Il cemento lungo i fiumi italiani ha aumentato il pericolo alluvioni

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Il cemento lungo i fiumi italiani ha aumentato il pericolo alluvioni

Wwf: «Soluzioni basate sulla natura per recuperare le funzioni ecologiche del territorio»
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I fiumi sono una cartina tornasole del consumo di suolo: negli ultimi 50 anni negli ambiti fluviali italiani – attraverso le varie forme di urbanizzazione – si è consumato suolo per circa 2.000 kmq, qualcosa come circa 310.000 campi da calcio. La mancanza di un’efficace pianificazione strategica ha consentito ai quasi 8000 comuni italiani di svilupparsi spesso in modo autonomo e scoordinato tra loro, esponendo così i cittadini a una serie di rischi non trascurabili, come mostra chiaramente il dossier Un futuro per i nostri fiumi presentato oggi a Roma dal Wwf.

Considerando l’assetto demografico dei territori che ricadono in fasce soggette alla pericolosità delle alluvioni (categoria media ed elevata), possiamo dire – argomentano dal Wwf – che vi sono oltre 7,7 milioni di italiani a rischio alluvioni. L’esistenza di fiumi in gran parte “canalizzati”, sbarrati da dighe e altri ostacoli che ne hanno interrotto la continuità, sbancati dei loro boschi ripariali, dragati nei loro alvei, non fa che accentuare il problema: purtroppo il cemento e gli sbarramenti lungo in fiumi, adottati finora come ‘finta soluzione di sicurezza’ al pericolo alluvioni, sono infatti dei veri e propri moltiplicatori del rischio.

Qualche esempio? Come riporta il Wwf solo in Liguria quasi un quarto del suolo (23,8%) costruito entro la fascia di 150 metri dagli alvei fluviali è stato occupato tra il 2012 e il 2015; si è costruito non solo a ridosso, ma dentro gli alvei. Secondo l’Ispra solo nei tre anni prima del 2016 le regioni hanno continuato drammaticamente a consumare il suolo nelle aree di espansione dei fiumi, portando cemento e infrastrutture dentro la fascia dei 150 metri: il Trentino Alto Adige ha incrementato del 12% il consumo nelle fasce fluviali, il Piemonte del’9%, l’Emilia Romagna con dell’8,2%, la Lombardia dell’8% o la Toscana del 7,2%  (Ispra, 2016).

Come uscirne? Il  dossier Wwf punta a fornire proposte concrete al nostro governo per un adeguato e responsabile adattamento ai cambiamenti climatici. Il documento si sofferma in particolare su molte soluzioni basate sulla natura (“nature based solution”) per recuperare le funzioni ecologiche del territorio partendo da alcuni casi di città europee  che potrebbero essere riproposte nelle nostre città, dove orami vive più di un terzo della popolazione italiana.

Si tratta di casi di “sistemi di drenaggio urbano sostenibile” (Ruscello di Gohard, Nantes, Fiume Sprea, Berlino) e “riqualificazione fluviale in città” (Fiume Marden, Calne, Fiume Isar, Monaco, Fiume Ravensbourne, Londra, Rio Mareta, Vipiteno, Fiume Great Ouse, Milton Keynes, Fiume Vidå, Tønder,  torrente Lura in provincia di Como, Fiume Mayesbrook , Fiume Gallego, Zuera, il progetto europeo Horizon2020 “clever cities”).

La rinaturazione – osservano dal Wwf – è indispensabile per favorire il sempre più urgente adattamento ai cambiamenti climatici, ma è anche conveniente: da alcuni studi, ad esempio, sull’industria della rinaturazione (restoration ecology) si evidenzia che gli effetti occupazionali totali vanno da 10,4 a 39,7 posti di lavoro per 1 milione di dollari investiti, mentre con l’industria petrolifera e del gas ne supporta circa 5,3 posti per 1 milione di dollari investiti.

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