Arpa Piemonte: lo scioglimento dello strato di Permafrost sul Monviso rischia di innescare frane importanti
Il fenomeno sarebbe dovuto all’innalzamento delle temperature. Nei prossimi giorni la parete est verrà ispezionata con un drone
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Il Monviso a rischio di “possibili fenomeni importanti di frana” che potrebbero essere determinati dai cambiamenti climatici. Questa la diagnosi dei geologi di Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) dopo il sopralluogo effettuato a seguito dell’ imponente crollo avvenuto il 26 dicembre sulla parete est, da dove si sono staccati 200 mila metri cubi di roccia. Gli esperti ipotizzano che causa del collasso, oltre alla fratturazione della roccia, sia la degradazione del permafrost, lo strato perennemente gelato. Il distacco di roccia sul Monviso si è verificato alla sommità del Torrione del Sucai, a 3200 metri di altitudine e si è sviluppato fino a 2800 metri, interessando una fascia rocciosa di 45-55 metri. I massi di maggiori dimensione rotolati a valle sono almeno 4, con una volumetria di 150-250 metri cubi.
La frana viene monitorata con grande attenzione: “Considerata la marcata fratturazione dell’ammasso roccioso nel settore già interessato dal crollo, è probabile – scrivono nella relazione i geologi di Arpa – che la parete non abbia ancora raggiunto un equilibrio”. Nei prossimi giorni la parete est del Monviso, la montagna da cui nasce il fiume Po, verrà ispezionata con un drone.
Qui di seguito il comunicato Arpa PIemonte:
Il 26 dicembre 2019 un settore della parete nordest del Monviso, posto circa 200 metri a sudest del Canalone Coolidge, è stato interessato da un crollo in massa di grandi dimensioni. Il distacco si è verificato alla sommità del Torrione del Sucai, indicativamente alla quota di 3200 m s.l.m. e si è sviluppato fino circa a quota 2800 m; l’ampiezza della fascia rocciosa coinvolta è di circa 45-55 metri. Il materiale crollato, dopo aver percorso il canale sottostante il torrione, si è distribuito sul cono detritico preesistente tra le quote di 2650 e 2520 m. Sulla base dei parametri dimensionali stimati è plausibile ritenere che il fenomeno abbia mobilizzato circa 200000 metri cubi di roccia e che i blocchi di maggiori dimensioni, distribuiti sul bordo inferiore dell’accumulo, raggiungano dimensioni di 150-250 metri cubi.
Il settore di parete dove si è sviluppata la frana aveva già dato segnali di attività nel passato come testimoniano i numerosi blocchi di grandi dimensioni presenti alla sua base; in particolare, dal confronto tra le fotografie aeree, si osserva un netto aumento dei massi nel periodo successivo al 2010.
Tenendo conto della quota e dell’esposizione del settore di parete crollato si può ipotizzare che, oltre alla fratturazione della roccia, la degradazione del permafrost abbia rivestito un ruolo determinante nell’innesco del processo.
L’8 gennaio scorso i tecnici Arpa hanno effettuato un sopralluogo che ha permesso di perimetrare con precisione il bordo inferiore dell’accumulo e di effettuare riprese fotografiche della parete interessata dal crollo; dal confronto con immagini precedenti è stato possibile delimitare la porzione rocciosa crollata.
Parete interessata dal crollo | La porzione rocciosa crollata |
Nel corso del sopralluogo e ancora nei giorni successivi si è constatata una residua attività della zona con crolli di piccole dimensioni. Considerata la marcata fratturazione dell’ammasso roccioso è probabile che la parete non abbia ancora raggiunto un equilibrio e quindi che siano ancora possibili fenomeni importanti di frana.
Gli esiti del sopralluogo sono riportati in una specifica scheda di dettaglio del sistema informativo frane in Piemonte SIFraP.