Elaborata una nuova grande teoria unificata per i fiocchi di neve

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Elaborata una nuova grande teoria unificata per i fiocchi di neve

I cristalli di neve sono tutti diversi uno dall’altro, ma ricadono sempre in due tipologie principali: a stella o a colonna. Il massimo esperto mondiale di fisica dei fiocchi di neve ha ora elaborato una nuova teoria che spiega il perché
di Rebecca Boyle/Quanta Magazine

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Kenneth Libbrecht è una di quelle rare persone che nel mezzo dell’inverno sono contente di lasciare il sud della California per un posto come Fairbanks, in Alaska, dove le temperature invernali ben di rado salgono sopra lo zero. Una volta arrivato, Libbrecht indossa un parka e si siede in un campo, con una macchina fotografica e un pannello di poliuretano espanso, ad aspettare la neve.

Nello specifico, cerca i cristalli di neve più brillanti, nitidi e belli che la natura sia capace di produrre. I fiocchi di qualità superiore, sostiene, tendono a formarsi nei posti più freddi, come Fairbanks e le zone innevate nell’interno dello stato di New York. La neve migliore che abbia mai scovato era a Cochrane, nel remoto Ontario nord orientale, dove non c’è tanto vento a sbatacchiare i fiocchi mentre cadono dal cielo.

Immerso tra gli elementi, Libbrecht osserva il pannello con la pazienza di un archeologo, alla ricerca di fiocchi e altri cristalli di neve perfetti. “Se ce n’è uno davvero bello – spiega – l’occhio lo individua. In caso contrario, si spazza via tutto e si ripete l’operazione, per ore.”

Quanta Magazine; source: Kenneth Libbrecht

Libbrecht è un fisico. Il suo laboratorio al California Institute of Technology ha studiato la struttura interna del Sole e ha sviluppato strumentazioni avanzate per la rilevazione delle onde gravitazionali. Però da vent’anni a questa parte la sua passione è la neve: non solo il suo aspetto, ma anche le cause che lo determinano. “È un po’ imbarazzante quando c’è qualcosa che scende dal cielo e devi dire: Perché ha questo aspetto? Non lo so”, afferma.

Da 75 anni i fisici sanno che i minuscoli cristalli nella neve rientrano in due tipologie principali. Una è la classica stella piatta a 6 o 12 punte, tutte decorate da rami di merletto uguali, in una serie vertiginosa di possibilità. L’altra è una colonna, a volte chiusa da due “tappi” piatti e a volte simile ai bulloni che si vendono nei ferramenta. Queste forme diverse si sviluppano in condizioni di temperatura e umidità differenti, ma il motivo alla base di questa differenza è ancora un mistero.

Negli anni, le osservazioni minuziose di Libbrecht hanno permesso di giungere ad alcune conoscenze sul processo di cristallizzazione della neve. “È sicuramente il papa del settore”, afferma Gilles Demange, esperto di scienza dei materiali all’Università di Rouen, in Francia, che studia anch’egli i cristalli di neve.

Kenneth Libbrecht (Cortesia Kenneth Libbrecht)

Oggi il lavoro di Libbrecht sulla neve si è cristallizzato in un nuovo modello che cerca di spiegare perché i fiocchi di neve e gli altri cristalli di neve si formino in quel modo. Il suo modello, dettagliato in un articolo pubblicato on-line dall’autore a ottobre, descrive la danza delle molecole d’acqua quando questa si avvicina al punto di congelamento e mostra come i loro movimenti particolari potrebbero spiegare la panoplia di cristalli che si formano in condizioni diverse. In una monografia separata, di 540 pagine, Libbrecht descrive tutto il corpus di conoscenze sui cristalli di neve. Douglas Natelson, fisico della materia condensata alla Rice University, ha descritto la nuova monografia come “un tour de force” e ha aggiunto: “Ragazzi, quel lavoro è uno spettacolo!”

