Canale di Suez, un disastro ambientale marino: una porta aperta per le specie aliene nel Mediterraneo

0

Canale di Suez, un disastro ambientale marino: una porta aperta per le specie aliene nel Mediterraneo

I ricercatori israeliani: per fermare l’invasione si potrebbero utilizzare i dissalatori che sta costruendo l’Egitto
www.greenreport.it

Il 17 novembre l’Egitto ha celebrato il 150esimo anniversario del Canale di Suez, inaugurato nel 1869, ma secondo lo Steinhardt Museum of Natural History dell’università di Tel Aviv c’è ben poco da festeggiare: «Sin dalla sua apertura, il Canale di Suez è servito non solo per il suo scopo benefico per il trasporto di merci ma, esempio storico dei pericoli di conseguenze indesiderate, il Canale è stato anche il veicolo per l’introduzione di organismi del Mar Rosso nel Mar Mediterraneo». E negli ecosistemi costieri del Mediterraneo israeliano, questi organismi alloctoni rappresentano sempre di più delle serie minacce per la biodiversità autoctona che i ricercatori israeliani dicono che sono «per lo meno comparabili a quelle esercitate dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento e dalla pesca eccessiva».

Attualmente, lungo le coste mediterranee israeliane si contano almeno 400 specie esotiche provenienti dal Mar Rosso, un numero più che raddoppiato negli ultimi 30 anni. Allo Steinhardt Museum evidenziano che «Questa invasione biologica sta causando una drammatica ristrutturazione delle comunità biotiche, alterando le funzioni degli ecosistemi e compromettendo la disponibilità di risorse biologiche, i servizi ecosistemici e la salute umana. Le fitte popolazioni di pesci coniglio erbivori del Mar Rosso hanno trasformato i letti di alghe native in terreni sterili con un drammatico declino della complessità dell’habitat, della biodiversità e della biomassa; gli sciami estivi di meduse nomadi dissuadono i bagnanti con le loro punture»

E il recente massiccio ampliamento del canale di Suez e l’aumento della temperatura e della salinità dell’acqua del Mediterraneo degli ultimi decenni avvantaggiano gli organismi invasivi provenienti dal Mar Rosso che hanno maggiori probabilità di colonizzare il bacino, stabilirvi popolazioni vitali e diffondersi in nuovi habitat.

Infatti, come prevedevano biologi e ambientalisti, l’afflusso di specie aliene è aumentato significativamente da quando l’Egitto, nel 2015, ha aperto il “Nuovo canale di Suez” e secondo Bella Galil, una biologa marina dell’università di Tel Aviv che studia il Mediterraneo da più di 30 anni, «Gran parte del danno ecologico è irreversibile. Ma con i pesci invasivi e i crostacei che sfruttano il riscaldamento delle temperature dell’acqua e in rapida diffusione verso le coste europee, sono necessarie azioni urgenti per ridurre al minimo il suo impatto a lungo termine».  Secondo la scienziata israeliana, «Il continuo ampliamento e approfondimento del canale ha creato un “acquario mobile” di specie che, se non controllate, potrebbero rendere le acque costiere inospitali per l’uomo».

Israele sta già affrontando un’ondata senza precedenti di meduse urticanti che ha danneggiato le prese d’acqua dei dissalatori e le centrali elettriche costiere e spaventato i bagnanti e i turisti. Diverse altre specie velenose, tra cui il vorace pesce scorpione (Pterois volitans)  leone creato colonie permanenti, ma l’arrivo più preoccupante è stato quello del pesce palla argenteo (Lagocephalus Sceleratus), un pesce osseo estremamente velenoso.

Secondo la Galil, la metà dei pesci pescati e quasi tutti i crostacei in Israele appartengono a specie invasive. E questa invasione proveniente da est ha ormai raggiunto la Spagna e diversi Paesi mediterranei europei, a partire dall’Italia, sono di fronte a rapidi cambiamenti nella comunità vivente marina. La Galil sottolinea che «Le nuove specie hanno causato “una drammatica ristrutturazione” dell’ecosistema, mettendo in pericolo varie specie locali e spazzando via le cozze, i gamberi e le triglie autoctone».

Il ministero israeliano per la protezione ambientale ha dichiarato che sta monitorando questa invasione con preoccupazione, consapevole che le sue coste di Israele sono solo la “prima tappa” per l’espansione delle nuove specie nel Mediterraneo, ma fa notare che «Israele non ha potuto fermare il fenomeno da solo, ma sta promuovendo una regolamentazione per proteggere gli habitat marini più vulnerabili».  Dato che Israele dipende sempre di più dal Mar Mediterraneo per dissalare acqua potabile, il ministero ha affermato che «La protezione dell’ambiente marino del Paese è ora più importante che mai».

