L’Amazzonia è davvero vicina al punto di non ritorno?
Secondo alcuni ricercatori, la perdita del 20-25 per cento della foresta amazzonica ne provocherebbe l’inaridimento, trasformandone gran parte in una sterminata savana. Sul momento preciso in cui potrebbe accadere non c’è accordo, ma tutti gli esperti sono convinti che è sempre più vicino
di Ignacio Amigo/Nature
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Vista da una torre di sorveglianza oltre la sommità degli alberi vicino a Manaus, nell’Amazzonia brasiliana, la volta della foresta pluviale si estende fino all’orizzonte come uno sconfinato mare verde. Sembra un ecosistema ricco e sano, ma l’apparenza inganna. Questa foresta pluviale – che comprende 16.000 diverse specie di alberi – si sta lentamente inaridendo.
Durante il secolo scorso la temperatura media nella foresta è cresciuta di 1–1,5 °C. In alcune parti, negli ultimi cinquant’anni la stagione secca si è allungata da quattro mesi a quasi cinque. Dal 2005 ci sono stati tre periodi di grave siccità. Tutto ciò sta provocando un cambiamento della vegetazione. Nel 2018 uno studio ha riferito che stanno morendo le piante che crescono meglio in condizioni di umidità, come i legumi tropicali del genere Inga, mentre prosperano quelle adatte ai climi più secchi, come la noce del Brasile (Bertholletia excelsa).
Al tempo stesso, grandi parti dell’Amazzonia, la più grande foresta pluviale del mondo, vengono abbattute o bruciate. Il disboscamento ha già ridotto la foresta del 15 per cento circa rispetto alla sua estensione negli anni settanta, quando superava i 6 milioni di chilometri quadrati; in Brasile, che comprende oltre la metà della foresta, ne è scomparso più del 19 per cento. Negli anni duemila il Brasile è stato lodato per avere rallentato drasticamente il disboscamento, che però nel frattempo ha ripreso ad aumentare in seguito al caos politico e alla crisi economica.
L’anno scorso la deforestazione in Brasile è aumentata del 30 per cento circa, sfiorando i 10.000 chilometri quadrati: la maggior perdita dell’ultimo decennio. E lo scorso agosto i video degli incendi in Amazzonia hanno avuto risonanza internazionale. In quel mese gli incendi sono stati più numerosi che nell’agosto di tutti gli altri anni successivi al 2010, l’anno di una siccità estrema. Molti scienziati hanno collegato questi aumenti alla retorica antiambientalista del presidente brasiliano Jair Bolsonaro.
A fronte di un clima sempre più caldo, una deforestazione crescente e incendi più devastanti, gli scienziati sono più preoccupati che mai per l’Amazzonia. Alcuni hanno avvertito che la foresta raggiungerà presto un punto di non ritorno, superato il quale potrebbe diventare per lo più una macchia arida. Secondo altri, invece, non ci sono prove sufficienti per prevedere nello specifico quanto può durare la buona salute della foresta pluviale.
Lo scorso settembre alcune decine di ricercatori hanno costituito un comitato scientifico per l’Amazzonia che informerà sullo stato della foresta pluviale, suggerendo misure per conservarla. Sperano che la loro valutazione sia pronta per questo novembre, quando a Glasgow, nel Regno Unito, si svolgeranno trattative sul clima nell’ambito dell’ONU.
Ci sono pochi dubbi che la situazione stia diventando grave. “È un momento molto difficile per chi conosce l’Amazzonia, l’ama e vi lavora”, commenta Eduardo Góes Neves, archeologo dell’Università di San Paolo, Brasile.
La questione del punto di non ritorno
In qualunque stagione, sopra la volta degli alberi la temperatura è sempre abbastanza alta da far sudare i ricercatori quando si arrampicano su una torre di sorveglianza. L’aria è piena di umidità che sostiene l’ecosistema della foresta pluviale.
Per lo più, è la foresta stessa che si mantiene in vita da sé, riciclando l’acqua per mezzo degli alberi in modo da generare la pioggia. Una molecola d’acqua che viaggia attraverso l’Amazzonia può cadere sotto forma di pioggia fino a sei volte.
Se la siccità, gli incendi o la deforestazione danneggiano troppi alberi, le minori precipitazioni portano a meno vegetazione, e così via in un ciclo sempre più ridotto. Alla fine, questo processo potrebbe trasformare grandi regioni dell’Amazzonia in un ecosistema più simile a una savana (ma con molta meno biodiversità). Resterebbe lussureggiante solo l’Amazzonia occidentale, vicino alle Ande: qui le correnti d’aria sono costrette a salire sopra le montagne, portando il vapore acqueo a condensarsi e cadere sotto forma di pioggia.