Stelline a sei punte

Tutti sanno che non esistono due fiocchi di neve uguali, cosa che dipende dal modo in cui i cristalli si formano nel cielo. La neve è un grumo di cristalli di ghiaccio che si creano nell’atmosfera e mantengono la forma quando cadono tutti insieme al suolo. Si sviluppano quando l’atmosfera è abbastanza fredda da impedire loro di saldarsi insieme o di fondersi e di diventare nevischio o pioggia.

Anche se in una nuvola ci sono molte temperature e livelli di umidità diversi, per il singolo fiocco di neve queste variabili sono praticamente costanti; è per questo che di solito la crescita di un fiocco di neve è simmetrica. D’altra parte, ciascun fiocco di neve è sferzato da venti che cambiano direzione, dalla luce del Sole e da altre variabili, come nota la chimica Mary Jane Shultz della Tufts University, che ha pubblicato di recente un saggio sulla fisica dei fiocchi di neve, in cui spiega che ciascun cristallo, sottoposto al caos di una nuvola, assume una forma leggermente diversa.

Cortesia Kenneth Libbrecht

Secondo le ricerche di Libbrecht, le prime riflessioni di cui abbiamo traccia a proposito di queste forme delicate risalgono al 135 a.C., in Cina. “I fiori delle piante e degli alberi in genere hanno cinque punte, ma quelli della neve, che sono chiamati ying, hanno sempre sei punte”, scriveva l’erudito Han Yin. Però il primo a cercare di capirne i motivi dal punto di vista scientifico fu probabilmente il poliedrico scienziato tedesco Keplero.

In occasione del capodanno 1611, Keplero donò al suo mecenate, l’imperatore del Sacro romano impero Rodolfo II, un saggio intitolato Sul fiocco di neve a sei angoli. In quell’opera Keplero scrive di aver notato un fiocco di neve sul bavero della sua giacca mentre attraversava il Ponte Carlo a Praga e di non aver potuto far a meno di riflettere sulla sua geometria, commentando: “Deve esistere una causa per la quale la neve presenta la forma di una stellina a sei punte. Non può essere un caso”.

Sicuramente Keplero pensò alla lettera del suo contemporaneo Thomas Harriot, uno scienziato e astronomo inglese che, tra l’altro, fu ufficiale di rotta dell’esploratore Sir Walter Raleigh. Attorno al 1584 Harriot aveva studiato il modo più efficiente di accatastare le palle di cannone sui ponti delle navi di Raleigh; aveva scoperto che la maniera migliore per disporre le sfere il più vicino possibile le une alle altre era secondo schemi esagonali e ne aveva scritto a Keplero. Quest’ultimo si chiese se succedesse qualcosa di simile per i fiocchi di neve e se i loro sei lati fossero dovuti a una disposizione che fosse “l’unità naturale minima per un liquido come l’acqua”.

Si trattava di un’intuizione notevole, precorritrice della fisica atomica, che non sarebbe stata formalizzata per altri 300 anni. Di fatto, le molecole d’acqua, con i loro due atomi di idrogeno e uno d’ossigeno, tendono a legarsi insieme secondo schemi esagonali. Keplero e i suoi contemporanei non potevano sapere quanto ciò fosse importante.

Fiocco di neve a colonna (Cortesia Kenneth Libbrecht)

“Dato il legame idrogeno, e dati i dettagli del modo in cui le molecole interagiscono le une con le altre, si ha una struttura cristallina relativamente aperta”, spiega Natelson. Oltre a contribuire alla formazione dei fiocchi di neve, questa struttura esagonale rende il ghiaccio meno denso dell’acqua allo stato liquido, cosa che ha effetti enormi sulla geochimica, sulla geofisica e sul clima. Secondo Natelson, se il ghiaccio non galleggiasse “la vita sulla Terra non sarebbe possibile”.

Dopo il trattato di Keplero, l’osservazione dei fiocchi di neve rimase più un passatempo che oggetto di interesse scientifico. Negli anni ottanta dell’Ottocento un fotografo statunitense di nome Wilson Bentley (originario di Jericho, in Vermont, una località fredda dove cade neve di qualità) iniziò a creare le prime immagini di cristalli di neve usando lastre fotografiche e ne produsse più di 5000 prima di morire, alla fine, di polmonite.

