Inceneriti in Australia più di 3 milioni di ettari di foreste, più che in Amazzonia e California messe insieme

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Inceneriti in Australia più di 3 milioni di ettari di foreste, più che in Amazzonia e California messe insieme

A rischio la sopravvivenza dei Koala, ma il governo negazionista climatico continua a puntare sul carbone
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Mentre l’Australia è devastata dagli incendi più pericolosi e catastrofici che abbia mai visto, il New South Wales ha dichiarato lo stato di emergenza dopo che il fuoco ha bruciato oltre 3 milioni di ettari, distruggendo più di 800 case e uccidendo 8 persone. Si tratta di qualcosa di davvero enorme se si pensa che nei mega-incendi della California del 2018 sono bruciati 1,8 milioni di ettari e che negli incendi dell’Amazzonia che quest’anno hanno sollevato per settimane la rabbia e la preoccupazione del mondo verso il governo neofascista brasiliano di Jair Bolsonaro e che sono stati tra le cause del golpe in Bolivia sono bruciati “solo” circa 900.000 ettari.

In Australia le fiamme che hanno raso al suolo intere foreste a hanno raggiunto il 70 metri di altezza, attizzate e sospinte da un clima caldo e secco, da una siccità prolungata e da venti forti. Ieri, nel solo

New South Wales erano attivi quasi 100 incendi, molti dei quali senza nessuna squadra di intervento ad affrontarli e che continuano a minacciare vite e abitazioni.

Gli incendi sono stati esacerbati da temperature di 40° C, creando condizioni difficili per i 2.500 vigili del fuoco schierati sul campo. Il 22 dicembre Balmoral, una cittadina a sud-ovest di Sydney, è stata in gran parte distrutta dagli incendi, le principali strade a sud di Sydney sono chiuse e ai turisti viene consigliato di rinviare le loro vacanze natalizie.

Nel nord del New South Wales sono in corso giganteschi incendi tra Port Macquarie e Byron Bay. Più a sud si teme che il vasto incendio della Gospers Mountain, originatosi nel Wollemi National Park, possa unirsi all’incendio di Green Wattle Creek nelle basse Blue Mountains inferiori. Il 22 dicembre, il NSW Rural Fire Service ha comunicato che l’incendio nelle Blue Mountains, un’area del patrimonio mondiale dell’umanità e una nota destinazione turistica, aveva già incenerito circa 64.000 ettari ed era fuori controllo: le squadre di vigili del fuoco nella regione stanno sfruttando un abbassamento delle temperature per effettuare il “back burning”, una tecnica di contr-fuoco che brucia deliberatamente piccole aree per non far avanzare o rallentare gli incendi.

Il fumo dei mega-incendi, spinto da venti che soffiavano da sud-est, ha raggiunto più volte Sydney, causando un grave inquinamento atmosferico nella più grande città dell’Australia.

Paragonata alla disastrosa situazione del New South Wales quella drammativ ca negli altri Stati australiani sembra quasi normale. L’incendio del Cudlee Creek neLSouth Australia ha distrutto più di 80 case e resta in atto un allarme “watch and act” per alcune aree della regione delle Adelaide Hills.

Nel vicino Stato di Victoria, diversi grandi incendi sono in corso a ovest di Melbourne, con un allarme “watch and act” per l’incendio di Tambo Crossing.

In un Paese che nelle recenti elezioni ha confermato – a sorpresa – la fiducia a un governo nazional-conservatore negazionista climatico, fedele amico di Donald Trump e che si è distinto anche alla recente COP25 Unfccc di Madrid per il suo ecoscetticismo, molti australiani si stanno ponendo la domanda se questi incendi siano collegati ai cambiamenti climatici. Gli scienziati australiani avevano da tempo avvertito il governo federale che un clima più caldo e più secco avrebbe contribuito sempre di più a rendere gli incendi più frequenti e più intensi. L’incendio boschivo con più morti mai avvenuto in Australia è stato il “”Black Saturday” del febbraio 2009, quando nel Victoria morirono circa 180 persone. Il Bureau of Meteorology dice che dati dimostrano che dal 1910 ad oggi l’Australia si è riscaldata complessivamente di poco più di 1° C, ma la gran parte di questo riscaldamento è avvenuta a partire dal 1950.

Quest’anno in Australia è stato battuto il record assoluto della temperatura due volte di seguito la scorsa settimana: il 17 dicembre è stata registrata una temperatura massima media di 40,9° C, il 18 dicembre di 41,9° C. Il precedente record era di 40,3° C e risaliva al 2013.

