Come stanno i ghiacciai continentali? A quale velocità stanno fondendo?

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Come stanno i ghiacciai continentali? A quale velocità stanno fondendo?

A causa delle crescenti emissioni di gas serra, le temperature globali aumentano ed i ghiacciai continentali fondono a ritmi sempre più elevati. Un team internazionale di scienziati polari ha unito le forze per costruire un quadro aggiornato dello stato di salute dei ghiacciai dell’Antartide e della Groenlandia.
di Daniele Melini
ingvambiente.com

Il riscaldamento globale è una realtà che già oggi possiamo toccare con mano e che, nei prossimi decenni, avrà un impatto sempre maggiore sulla nostra società. L’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre, dovuto principalmente all’impiego dei combustibili fossili, sta progressivamente alterando i delicati equilibri che regolano la temperatura del nostro pianeta. I dati dimostrano in modo inequivocabile che le temperature medie globali sono aumentate di circa 1 grado rispetto al periodo che precede la rivoluzione industriale.

L’effetto più evidente dell’aumento delle temperature è la fusione dei ghiacciai. Sulla Terra esistono due grandi ghiacciai continentali: la Groenlandia e l’Antartide. Se il ghiaccio della Groenlandia fondesse completamente, l’acqua prodotta sarebbe sufficiente a far salire in tutto il mondo il livello medio degli oceani di oltre 7 metri. Se invece fondessero i ghiacciai dell’Antartide, molto più estesi, il livello marino crescerebbe di quasi 60 metri.

In che stato di salute si trovano i ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartide?

Tenere sotto controllo lo stato di salute dei ghiacciai della Groenlandia e dell’Antartide è molto importante sia per monitorare gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, sia per raccogliere dati utili per prevedere l’evoluzione del clima nel prossimo futuro.

A partire dai primi anni ‘90 sono stati lanciati in orbita satelliti dotati di strumenti in grado di misurare l’evoluzione dei ghiacciai dallo spazio. Misurando la distanza fra il satellite e la superficie del ghiaccio con speciali altimetri, ad esempio, è possibile capire se lo spessore della calotta stia crescendo o assottigliandosi. Una nuova generazione di strumenti, sviluppati a partire dagli anni 2000, misura con grandissima precisione il campo gravitazionale della Terra, ed è in grado di rilevare i debolissimi cambiamenti di gravità dovuti alla variazione della massa di ghiaccio.

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Nel corso degli anni, il flusso turbolento dell’acqua proveniente dalla fusione dei ghiacciai ha scavato questo canyon profondo 18 metri; notare le persone sulla destra per avere un’idea delle dimensioni.

Utilizzare la mole di dati raccolti in 25 anni di misure satellitari per costruire un quadro preciso dell’evoluzione dei ghiacciai continentali richiede un lavoro di analisi piuttosto complesso. Occorre infatti mettere insieme dati raccolti con tecniche diverse, e tenere traccia della precisione dei vari strumenti per calcolare il margine d’errore associato al risultato finale. Inoltre occorre tenere conto dell’interazione fra il ghiaccio e la Terra su cui poggia. Infatti, se un ghiacciaio si assottiglia, il suo peso si riduce. Conseguentemente la superficie della Terra si solleva, dal momento che il carico che vi poggia si è alleggerito. Questo effetto, chiamato rimbalzo post-glaciale, può essere calcolato con modelli geodinamici globali e deve essere rimosso dai dati osservati per isolare il solo contributo dovuto ai cambiamenti climatici. Infatti la terraferma sotto i ghiacciai si sta ancora sollevando in seguito allo scioglimento delle calotte dell’ultima era glaciale, iniziato più di 20.000 anni fa.

Per ottenere le migliori stime possibili dell’evoluzione dei ghiacciai continentali, da alcuni anni è stato formato un team internazionale di ricerca, chiamato IMBIE (International Mass Balance Intercomparison Exercise, www.imbie.org). L’obiettivo della collaborazione IMBIE, supportata dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dalla NASA, è quello di unire gli sforzi della comunità internazionale di scienziati polari per ottenere un quadro aggiornato e preciso dello stato di salute dei ghiacciai continentali. Attualmente il team è composto di 89 ricercatori appartenenti a 50 università e centri di ricerca sparsi per il mondo, fra cui l’INGV e l’Università di Urbino.