Poi, negli anni trenta del Novecento, il ricercatore giapponese Ukichiro Nakaya avviò uno studio sistematico delle diverse tipologie dei cristalli di neve. Alla metà del secolo, Nakaya creava fiocchi di neve in laboratorio usando singoli peli di coniglio per sospendere cristalli di ghiaccio nell’aria refrigerata, dove potevano crescere fino a diventare fiocchi di neve veri e propri. Fece vari tentativi modificando i parametri di umidità e di temperatura per creare le due tipologie principali di cristalli e compilò così il suo catalogo fondamentale di forme possibili. Scoprì che le stelle tendono a formarsi a -2°C e -15°C, mentre le colonne si formano a -5°C e di nuovo a circa -30°C. In condizioni di bassa umidità le stelle formano pochi rami e somigliano a piastrine esagonali; quando invece l’umidità è alta sviluppano motivi più intricati e simili a merletti.

Secondo Libbrecht, a seguito del lavoro pionieristico di Nakaya iniziò a essere intravisto anche il motivo alla base delle diverse forme di cristalli. Questi diventano stelle piatte e piastrine (invece di strutture tridimensionali) quando i loro orli crescono rapidamente verso l’esterno mentre le facce crescono lentamente in altezza; si sviluppano invece in colonne sottili quando le facce crescono in fretta e gli orli crescono lentamente.

Però i processi atomici sottostanti che determinano se i cristalli avranno la forma di stelle o di colonne rimanevano opachi. “Che cosa cambia con la temperatura?”, si chiede Libbrecht. “Sto cercando di mettere insieme tutti i pezzi.”

La ricetta dei fiocchi di neve

Libbrecht e il piccolissimo manipolo di ricercatori che studiano questo problema stanno cercando di trovare la ricetta dei fiocchi di neve, per così dire: una serie di equazioni e parametri che si possano impostare in un supercomputer, il quale poi rigurgiterebbe la splendida varietà di fiocchi di neve che effettivamente vediamo.

Libbrecht iniziò a dedicarsi a questa ricerca vent’anni fa, dopo aver sentito parlare di un fiocco di neve con una forma diversa dal solito, la colonna con due tappi, che somiglia a un rocchetto di filo vuoto oppure a due ruote collegate da un asse. Il ricercatore, che era nato in Nord Dakota, ne rimase colpito e si chiese: “Com’è possibile che non ne ho mai visto uno così?”.

Affascinato dalle forme sempre diverse della neve, si mise a studiarne la natura per un libro di divulgazione scientifica che avrebbe pubblicato in seguito, e si mise anche a scattarne fotografie. Ben presto iniziò ad armeggiare con strumenti per creare fiocchi di neve in laboratorio. Il suo nuovo modello è il risultato di osservazioni fatte nel corso di decenni che, afferma, hanno iniziato di recente a saldarsi insieme in una forma comune.

La scoperta chiave è stata un’idea chiamata diffusione molecolare alimentata dall’energia di superficie, che descrive il modo in cui la crescita di un cristallo di neve dipende dalle condizioni iniziali e dal comportamento delle molecole che lo compongono.

Immaginiamo alcune molecole d’acqua disposte in formazione libera nel momento in cui il vapore acqueo inizia a ghiacciare. Se potessimo guardare questo processo da un minuscolo osservatorio, vedremmo che nel congelarsi le molecole d’acqua iniziano a formare un reticolo rigido in cui ciascun atomo di ossigeno è circondato da quattro atomi di idrogeno. Questi cristalli crescono incorporando nel proprio schema altre molecole d’acqua provenienti dall’aria circostante e possono svilupparsi principalmente in due direzioni: verso l’alto o verso l’esterno.

Un cristallo sottile e piatto (che sia una piastrina o una stellina) si forma quando gli orli catturano materiale più rapidamente rispetto alle due facce del cristallo: in questo caso il cristallo che sta fiorendo si espande verso l’esterno. Invece, se le facce crescono più rapidamente degli orli, il cristallo cresce in altezza, formando un ago, una colonna vuota o una bacchetta.