I climatologi dicono che il principale fattore dietro a questo caldo record è l’Indian Ocean Dipole (IOD) positivo, un evento climaico periodico durante il quale le temperature della superficie del mare sono più calde nella metà occidentale dell’oceano Indiano, più fresche a est, portando a una diminuzione delle precipitazioni in Australia. La differenza tra le due temperature è attualmente la maggiore mai registrata negli ultimi 60 anni.

Comunque, il governo australiano è sotto accusa per le sue insufficienti politiche climatiche. L’Australia è uno dei maggiori produttori di gas serra pro capite al mondo e, in base all’Accordo di Parigi, aveva fissato un obiettivo di riduzione delle emissioni modesto: il 26 -28% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Obiettivi giudicati troppo bassi, tanto che a settembre l’Onu ha avvertito che «Non vi è stato alcun miglioramento nella politica climatica australiana dal 2017 e si prevede che i livelli di emissione per il 2030 siano ben al di sopra dell’obiettivo». Il Climate Change Performance Index ha classificato l’Australia ultima per politiche climatiche tra i 57 Paesi responsabili di oltre il 90% delle emissioni di gas serra, mettendo in evidenza l’assenza del governo australiano al Climate Action Summit dell’Onu a settembre e la sua uscita dal fondo internazionale per affrontare i cambiamenti climatici.

Di fronte a tutto questo, l’ineffabile governo australiano ribatte di essere sulla buona strada per rispettare i suoi impegni per il 2030 perchè le emissioni del Paese nel 2030 saranno inferiori del 16% rispetto ai livelli del 2005 nel 2030. Una miseria rispetto agli impegni presi dall’Unione europea e a quanto stanno facendo gli altri Paesi del Pacifico. Il “trucco” usato dal governo di destra australiano è quello d conteggiare negli obiettivi per il 2030 le emissioni di CO2 già ridotte ai sensi del precedente protocollo di Kyoto.

Ma finora l’Australia si è rifiutata di pianificare un futuro ad emissioni net-zero e resta saldamente tra i maggiori esportatori al mondo di carbone, ferro, uranio e gas, Secondo l’International energy agency, nel 2017 l’Australia era il quarto maggiore produttore di carbone ed eliminare il carbone come fonte di energia è considerato cruciale per limitare il riscaldamento globale entro gli 1,5° C, ma il governo australiano sta continuando a sostenere l’industria del carbone per il ruolo che svolge nell’economia e ad autorizzare nuove miniere e porti carboniferi.

Di fronte alle critiche sulla sua gestione degli incendi e alla mancanza di vere politiche climatiche, il primo ministro liberaldemocratico australiano Scott Morrison – un noto negazionista climatico pro-carbone – ha risposto: «Non farò tagli sconsiderati all’industria del carbone» e il suo governo ha da poco dato il via libera a una contestata miniera, destinata a diventare la più grande del mondo, per esportare carbone in India.

E proprio su incendi e miniere di carbone Greenpeace Australia Pacific ha lanciato un pressante allarme: «La regione della Greater Sydney è in grave pericolo di inquinamento atmosferico estremamente tossico poiché le mappe degli incendi di crisi ora collocano le “aree bruciate” su due miniere di carbone altamente infiammabili». Infatti, il mega-incendio della Gosper’s Mountain si era avvicinato alla miniera di carbone di Springvale, circondandola completamente, e il Rural Fire Service aveva annunciato che due incendi si erano uniti e minacciavano la miniera di carbone di Tahmoor.

Nikola Casule, responsabile ricerca e indagini di Greenpeace Australia Pacific, sottolinea che «Il carbone è estremamente infiammabile, il che significa che gli incendi potrebbero probabilmente bruciare per settimane, emettendo fumi tossici che aggraveranno i già pericolosi livelli di inquinamento atmosferico in tutto il New South Wales. I fumi tossici emessi dagli incendi delle miniere di carbone non mettono a rischio solo i lavoratori e i soccorritori dei servizi di emergenza, ma anche le famiglie e le comunità. Gli incendi delle miniere di carbone causerebbero un significativo peggioramento della crisi dell’inquinamento atmosferico che stiamo già vivendo, poiché il carbone produce emissioni altamente tossiche che sono incredibilmente pericolose per le famiglie, in particolare i bambini piccoli e gli anziani».

