Ecco la nuova fake news: “l’inquinamento atmosferico? Non fa male alla salute!”

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Ecco la nuova fake news: “l’inquinamento atmosferico? Non fa male alla salute!”

Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente mette in guardia contro una “crescente campagna di disinformazione che tende a minare le evidenze scientifiche”
www.greenreport.it

Una nuova ondata di fake news sta montando oltre confine arrivando a mettere nel mirino il rapporto tra inquinamento atmosferico e salute.

«Nonostante l’aumento di evidenze scientifiche, spiegano dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), un intenso dibattito sugli effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico è scoppiato nei media tedeschi nel corso del 2019. Un piccolo gruppo di specialisti di medicina polmonare ha infatti sollevato dubbi in merito alle prove scientifiche che collegano l’inquinamento dell’aria ambiente, soprattutto da ossidi di azoto e PM2,5, alle malattie e alla mortalità. Chiedono quindi di alzare i valori limite delle PM e delle concentrazioni di ossidi di azoto in Europa, sostenendo la mancanza di prove per gli attuali limiti. Le loro affermazioni, ampiamente diffuse anche tramite i social media, sono state accolte da alcuni politici, da organizzazioni di settore e grande pubblico».

Una nuova forma di negazionismo che non si limita alla Germania o all’Europa, ma trova già riflessi negli Stati Uniti dove «consulenti del settore – collocati anche in posizioni di spicco dell’Agenzia per la protezione ambientale USA – hanno cercato di negare o comunque sminuire la mortalità associata alle PM2,5, minando decenni di politiche di successo sull’aria pulita».

Come del resto accade anche nella partita della crisi climatica in corso, chi gioca sporco ricorrendo massicciamente all’impiego di fake news non mette in pericolo “solo” l’ambiente, ma attenta direttamente alla salute umana. Secondo l’ultimo Air quality report sviluppato dall’Agenzia europea dell’ambiente, in un anno (2016) l’esposizione all’inquinamento atmosferico – o meglio a sole tre categorie d’inquinanti, PM2.5, NO2 e O3 – ha causato circa 498.000 morti premature in Europa, molte delle quali in Italia. Il nostro Paese è infatti il primo in Ue per morti premature da biossido di azoto con circa 14.600 vittime all’anno, ha il numero più alto di decessi per ozono (3.000) e il secondo per il particolato fine (58.600).

Di fronte a questi numeri, dare spazio alle fake news sull’inquinamento atmosferico significa lavorare per gettare alle ortiche decenni di politiche che hanno permesso – nonostante l’enorme lavoro che ancora rimane da fare – di pulire l’aria che respiriamo, e risparmiare così centinaia di migliaia di vite. In molti casi, naturalmente, una condotta di questo tipo non è disinteressata: non a caso, sottolineano dal Snpa, i tentativi di mettere in discussione e minare le prove scientifiche «coincidono con tre importanti revisioni in corso: quella delle linee guida della qualità dell’aria da parte dell’OMS; il controllo di adeguatezza della Direttiva europea sulla qualità dell’aria in vista di una sua revisione; quella dello standard americano per il PM».

Per difendersi da queste fake news è indispensabile un lavoro congiunto da parte di giornalisti e ricercatori. Lo stesso Snpa riconosce che proteggere il sistema pubblico, giuridico e politico da queste campagne di disinformazione «è compito a carico della stessa comunità scientifica nonché delle agenzie che si occupano di salute pubblica e ambiente», ma il ruolo dei media per una corretta informazione è altrettanto importante.

In uno studio pubblicato su Lancet Respiratory Medicine e riportato dal Snpa si analizza infatti nello specifico il caso tedesco: ne è emerso che alcuni canali di comunicazione, inclusi talk show, interviste sia sui media tradizionale che social media, hanno presentato «opinioni distorte e manipolative della scienza per fare affermazioni false non comprovate e mettere in discussione la validità dei rapporti scientifici pubblicati. La massiccia cronaca dei media ha insinuato e diffuso quindi il dubbio tra il grande pubblico. Il “dibattito” – osservano dal Snpa – aveva caratteristiche simili alle campagne di disinformazione sui cambiamenti climatici».

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