C’è un buco nero primordiale all’interno del sistema solare?

0

C’è un buco nero primordiale all’interno del sistema solare?

Forse è un minuscolo buco nero primordiale, e non un ipotetico Pianeta Nove, la ragione delle  traiettorie anomale dei corpi celesti che orbitano oltre Nettuno. L’ipotesi è tutta da verificare – la stessa esistenza di questo tipo di buchi neri è una congettura – ma se fosse confermata avrebbe conseguenze importanti per la comprensione dell’universo primordiale
di Emiliano Ricci
www.lescienze.it

Uno spettro si aggira per il sistema solare: lo spettro di un buco nero primordiale. È la suggestiva ipotesi, ancora tutta da verificare, proposta da due ricercatori per spiegare le anomalie osservate nel moto degli oggetti trans-nettuniani (TNO, trans-neptunian object). Anomalie che, almeno fino a oggi, hanno portato gli astronomi a invocare la presenza di un corpo di grandi dimensioni – il cosiddetto Pianeta Nove o Pianeta X – la cui orbita dovrebbe estendersi ben oltre quella di Nettuno.

Secondo Jakub Scholtz, della Durham University, nel Regno Unito, e James Unwin, dell’Università dell’Illinois a Chicago, che a fine settembre hanno pubblicato uno studio teorico sul server ArXiv, il fatto che questo eventuale pianeta continui a nascondersi alle osservazioni potrebbe indicare che gli astronomi stanno cercando l’oggetto sbagliato con gli strumenti sbagliati. Da qui l’idea che a orbitare nelle zone periferiche del nostro sistema planetario non sia un corpo roccioso, ma un oggetto esotico, forse addirittura un buco nero primordiale.

Raffigurazione dell’ipotetico pianeta X (©Science Photo Library/AGF)

A prima vista, l’idea di sostituire un corpo roccioso, ancora non scoperta ma la cui esistenza è molto probabile (di corpi simili il sistema solare è ben provvisto), con un oggetto la cui esistenza è invece prevista solo per via teorica, potrebbe sembrare un po’ balzana, ma la storia della scienza è costellata di ipotesi stravaganti che poi sono riuscite a farsi strada.

Inoltre, l’idea che un buco nero primordiale possa trovarsi così vicino a noi lo rende molto più appetibile come oggetto degno di campagne osservative perché, per quanto complicato possa essere “vedere” un oggetto di questo tipo, la relativa vicinanza alla Terra potrebbe garantirne la rilevabilità: a patto, ovviamente, di cercare i segnali giusti, oltre a quelli gravitazionali, s’intende.

Dalla scoperta di Nettuno in poi, gli astronomi hanno iniziato a speculare sull’esistenza di un pianeta la cui orbita si estendesse oltre quella dello stesso Nettuno, individuato nel 1846 proprio grazie ai calcoli sulle perturbazioni gravitazionali osservate nell’orbita di Urano. Fu in quel momento che nacque l’ipotesi del Pianeta X, sviluppata inizialmente da Percival Lowell che prese in prestito il nome usato in precedenza dall’astronomo francese Gabriel Dallet, in cui la X era una lettera, a indicare un’incognita, e non un numero.

La scoperta di Plutone nel 1930 non eliminò del tutto l’idea che altri pianeti potessero orbitare attorno al Sole a distanze ancora maggiori. E in tempi più recenti la scoperta di grandi corpi trans-nettuniani, come Sedna o Eris, insieme all’osservazione che molti di essi seguono orbite particolari spiegabili con l’esistenza di un pianeta di massa almeno terrestre, ha riportato in auge l’ipotesi del Pianeta X (che fino al 2006, anno del “declassamento” di Plutone a pianeta nano, stava per “decimo”), a questo punto indicato, più correttamente, come Pianeta Nove.

Ma quali caratteristiche dovrebbe avere questa misteriosa sorgente gravitazionale, così massiccia da influenzare in maniera significativa le regioni periferiche del nostro sistema planetario? Nel corso degli ultimi venti anni lo studio delle orbite degli oggetti che popolano la cintura di Kuiper, ovvero la regione del sistema solare che si estende oltre l’orbita di Nettuno, pone già alcuni limiti alle proprietà intrinseche e orbitali del Pianeta Nove.

“Il Pianeta Nove dovrebbe avere una massa compresa fra 5 e 15 masse terrestri e orbitare attorno al Sole a una distanza compresa fra 400 e 700 unità astronomiche”, spiega a “Le Scienze” Jakub Scholtz, uno degli autori della ricerca. (L’unità astronomica è pari alla distanza media Terra-Sole, circa 150 milioni di chilometri.)

“La sua ipotetica orbita è conosciuta in maniera molto approssimata e al momento solo pochi telescopi gli stanno dando la caccia, tanto che la maggior parte del lavoro è svolta dal sistema Pan-STARRS, il Panoramic Survey Telescope & Rapid Response System, localizzato alle Hawaii”.