L’ultima volta che l’Australia ha subito un grande incendio in una miniera di carbone è stato ad Hazelwood nel 2014, dove le fiamme bruciarono per 6 settimane, emettendo sostanze chimiche tossiche come monossido di carbonio, biossido di azoto, anidride solforosa, composti aromatici policiclici, composti organici volatili, diossine e furani e metalli. Una successiva indagine indipendente rivelò che 11 decessi prematuri erano attribuibili agli incendi, insieme a una serie di impatti sulla salute in corso tra cui un aumentato rischio di cancro ai polmoni, aritmie cardiache, condizioni respiratorie, infarto, ictus, cancro ai polmoni, declino cognitivo a lungo termine e effetti psicosociali.

Il governo Morrison ha però approvato l’Emissions Reduction Fund (ERF) che prevede investimenti per 2 miliardi di dollari australiani distribuiti in 15 anni per aiutare le aziende e gli agricoltori a ridurre le emissioni, portando gli investimenti totali a 4,5 miliardi di dollari. Il governo afferma che questo ridurrà le emissioni di CO2 di 100 milioni di tonnellate, Un piano che è stato ben accolto per alcuni aspetti, anche se l’Ocse in un recente rapporto scrive che «L’Australia ha adottato un approccio frammentario alla riduzione delle emissioni. Il governo deve dimostrare come gli strumenti esistenti, come il FER, possono essere ampliati per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi».

Intanto l’Australia è diventata uno dei posti al mondo dove gli effetti dei cambiamenti climatici sono più brutali ed evidenti, eppure buona parte dei parlamentari liberaldemocratici e nazionalisti mettono in discussione gli impatti dell’aumento dei livelli di CO2 su eventi come gli attuali incendi.

Tra gli scienziati australiani non ci sono dubbi che l’aumento delle temperature globali stia portando a un caldo record e che le ondate di caldo, pur innescate dall’Indian Ocean Dipole sono più intense a causa del surriscaldamento planetario.

Durante l’ultima (vincente) campagna elettorale, il partito liberal democratico ha definito il cambiamento climatico «una mania metropolitana per i professionisti urbani» e ha chiesto, e ottenuto, ottenuto il sostegno per realizzare la più grande miniera di carbone del mondo. Ora i mega-incendi devastano da settimane le zone rurali australiane e preziosi parchi nazionali e animali unici al mondo, tanto che il Wwf Australia ha stimato che «ben 350 koala del New South Wales siano morti in questi incendi, molti altri sono stati feriti e innumerevoli sono ora senza rifugio. I catastrofici mega-incendi stanno peggiorando la crisi di estinzione che stiamo già affrontando. La maggior parte dei koala sulla costa orientale dell’Australia vive all’interno del “Triangolo dei Koala”, una regione in cui la specie potrebbe estinguersi in meno di 30 anni. Gli incendi che stanno imperversando in quest’area, stanno potenzialmente accelerando questa sequenza temporale».

L’ecologista Dailan Pugh è convinto che il disastro per i koala potrebbe essere molto peggiore di quel che pensa il Wwf: ha presentato un’indagine alla Camera alta del New South Wales sulle popolazioni di koala dalla quale emerge che, «Nei recenti incendi potrebbe essere andato perso fino a un terzo dell’habitat dei koala sulla costa settentrionale e che potrebbero essere scomparsi più di 2.000 koala. Dato il limitato habitat rimasto per questi marsupiali arborei, non è chiaro quanti koala possano essere fuggiti in altre aree»,

Cate Faehrmann, portavoce dei Greens Australia e presidente della commissione di inchiesta sulle popolazioni di Koala, ha detto che bisogna «intervenire con urgenza per garantire che questi incendi non portino al declino irreversibile dei koala nel New South Wales. Sentire che abbiamo perso fino a un terzo dell’habitat del koala e più di 2.000 koala nella costa settentrionale è assolutamente devastante e dovrebbe essere un campanello d’allarme per questo governo che deve agire per proteggere l’habitat del koala. Come risultato di queste nuove prove, ci dovrà essere una moratoria sull’abbattimento della foresta originaria pubblica nel nord del New South Wales».

Il Wwf Australia conclude: «Quando gli incendi cesseranno, dovremo ripristinare ciò che è andato perso. Il cambiamento climatico non provoca gli incendi boschivi, ma li peggiora. Il tempo è un fattore importante: abbiamo sperimentato ondate di caldo più intense più frequenti e periodi di siccità prolungati che hanno creato le condizioni di innesco».

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