Secondo il modello di Libbrecht, il vapore acqueo si appoggia prima sugli angoli del cristallo e poi si diffonde lungo la superficie, cioè lungo l’orlo oppure lungo la faccia, facendo crescere il cristallo rispettivamente verso l’esterno oppure verso l’alto. Quale dei due processi abbia il sopravvento nell’interazione di diverse instabilità e diversi effetti di superficie dipende soprattutto dalla temperatura.

Tutto questo avviene solo nel ghiaccio, un minerale insolito, a causa di un fenomeno chiamato “pre-fusione”. Dato che il ghiaccio formato dall’acqua di solito si trova vicino al punto di fusione, i primissimi strati sono simili a un liquido e disordinati. La pre-fusione avviene in modo diverso sulle facce e sugli orli in funzione della temperatura, anche se non conosciamo ancora completamente i dettagli del processo. “Questa è la parte del modello dove invento le cose di sana pianta”, afferma Libbrecht, che comunque sostiene che il quadro fisico generale sembra plausibile.

Il nuovo modello è “semi-empirico”, parzialmente votato a corrispondere alle osservazioni invece di spiegare lo sviluppo dei fiocchi di neve partendo dai soli principi fondamentali. Le instabilità e le interazioni tra innumerevoli molecole sono troppo complesse da dipanare completamente. Però il ricercatore spera che le sue idee vadano a formare le basi di un modello completo delle dinamiche di sviluppo del ghiaccio, che potrà essere precisato meglio da misurazioni ed esperimenti più dettagliati.

Anche se il ghiaccio è particolarmente strano, sorgono domande simili anche più in generale nella fisica della materia condensata. Molecole di medicinali, chip semiconduttori per computer, celle solari e innumerevoli altre applicazioni si basano su cristalli di alta qualità, perciò interi gruppi di ricerca si concentrano sulle basi della crescita dei cristalli.

Meenesh Singh fa parte di uno di questi gruppi all’Università dell’Illinois, a Chicago. In un articolo recente Singh e un suo coautore hanno identificato un nuovo meccanismo che potrebbe essere alla base dello sviluppo di cristalli nei solventi, un meccanismo diverso dalla cristallizzazione legata al cambiamento di fase studiato da Libbrecht nella neve e nel ghiaccio. Nella cristallizzazione dei solventi i materiali solidi sono dissolti in una soluzione con l’acqua o un altro liquido. Modificando la temperatura e aggiungendo altri solventi, i produttori possono cristallizzare nuove molecole di medicinali, produrre nuovi cristalli per le celle solari, eccetera.

“Tutte le applicazioni dello sviluppo di cristalli sono trattate in modo empirico”, afferma Singh. “Si parte da alcuni dati empirici e usando quelle informazioni si cerca di spiegare come si dovrebbe sviluppare un cristallo.” Però, aggiunge, non è chiaro come una molecola nella soluzione si integri in un cristallo. “Che cos’è che porta di fatto la molecola a comportarsi così? Perché è portata a formare un cristallo? Quando iniziamo a rifletterci sorgono tante domande per le quali non abbiamo una risposta.”

Libbrecht è convinto che nei prossimi anni esperimenti migliori e simulazioni computerizzate più complesse risponderanno a molte domande sulla crescita dei cristalli. “Un giorno sarà possibile creare un modello molecolare completo, fino al livello atomico e vedere questi fenomeni in atto, fino al livello della meccanica quantistica”, afferma.

Mentre cerca di svelarne la fisica, continua a divertirsi a fotografare i cristalli di neve e a viaggiare per farlo. Negli ultimi tempi però è rimasto nel sud assolato della California, dove, nel suo laboratorio, ha messo in piedi un sofisticato sistema per creare fiocchi di neve. Oggi ha 61 anni e si avvicina alla pensione, e ciò significa, come ha affermato, che “mi tolgo di dosso le catene degli altri lavori. D’ora in poi occuperò solo del ghiaccio”.

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(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2019 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione di Francesca Bernardis, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

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