Per confronto, Eris, il pianeta nano più massiccio conosciuto, ha una massa inferiore a 3 millesimi di quella della Terra e il suo afelio (il punto dell’orbita più distante dal Sole) è ad “appena” a 97 unità astronomiche. “D’altra parte – prosegue Scholtz – le anomalie nelle orbite dei TNO indicano solo che potrebbe esserci un oggetto nel sistema solare esterno, ma non dicono di che tipo. Per questo abbiamo avanzato l’idea del buco nero primordiale, dimostrando che è uno scenario verificabile.”

Purtroppo, se anche i buchi neri primordiali esistessero – fatto ancora tutto da dimostrare – sarebbero molto rari, e sarebbe davvero improbabile trovarne uno nelle nostre vicinanze. “Per questo – spiega Scholtz – se davvero esistono, ci possiamo aspettare di trovarne solo uno nel nostro sistema solare.”

Gli ipotetici buchi neri primordiali, infatti, avrebbero avuto origine dalle fluttuazioni nella densità di materia nell’universo primordiale pochi istanti dopo il big bang. Non avrebbero quindi le masse tipiche dei buchi neri nati dal collasso di una stella, ma potrebbero avere anche masse molto minori, confrontabili con quelle di un pianeta invece che di una stella.

Alcuni, stabili e durevoli, potrebbero essere arrivati sino a noi, mentre quelli di massa molto piccola sarebbero invece già evaporati, in virtù della radiazione di Hawking, mentre altri ancora potrebbero essere colti ora nel momento dell’esplosione finale a conclusione del processo di evaporazione.

Rilevarli non sarebbe però per niente semplice. “È molto difficile trovare un buco nero primordiale di questo tipo”, prosegue l’autore. “È molto piccolo (10-20 centimetri) e scuro. Tuttavia, se questo buco nero avesse una densa sfera di materia oscura attorno a sé, il microalone previsto dalla teoria attuale, allora in questo alone le particelle di materia oscura potrebbero incontrare le loro antiparticelle e, annichilando, trasformarsi in particelle che possiamo rivelare, come i fotoni. Questi fotoni ad alta energia sarebbero visibili dai telescopi spaziali per raggi gamma e X come Fermi o Chandra. Per questo stiamo pianificando di setacciare l’insieme dei dati del Fermi Gamma-ray Space Telescope per vedere se ci sono segnali di questo genere.”

Considerate le caratteristiche fisiche di un ipotetico buco nero di questo tipo, sarebbe praticamente impossibile rivelarlo in altra maniera, per esempio attraverso la sua radiazione di Hawking. Secondo i calcoli, un buco nero primordiale di massa pari a cinque masse terrestri e un raggio di circa cinque centimetri avrebbe un’emissione di Hawking corrispondente a una temperatura di 0,004 K: sarebbe cioè molto più freddo della radiazione cosmica di fondo, la cui temperatura è pari a 2,7 K. Numeri alla mano, la potenza irradiata da un tipico buco nero primordiale dovrebbe essere bassissima, rendendone difficilissima la rilevazione, anche se si trovasse molto vicino a noi.

“Nel prossimo futuro ci aspettiamo che gli astronomi compiano ulteriori osservazioni che escludano la necessità di introdurre nuovi elementi nel sistema solare o che, al contrario, diano indicazioni sempre più convincenti sull’esistenza dell’ipotetico Pianeta 9 e sui suoi parametri orbitali”, spiega a “Le Scienze” James Unwin, secondo autore dell’articolo.

“Ciò può portare a un interessante scenario in cui la prova gravitazionale di un grande corpo nel sistema solare esterno diventi irrefutabile, ma con la ricerca convenzionale ancora non in grado di trovare un tale oggetto. Sotto queste condizioni pensiamo che l’ipotesi di un buco nero o di un altro oggetto esotico non rilevabile dalle ricerche convenzionali sui pianeti diventa davvero avvincente”.

Nello studio i due autori citano anche altre ipotesi: “oggetti noti come stelle di materia oscura, stelle di Bose e anche solo microaloni di materia oscura sarebbero tutti potenzialmente in grado di svolgere lo stesso lavoro del buco nero primordiale, ma non abbiamo affrontato questi scenari in maniera altrettanto approfondita”, prosegue Scholtz.

A sinistra Plutone, con i suoi satelliti Caronte, idra e Nix; e, a destra, Eris con il satellite  Dysnomia (© IAU, NASA/ESA Hubble Space Telescope, H. Weaver (JHU/APL), A. Stern (SwRI),the HST Pluto Companion Search Team and M. Brown)

In ogni caso, comunque vada, sarà un successo. “Vorrei sottolineare che la scoperta di un nuovo grande pianeta così lontano dal Sole sarebbe straordinaria e inaspettata”, conclude Unwin. “Ma la scoperta di un buco nero primordiale in orbita attorno alla nostra stella farebbe avanzare in maniera decisiva non solo la conoscenza del nostro sistema planetario, ma anche la nostra comprensione della cosmologia dell’universo primordiale e della fisica delle alte energie.”

Non ci resta che aspettare future osservazioni e… quasi quasi sperare che al posto del Pianeta Nove ci sia davvero un buco nero, e chissà che un giorno non si possa addirittura lanciare una sonda interplanetaria per esplorarlo da vicino. Questa sì che sarebbe davvero un’osservazione rivoluzionaria!

Share.

Leave A Reply