Gli incendi in Amazzonia stanno intensificando lo scioglimento dei ghiacciai delle Ande
Un’accelerazione che aumenta il rischio di una crisi idrica in Sud America e la vulnerabilità delle comunità andine in risposta ai cambiamenti climatici
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Gli incendi nella foresta pluviale nell’Amazzonia sudoccidentale (l’Amazzonia brasiliana, peruviana e boliviana) possono far aumentare lo scioglimento dei ghiacciai tropicali nelle Ande. A dirlo è lo studio “Amazonian Biomass Burning Enhances Tropical Andean Glaciers Melting” pubblicato su Scientific Reports dai brasiliani Newton de Magalhães Neto dell’Universidade do Estado do Rio de Janeiro ed Heitor Evangelista dell’Universidade Federal Fluminense e dai francesi Thomas Condom e Antoine Rabatel dell’Institut des Géosciences de l’Environnement dell’Université de Grenoble Alpes.
Il team franco-brasiliano ha modellato il possibile effetto della combustione di biomassa nel bacino amazzonico sul ghiacciaio dello Zongo, in Bolivia, utilizzando i dati sugli incendi raccolti tra il 2000 e il 2016, il movimento di pennacchi di fumo, le precipitazioni e lo scioglimento dei ghiacciai e ha scoperto che «Gli aerosol derivanti dalla combustione di biomassa, come il black carbon, possono essere trasportati dal vento nei ghiacciai andini tropicali. Lì si depositano nella neve e hanno il potenziale per aumentare lo scioglimento del ghiacciaio poiché la neve che è oscurata dal black carbon o particelle di polvere riflette meno luce (albedo ridotto)».
Concentrando le analisi sul 2007 e 2010, quando nell’Amazzonia ci sono state stagioni di incendio record equivalenti più p meno a quella del 2019, il team di ricercatori ha studiato la riduzione dell’albedo delle nevi a causa del solo black carbon e del black carbon in presenza di quantità di polvere precedentemente riportate e il loro modello ha dimostrato che «Il black carbon o la sola polvere avevano il potenziale per aumentare la fusione annuale del ghiacciaio del 3 – 4%; o del 6% quando entrambi erano presenti. Se le concentrazioni di polvere erano elevate, la sola polvere aveva il potenziale per aumentare la fusione annuale dell’11 – 13% e del 12-14% in presenza di black carbon. I risultati suggeriscono che l’impatto della combustione della biomassa amazzonica dipende dal contenuto di polvere nella neve».
Anche se i risultati sono abbastanza eclatanti, i ricercatori non ne sono rimasti molto sorpresi, dato che lo stesso processo è stato visto in altre parti del mondo: «A causa dell’industrializzazione del Nord America ed europea, la Groenlandia riceve grandi quantità di black carbon originato dai combustibili fossili – spiega ancora de Magalhães Neto – E il black carbon dalla combustione di combustibili fossili e biomassa in tutto l’emisfero settentrionale ha accelerato lo scioglimento dei ghiacciai nell’Artico».
Ryan Wilson, dell’università di Huddersfield, ha studiato l’impatto dei cambiamenti climatici sui ghiacciai delle Ande per 5 anni e in un’intervista a BBC News ha sottolineato che «Lo studio ha dimostrato gli impatti a lunga distanza degli incendi dell’Amazzonia. Questo aumenta la consapevolezza di un ulteriore fattore che potrebbe avere un impatto sulla fusione dei ghiacciai nelle Ande tropicali. Dato che questo studio esamina solo un ghiacciaio, sono necessarie ulteriori indagini per comprendere l’impatto su scala regionale».
Ma è indubitabile, che questo effetto a cascata osservato su un piccolo ghiacciao boliviano potrebbe verificarsi sui centinai di ghiacciai delle Ande già in forte retrocessione a causa del cambiamento climatico.
Il 23 agosto del 2010 in Amazzonia si arrivò a 148.946 incendi, la peggiore stagione degli incendi mai verificatasi, anche peggiore di quella del 2019. Gli incendi eruttarono una quantità gigantesca di fumo, black carbon e polveri alla quale fece seguito un picco nella portata dei corsi d’acqua che scendono dai ghiacciai andini. I ricercatori brasiliani e francesi hanno solo unito i punti e ne è venuto fuori un quadro davvero preoccupante.