Recentemente, la collaborazione IMBIE ha pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature i risultati di uno studio sui ghiacciai della Groenlandia. In questa pubblicazione è stata ricostruita la variazione della quantità di ghiaccio nel corso dei 25 anni che vanno dal 1992 al 2017 attraverso l’analisi dei dati raccolti da 11 satelliti, integrati con 6 modelli indipendenti di rimbalzo post-glaciale e 3 modelli climatici regionali. I risultati ottenuti rappresentano lo stato dell’arte delle nostre attuali conoscenze sulla Groenlandia. Mostrano in maniera inequivocabile una perdita costante di ghiaccio dalla Groenlandia nel periodo esaminato, seppure con una velocità di fusione notevolmente variabile nel tempo.

grafico1Il grafico mostra il tasso di fusione dei ghiacciai della Groenlandia fra il 1992 ed il 2017, stimati dalla collaborazione IMBIE. I rettangoli grigi rappresentano l’intervallo di confidenza, ovvero il margine d’errore dei singoli tassi di fusione. La scala a sinistra rappresenta la variazione annuale della massa di ghiaccio in miliardi di tonnellate l’anno (GT/yr), mentre la scala di destra rappresenta la corrispondente variazione globale di livello marino in millimetri l’anno (mm/yr).

In particolare dai dati risulta che negli anni ‘90 i ghiacciai della Groenlandia erano in una condizione relativamente stabile. In questo periodo il tasso di fusione medio si attestava sui 33 miliardi di tonnellate l’anno. A partire dal 2000, le condizioni climatiche hanno favorito un aumento delle temperature dell’atmosfera e degli oceani ed una corrispondente riduzione della copertura di nuvole durante i mesi estivi. Di conseguenza, i ghiacciai hanno iniziato a fondere a velocità sempre crescente. Il tasso di scioglimento massimo è stato raggiunto nel 2011, con la fusione di ben 335 miliardi di tonnellate di ghiaccio, 10 volte il tasso medio degli anni ‘90. Negli anni più recenti lo scioglimento sembrerebbe aver rallentato: nel periodo fra il 2013 ed i 2017 la media è stata di 217 miliardi di tonnellate l’anno. Il 2018 si è chiuso con un bilancio di 111 tonnellate di ghiaccio in meno. Questo rallentamento è dovuto all’effetto combinato di una serie di cause, fra cui la circolazione atmosferica che ha favorito temperature più basse e l’aumento delle precipitazioni nevose. Ma è presto per tirare un sospiro di sollievo: occorreranno altre misure per capire se il tasso di fusione si manterrà su livelli contenuti o se, invece, tornerà a crescere, come sembrano purtroppo indicare i dati preliminari raccolti nel corso del 2019.

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Il grafico mostra la variazione complessiva di massa dei ghiacciai della Groenlandia dal 1992 ad oggi. La regione colorata corrisponde al margine di incertezza, la scala di sinistra rappresenta la variazione della massa in miliardi di tonnellate (GT), mentre la scala di destra la corrispondente variazione globale di livello marino in millimetri.

Nonostante la velocità di fusione sia molto variabile, i dati dimostrano chiaramente che, da metà anni ‘90 ad oggi, la Groenlandia non ha mai smesso di perdere ghiaccio. Complessivamente, i dati elaborati dal team IMBIE indicano una perdita di 3.800 miliardi di tonnellate di ghiaccio fra il 1992 ed il 2018, corrispondenti a 10,6 millimetri di aumento del livello del mare.

I processi responsabili della fusione dei ghiacciai sono due: lo scioglimento dovuto all’aumento delle temperature dell’aria, ed il distacco di iceberg (il cosiddetto “calving”), dovuto all’aumento delle temperature degli oceani. Utilizzando modelli climatici regionali, il team IMBIE è riuscito a stimare il contributo separato di questi due processi: la perdita di massa glaciale è avvenuta per metà a causa della fusione… L’ARTICOLO CONTINUA QUI

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