Ecco il razzo della NASA con cui torneremo sulla Luna
La NASA ha presentato alla stampa lo stadio principale dello Space Launch System, il vettore con cui l’agenzia spaziale statunitense progetta di riportare un equipaggio umano sulla Luna nel 2024. Alto quasi 65 metri, il core stage è una componente cruciale del programma Artemis, che sembra procedere a un buon ritmo
di Emiliano Ricci
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Il 2019 sta per finire e con esso le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario del primo uomo sulla Luna. Ma l’anno non poteva chiudersi senza l’ultimo fuoco d’artificio dell’agenzia spaziale statunitense: la presentazione ufficiale, la mattina di lunedì 9 dicembre 2019, del razzo che sarà finalmente in grado di raccogliere l’eredità del celebre Saturn V, il più potente mai costruito e l’unico, fino a oggi, capace di portare l’uomo sulla Luna.
Parliamo dello Space Launch System (SLS), il vettore progettato dalla NASA per portare di nuovo – entro il 2024 – equipaggi umani a camminare sul nostro satellite, come previsto dall’ambizioso programma Artemis. Il passo avanti è rilevante, una vera e propria pietra miliare del progetto, come ha sottolineato l’amministratore capo dell’agenzia Jim Bridenstine davanti alla stampa chiamata a raccolta alla Michoud Assembly Facility a New Orleans, la struttura dell’agenzia spaziale statunitense dove è stato completato l’assemblaggio del cosiddetto core stage dello SLS, ovvero lo stadio principale del vettore.
“Il regalo di Natale della NASA all’America”, come l’ha definito Bridenstine durante la presentazione, è infatti la prima versione (definita Block 1) interamente assemblata del razzo SLS, mostrata per la prima volta al pubblico prima di essere trasferita entro la fine dell’anno – dopo che i tecnici avranno completato tutte le fasi di montaggio e controllo dei sistemi interni dell’avionica e della propulsione – allo Stennis Space Center ad Hancock County, in Mississippi, il più grande e più importante centro della NASA per testare il funzionamento dei motori dei razzi. Qui i quattro motori dello SLS verranno accesi per otto minuti, l’intervallo di tempo necessario per raggiungere l’orbita e durante il quale dovranno quindi garantire il funzionamento.
Bridenstine non si è sbilanciato nel fornire possibili date o scadenze per il primo lancio, ma ha spiegato che il completamento del core stage in versione Block 1 è da considerare un passo fondamentale per tutto il programma. In origine, il primo lancio della missione Artemis 1 era previsto per novembre 2018, ma è stato spostato prima a dicembre 2019 e poi a giugno 2020, e Bridenstine ha già dichiarato tempo fa che il primo lancio non si avrà prima del 2021, anche se ufficialmente alla NASA lavorano affinché si possa portare a termine la prima missione entro il prossimo anno, soprattutto perché eventuali altri ritardi metterebbero a rischio l’obiettivo finale del 2024.
In dettaglio, la versione Block 1 dello SLS è costituita dal core stage costruito dalla Boeing (principale appaltatore della NASA per il programma Artemis), alimentato da quattro motori Aerojet Rocketdyne RS-25 “riciclati” dal programma degli space shuttle (sono tutti motori che hanno già volato, montati su diverse navette), due razzi Northrop Grumman (uno per lato), e uno stadio superiore, ancora della Boeing, denominato Interim Cryogenic Propulsion Stage (ICPS).
A sua volta, il core stage è composto da cinque elementi: dal basso verso l’alto troviamo rispettivamente il già citato blocco dei quattro motori, il serbatoio dell’idrogeno liquido (LH2), capace di due milioni di litri a una temperatura di -253 °C, l’elemento detto intertank, che serve da anello di congiunzione dei due serbatoi, il serbatoio dell’ossigeno liquido (LOX), capace di quasi 750.000 litri a una temperatura di -183 °C, infine il blocco anteriore, che contiene, oltre ad alcune componenti dell’avionica del razzo (in parte presenti anche nel blocco motori e in quello intermedio), i veri e propri computer di volo, che controllano le diverse funzioni del razzo e le relative prestazioni.