In Amazzonia la stragrande maggioranza degli incendi forestali avviene tra agosto e ottobre, durante l’inverno australe, nel periodo di transizione tra la stagione secca e quella umida, si stima che ogni anno gli incendi delle foreste sudamericane producano 800.000 tonnellate di black carbon. Come spiega El País, «Per complicare le cose, nei mesi della stagione degli incendi i venti dominanti nella regione, che fino ad allora soffiavano da ovest, ruotano verso est/nord-est, in direzione delle vette andine».
Per scoprire dove si dirige il fumo degli incendi, i ricercatori hanno analizzato la direzione di più di 2000 pennacchi tra il 2000 e il 2016 ed è così che sono stati in grado di creare un modello della deposizione di particelle del black carbon sul ghiaccio e come queste impurità riducano il suo effetto albedo, cioè la capacità di riflettere la radiazione solare. Poi hanno applicato questo modello al ghiacciaio dello Zongo, dove i glaciologi francesi hanno una base nella quale hanno potuto rilevare i dati sulle particelle di black carbon accumulate nel ghiaccio e il flusso annuale di acqua persa dal ghiacciaio. LO studio indica che nel 2010 nello strato più superficiale del ghiacciaio c’erano 1,17 milligrammi di black carbon per ogni metro quadrato. Nel settembre dello stesso anno c’erano 73,4 parti di black carbon per miliardo di materia (ppbm) che rano scese a 29,2 ppbm in ottobre. De Magalhães Neto spiega ancora: «Questo potrebbe ridurre l’effetto albedo del ghiacciaio dello Zongo fino al 7,2% e Ciò significa che a causa della deposizione di black carbon, la neve assorbe fino al 7% della radiazione incidente. Se si aggiunge l’inquinamento da altre fonti (polvere, inquinamento urbano, ecc.), La percentuale di riduzione potrebbe raggiungere il 20,2%. La conseguenza è un disgelo maggiore. Stimiamo che tra il 3% e il 4% dello scioglimento del ghiacciaio sia dovuto agli incendi».
Studi precedenti su un centinaio di ghiacciai della Cordillera Blanca, nelle Ande peruviane, avevano riscontrato una concentrazione di black carbon fino a 80 ppbm, superiori a quelle dello Zongo.
Commentando il nuovo studio su El País, Francisco Navarro, presidente dell’International glaciological society, ha ricordato che «La neve può riflettere fino all’85% della radiazione solare, mentre l’effetto albedo del ghiaccio del di ghiaccio è inferiore, tra il 30% e il 40% delle radiazioni. Tra gli elementi che possono ridurre maggiormente l’albedo vi sono l’inquinamento da attività umane o la polvere dei deserti. Ma la massima riduzione è prodotta dalle eruzioni vulcaniche, specialmente se il vulcano ha un ghiacciaio associato. In questo caso, l’albedo può ridursi fino al 50%».
Per quanto riguarda i ghiacciai andini come lo Zongo, Navarro ricorda che «La maggior parte sono piccoli, con montagne molto alte, quindi l’effetto sarà locale, influenzando le riserve idriche delle comunità collinari sottostanti, ma non globale. Inoltre, come per le eruzioni, gli incendi sono più o meno puntuali. Per i ghiacciai, il pericolo globale è il riscaldamento dell’atmosfera con i cambiamenti climatici e quello puntuale sono i vulcani e gli incendi».
Ma De Magalhães Neto e il suo team non sono molto d’accordo con Navarro e ricordano che «La pressione legata alla domanda alimentare globale può comportare un’ulteriore espansione dell’agricoltura brasiliana e della deforestazione, con conseguente aumento delle emissioni di black carbon e CO2 che possono avere un impatto sui ghiacciai andini».
E’ un bel problema anche dal punto di vista socio-economico: in Sud America lo scioglimento dei ghiacciai tropicali andini fornisce acqua a milioni di persone e l’impatto si farà sentire in tutto il sub-continente.
De Magalhães Neto conclude: «La deforestazione e gli incendi dell’Amazzonia – eventi che si verificano principalmente in Bolivia, Perù e Brasile – non possono essere considerati un problema regionale. Hanno implicazioni sociali su scala continentale, perché accelerare la perdita di ghiacciai aumenta il rischio di una crisi idrica e la vulnerabilità di diverse comunità andine in risposta ai cambiamenti climatici».