periodo 2011–2015. Dagli anni ‘80, ogni decennio è stato più caldo del precedente. Nel 1970, la temperatura media mondiale era superiore di 0,24° C a quella del periodo preindustriale».
I livelli atmosferici della CO2 e di altri gas serra chiave hanno battuto nuovi record: «Il tasso di crescita della CO2 nel 2015–2019 è stato superiore del 18% a quello del periodo quinquennale precedente. La CO2 persiste nell’atmosfera e negli oceani per dei secoli. Il pianeta è quindi votato al cambiamento climatico, indipendentemente da ogni calo temporaneo delle emissioni dovuto alll’epidemia di coronavirus».
La Wmo evidenzia che «I dati preliminari per il 2019 provenienti da un sotto-insieme di siti di osservazione dei gas serra indicano che la concentrazione mondiale media di CO2 potrebbe aver raggiunto, forse oltrepassato, le 410 parti per milione (ppm) entro la fine del 2019».
Secondo la National oceanic and atmospheric administration Usa (Noaa), dall’inizio dell’anno l’ossevatorio di Mauna Loa nelle Hawaii – la più vecchia stazione di osservazione permanente del mondo – ha registrato concentrazioni atmosferiche di CO2 record, con livelli gornalieri che superano anche le 415,00 ppm, mentre nel marzo 2020 i livelli medi mensili di CO2 nell’atmosfera si erano stabiliti a 414,50, contro le 411,97 ppm del febbraio 2019. A Manua Loa le concentrazioni medie annuali di CO2 nel 2019 hanno raggiunto le 411,44 ppm, contro le 325,68 ppm della prima Giornata della Terra nel 1970.
Secondo il Csiro australiano, in un’altra importante stazione di riferimento, Cape Grim in Tasmania, lo scorso febbraio i livelli medi di CO2 hanno raggiunto le 408,3 ppm, contro le 405,66 ppm del febbraio 2019. Anche all’osservatori di Izaña, a Tenerife, le concentrazioni di CO2 quest’anno sono più elevate che nello stesso periodo del 2019, una tendenza constatata anche nelle stazioni dell’Integrated Carbon Observation System.
Anche gli altri indicatori mostrano il proseguimento e l’accelerazione del cambiamento climatico: innalzamento più rapido del livello del mare, diminuzione costante dell’estensione della banchisa artica, diminuzione brutale della banchisa antartica, perdita di massa di ghiaccio costante dei ghiacciai e delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide e netta diminuzione dell’estensione del manto nevoso nell’emisfero nord a primavera. Gli oceani assorbono sempre più calore e la Wmo avverte che «Nel 2019, il livello di caldo negli oceano tra gli 0 e i 700 metri di profondità ha raggiunto un picco senza precedenti. L’aumento delle temperature sulla superficie del mare ha messo in pericolo la vita e gli ecosistemi marini».
Le ondate di caldo hanno colpito tutti i continenti e costituiscono il fenomeno meteorologico più mortale del periodo 2015–2019. Record delle temperature sono stati battuti in numerosi p Paesi e sono stati accompagnati da mega-incendi senza precedenti, in particolare in Europa, Nord America, Australia, in Amazzonia e nell’Artico.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità «Il rischio globale di malattie o di decessi legati al caldo si è accresciuto regolarmente dal 1980 e circa il 30% della popolazione mondiale vive ormai in regioni climatiche soggette a canicole mortaliper almeno 20 giorni all’anno».
A proposito di Covid-19, le forti piogge e le inondazioni sempre più frequenti creano le condizioni favorevoli alla comparsa di epidemie, Nei Paesi dove il colera è endemico, si stima che siano minacciate 1,3 miliardi di persone. Solo in Africa, circa 40 milioni di persone vivono in aree esposte al colera. La variabilità del clima e i cambiamenti climatici hanno accresciuto il rischio globale di malattie o di decessi legati al clima e, amplificando la siccità, hanno esacerbato l’insicurezza alimentare in numerosi Paesi, in particolare in Africa-
Durante il periodo 2015–2019, sono stati I cicloni tropicali a causare le maggiori perdite economiche legate ai fenomeni climatici estremi. Il più costoso è stato l’uragano Harvey che nel 2017 ha causato perdite economiche stimate in oltre 125 miliardi di dollari.
L’aumento delle temperature ha anche ripercussioni negative sul prodotto interno lordo (PIL) dei Paesi in via di sviluppo e rischia di compromettere la loro crescita. Secondo il Fondo monetario internazionale, «Per un Paese in via di sviluppo a basso reddito nel quale la temperatura media annuale si stabilisce a 25° C, l’effetto di un aumento della temperatura di 1° C si traduce in una diminuzione dell’1,2% della crescita». E la Wmo conclude facendo notare vhe «I Paese le cui economie dovrebbero essere fortemente colpite da un aumento delle temperature nel 2016 hanno prodotto solo circa il 20% del Pil mondiale. Tuttavia, ospitano attualmente circa il 60% della popolazione mondiale e dovrebbero ospitarne più del 75% entro la fine del secolo».
La chiave del possibile futuro sostenibile dell’umanità e del pianeta è da ricercare qui e trovarla sarà una sfida ancora più difficile e gigantesca che affrontare l’attuale emergenza della pandemia di Covid-19. L’umanità e davvero davanti a una svolta e dovremo affrontarla non appena usciremo di casa, se vogliamo davvero salvarci.