Recentemente, alcuni scienziati libanesi dell’ American University di Beirut hanno scritto che «Non riuscire a mitigare i rischi ecologici associati all’espansione del canale di Suez metterebbe a rischio gran parte dell’ecosistema mediterraneo», un’opinione condivisa dai biologi n marini di tutto il Mediterraneo orientale, dalla Turchia alla Tunisia.

La Galil ha detto all’Associated Press e al Times of Israel che una soluzione relativamente semplice per tenere sotto controllo i danni potrebbe venire dagli impianti di desalinizzazione finanziati dal Qatar che l’Egitto sta costruendo lungo il canale, il primo dei quali dovrebbe entrare in funzione entro la fine dell’anno. «Se realizzati correttamente – ha detto la scienziata israeliana – gli scarichi di salamoia degli impianti potrebbero essere incanalati un un precisa area del Canale per ricreare una “barriera di salinità” che potrebbe arginare il flusso di specie da sud a nord. I Grandi Laghi Amari, circa 45 chilometri (30 miglia) a nord di Suez, un tempo creavano un tale ostacolo. Ma man mano che il canale si allargava e le città e le fattorie egiziane scaricavano le acque reflue agricole nei laghi, quel baluardo è scomparso».

Egitto e Israele nel 1979 hanno firmato un accordo di pace e recentemente ha sottoscritto un gigantesco accordo per importare gas naturale, ma il regime del Cairo ha respinto gli avvertimenti degli scienziati israeliani sul disastro ecologico del Canale di Suez definendoli «​​politicamente motivati». E Moustafa Fouda, consigliere del ministro dell’ambiente dell’Egitto, in un’intervista all’Ap ha minimizzato: «Le specie invasive sono una categoria enorme e non specifica. Possono persino essere produttive, sostituendo le specie che sono sovra-sfruttate, apportando benefici economici o semplicemente adattandosi al nuovo ambiente. Meno del 5% degli invasori potrebbe essere considerato “dirompente” e la maggior parte dei gamberetti, dei molluschi, dei pesci palla e dei granchi non ha causato danni. Anche gli invasori velenosi, come il pesce scorpione, sono commestibili se le loro spine velenose vengono rimosse».

Ma gli esperti egiziani negano persino che le invasioni derivino direttamente dall’espansione di Suez e sostengono che le vere cause sono da ricercare nell’aumento delle temperature dell’acqua provocato dal riscaldamento globale e dalle acque di zavorra non trattate che vengono scaricate dalle navi mercantili. Una tesi sostenuta con forza da Tarek Temraz, professore di biologia marina all’Università del Canale di Suez e autore della valutazione d’impatto ambientale del governo egiziano sull’espansione del canale. Secondo lui, «Le invasioni sono una tendenza globale a causa dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, il cui risultato naturale è che ogni specie sta lottando per sopravvivere e cerca il suo ambiente ottimale».

La Suez Canal Authority, l’agenzia governativa egiziana che gestisce il canale, dice semplicemente che «Le preoccupazioni ambientali relative al suo allargamento sono state sopravvalutate. Il volume d’acqua che scorre nel Mediterraneo è aumentato del 4%, creando un piccolo impatto sul flusso d’acqua e sul movimento del plancton». Inoltre, all’ Authority affermano che stanno «monitorando attentamente la migrazione delle specie, imponendo regolamenti alle navi che traghettano involontariamente creature invasive e limitano la contaminazione dell’acqua nella speranza di ripristinare la salinità nei laghi». La Suez Canal Authority asserisce che un recente tentativo di deviare le acque reflue agricole dai Laghi Amari «negli ultimi anni ha aumentato con successo la salinità del 3%».

Ma la Galil ribatte che «Non è abbastanza: la salinità deve aumentare in modo significativo per costituire una barriera efficace contro i nuovi arrivati» e, di fronte alle minimizzazioni egiziane, conclude: «Un giorno ci sveglieremo con un cambiamento competitivo e irreversibile e sapremo che c’era qualcosa che avremmo potuto fare al riguardo, se solo fosse stato fatto in tempo».

Eppure, in tutto il mondo, gli esempi negativi non mancano: Science Post, riprendendo l’allarme degli scienziati israeliani, cita quello della lampreda marina, arrivata nel 1938 nel Lago Ontario, in Nord America, attraverso il canale navigabile che lo aveva collegato all’Atlantico, e che nei decenni seguenti ha decimato specie autoctone di grande valore commerciale come la trota, lo storione e il salmone.

E anche per quanto riguarda il Mediterraneo la Galil smentisce la tesi di Temraz: «Non è come se queste specie avessero aggiunto valore economico. Hanno rimpiazzato numerose specie autoctone che avevano un valore più elevato per il consumatore delle specie alloctone. I pescatori ne stanno soffrendo».

Share.

Leave A Reply