Messi tutti assieme, i cinque elementi del core stage, che hanno un diametro di oltre otto metri, raggiungono un’altezza di quasi 65 metri. Quando il razzo sarà nella sua configurazione completa, con tutti gli altri elementi assemblati, compresa la navicella Orion, la capsula per l’equipaggio, arriverà a superare i 98 metri. Più basso della configurazione finale del Saturn V del programma Apollo (oltre 110 metri di altezza), ma capace di garantire una spinta al decollo di oltre il 15 per cento superiore del suo illustre predecessore.
“Non ci si deve stupire se la storia di un grande lanciatore è complessa: tecnologia, strategia, politica, lobbying industriale, si mescolano indissolubilmente”, spiega Roberto Battiston, docente di fisica sperimentale all’Università di Trento ed ex presidente dell’Agenzia spaziale italiana (ASI), a cui abbiamo chiesto un commento. “Lo sviluppo del Saturn V probabilmente rappresenta un risultato irraggiungibile: un investimento pari a 34 miliardi di dollari (attualizzati al 2018) in nove anni per realizzare 15 veicoli, i più potenti di sempre, inclusa la parte di ricerca e sviluppo. D’altra parte, la storia dello SLS è di certo molto più complessa: dal 2011, in otto anni di sviluppo e senza avere ancora volato una volta, sono stati spesi 15 miliardi di dollari (2018), per un progetto che prevedeva un investimento di dieci miliardi complessivi e una data di completamento prevista per il 2017. Oggi si pensa che non sarà possibile effettuare il primo lancio di prova entro il 2021.”
Un altro aspetto critico di cui occorre tenere conto sono i costi di lancio. Al momento non esiste un valore esatto, ma solo alcune stime, l’ultima delle quali – direttamente della Casa Bianca, riportata in una recente lettera inviata al Congresso – parla di due miliardi di dollari a lancio, circa il doppio del costo di lancio del Saturno V (sempre attualizzato al valore del dollaro del 2018). Anche durante la presentazione, a Bridenstine è stato chiesto il costo per lancio dello SLS. L’amministratore della NASA ha spiegato che dipende da quanti ne verranno prodotti: il costo naturalmente diminuisce all’aumentare del numero di SLS acquistati; in ogni caso Bridenstine pensa di poterlo dimezzare grazie a ulteriori negoziati con Boeing (che implicano comunque l’acquisto di diversi SLS).
“Come se non bastasse, nell’ultimo decennio si è affermata la tecnologia di lancio dei privati”, prosegue Battiston. “In particolare il Falcon-9 di SpaceX: la versione Falcon Heavy, basata su tre Falcon-X, ha già volato con successo nel 2018 e sarebbe sufficiente per portare verso la Luna la capsula Orion, sviluppata dall’industria europea in collaborazione con la NASA. E questo con un costo di lancio decisamente più basso, intorno a 100 milioni di dollari.” Lo stesso Bridenstine, in effetti, alcuni mesi fa ha dichiarato che per raggiungere l’obiettivo di tornare sulla Luna entro il 2024 non sarebbe escluso il ricorso ai privati, in particolare proprio a SpaceX.
Se così fosse, quale sarebbe la sorte dello SLS appena presentato? “Il bilancio della NASA proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per il 2020 non prevede risorse nel medio termine dedicate allo sviluppo delle versioni dello SLS successive al Block 1B [l’evoluzione, con maggiore potenza, immediatamente successiva alla versione appena presentata], attualmente in corso di sviluppo. Non resta quindi che attendere: i prossimi anni si preannunciano movimentati nel settore dei potenti lanciatori per l’esplorazione spaziale”, conclude Battiston.