20 aprile 2010: quaci anni fa il disastro ambientale della petroliera Deepwater Horizon

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20 aprile 2010: tredici anni fa il disastro ambientale della petroliera Deepwater Horizon

Un impatto ambientale, quello dell’esplosione della piattaforma della British Petroleum nel Golfo del Messico, che non ha eguali in termini di danni agli ecosistemi. E ci abbiamo messo anni ad accorgerci della sua reale portata
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Era il 20 aprile 2010 quando nel mare del Golfo del Messico, lungo le coste tra la Louisiana e il Texas si verificò l’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, che causò la peggiore fuoriuscita di petrolio di sempre. A 13 anni di distanza, gli studi hanno scoperto che le conseguenze di quel giorno sono arrivate fino ad oggi e che solamente negli ultimi anni abbiamo iniziato a comprendere le reali dimensioni della tragedia.

I danni alle persone

Il 20 aprile, l’esplosione della piattaforma petrolifera gestita dalla compagnia petrolifera British Petroleum uccise gli 11 lavoratori della piattaforma, mentre il petrolio è sgorgato dal fondo del mare per riversarsi su 1.300 miglia di costa. Nel 2010 fu stimato che 200 milioni di galloni di petrolio si sono riversati nel Golfo.

Il caso è stato uno dei più grandi disastri ambientali della storia già guardando questi dati, ma uno studio pubblicato da Science Advance  ha mostrato che i danni e le quantità di petrolio siano stati molto peggiori di quanto si fosse pensato all’epoca, ovvero circa il 30% in più. Per quantificare la fuoriuscita di petrolio allora erano state utilizzate solamente immagini satellitari, in grado di monitorare dall’alto la grande macchia di petrolio spargersi seguendo le correnti. Tuttavia molto del petrolio non era stato catturato dall’occhio dei satelliti, non dotati delle tecnologie attuali, portando dunque ad avere un ridimensionamento del numero reale dei litri di materiale riversati nell’oceano.

I computer sono ora in grado di prevedere con maggiore precisione come si diffonde una fuoriuscita. Combinando dati provenienti dalle immagini satellitari del 2010 e i dati di oltre 25mila campionamenti in mare, gli scienziati hanno rivelato la presenza di petrolio invisibile, ovvero il petrolio che dalle immagini satellitari non era possibile vedere e che quindi non era stato calcolato.

La risposta al disastro della società Bp fu lenta, inadeguata e incompleta, con piani insufficienti e incorretti. La maggior parte dei lavoratori e volontari addetti alla bonifica – sia sui resti della Deepwater Horizon che sulle barche o spiagge degli stati della Louisiana e Texas – furono scoraggiati da Bp dall’indossare l’equipaggiamento protettivo poichè le sostanze utilizzate per ripulire, tra cui il Corexit, erano state definite innocue dalla stessa società. Oltre 100mila persone sono state esposte per tre mesi a queste sostanze riportando grandi problemi alle vie respiratorie, e a distanza di dieci anni di distanza un terzo di esse è deceduto.

Danni all’ambiente

“Probabilmente la cosa più singolare di questo evento – oltre alle sue dimensioni e alla sua portata, che non ha precedenti – è stato il numero di  ecosistemi su cui esso ha avuto un impatto”, ha detto Tracey Sutton, ricercatore presso la Nova Southeastern University e direttore del Consorzio Deepend, che indaga sull’impatto del disastro della Deepwater Horizon. A livello ambientale, di fatto l’incidente ha innescato i processi di perdita di biodiversità e dell’agro-diversità, inquinamento delle acque superficiali, diminuzione della qualità dell’acqua, contaminazione del suolo e anche cambiamenti su larga scala dei sistemi idrogeologici.

L’ong Oceana ha pubblicato qualche giorno fa un rapporto che evidenzia come l’impatto ambientale del disastro della Deepwater Horizon nel Golfo non ha precedenti. La fauna selvatica è stata maggiornmente colpita: il petrolio ha ucciso decine di migliaia di uccelli e pesci, decimando la popolazione dei delfini. All’indomani dell’episodio sono rimasti uccisi tra i 55mila e i 160mila esemplari di tartarughe marine giovani e quasi 35mila piccoli sono stati feriti, mentre migliaia di uova in cova sulle coste sono andate perse.

Oltre 8 milioni di ostriche  dal settore dell’acquacoltura sono state uccise, causando anche una perdita di quasi un miliardo di dollari per l’industria ittica.

Il rapporto sottolinea che queste condizioni non sono migliorate. Alcune popolazioni di pesci, gamberetti e calamari del Golfo sono diminuite anche dell’85%. Per cinque anni, più del 75% di tutte le gravidanze di delfini non sono state portate a termine. Le balene di Bryde, sono diminuite di circa il 22%. E il petrolio affondato sul fondo del mare ha danneggiato profondamente la barriera corallina del Golfo del Messico.

I risarcimenti e i piani di recupero

Alla fine, Bp e i suoi partner industriali si sono accordati con il governo federale americani e quelli degli stati del Golfo per 20,8 miliardi di dollari. Si è trattato del più grande risarcimento per danni ambientali nella storia degli Stati Uniti.

All’indomani del disastro fu approvato il primo piano di ripristino mai realizzato al mondo, e la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti approvò una legislazione per rafforzare gli standard di sicurezza delle trivellazioni offshore di petrolio e gas. Fu inoltre istitutio il Gulf Spill Restoration, entità che opera nei 5 stati costieri americani toccati dal disastro. Negli ultimi 10 anni c’è stato uno sforzo enorme per sviluppare progetti di restauro, recupero e conservazione.

“La posta in gioco è molto alta qui in Louisiana”, ha detto Rudy Simoneaux capo ingegnere della Costal Protection e Restauration Authority (Cpra).  “Abbiamo il più grande complesso portuale del mondo. Il 26% della pesca a livello nazionale proviene dalla Luisiana. Ma anche 5 milioni di uccelli migratori passano  ogni anno nel nostro stato”, ha continuato  Simoneaux. L’organizzazione si occupa,… L’ARTICOLO CONTINUA QUI

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