Ecco perché l’acqua è sempre più scarsa e più preziosa

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Ecco perché l’acqua è sempre più scarsa e più preziosa

Le riserve idriche di 17 paesi, falde comprese, sono già allo stremo, ma la crescente domanda di acqua, raddoppiata nell’ultimo mezzo secolo, e i cambiamenti del clima aggraveranno la situazione. I più vulnerabili sono i paesi del Medio Oriente, mentre le regioni italiane più a rischio sono Sicilia, Puglia e Calabria
di Davide Michielin
www.lescienze.it

Terra, pianeta d’acqua. La predominanza del blu è senza dubbio la caratteristica più evidente della superficie del nostro pianeta. Eppure, degli 1,4 miliardi di chilometri cubi che formano il volume totale delle acque, più del 97 per cento è costituito dall’acqua salata di mari e oceani, mentre le acque dolci ne rappresentano appena il 2,5 per cento. È da questa percentuale risibile, intrappolata per lo più nelle calotte glaciali di Antartide e Groenlandia, che dipende la vita sulla terraferma, esseri umani compresi.

L’acqua sotterranea accumulatasi lentamente nel corso dei secoli rappresenta la più grande riserva di acqua dolce raggiungibile, pari a circa 20 volte quella di tutte le acque superficiali. A complicare il quadro, la distribuzione di acqua dolce è estremamente capricciosa: oltre la metà delle risorse mondiali si concentra appena in una decina di paesi, con Brasile e Russia a fare da capofila. Tuttavia, la ricchezza di riserve idriche non è sufficiente a mettere al riparo un paese dallo stress idrico, cioè l’assenza più o meno prolungata di acqua. Molto dipende dalla loro gestione e dalle reti di relazioni internazionali tessute dai singoli paesi.

Acquiferi sotto assedio

Grazie all’adozione di nuovi modelli idrologici, che considerano 13 indicatori di rischio, l’aggiornamento dell’atlante del rischio idrico delle falde elaborato dal World Resources Institute – organizzazione non governativa statunitense impegnata nel monitoraggio delle riserve naturali del pianeta – restituisce una fotografia di inedito dettaglio della vulnerabilità di 189 paesi.

Mappa globale del livello di stress idrico (World Resources Institute)

 

Molte regioni del pianeta stanno diventando sempre più dipendenti dalle acque di falda: solo nell’ultimo mezzo secolo, crescita demografica mondiale, cambiamento delle abitudini alimentari e progressi igienico-sanitari hanno finito per raddoppiare il volume dei prelievi. La sete mondiale non accenna a placarsi e anzi, nei prossimi decenni sarà ulteriormente esasperata dal cambiamento climatico.

Nel ciclo idrologico l’acqua cambia continuamente il proprio stato, viene assorbita ed espulsa dagli organismi, contaminata e depurata naturalmente dagli ecosistemi. Ma serve tempo. La maggioranza degli acquiferi, alimentati goccia per goccia da secoli di precipitazioni, non è in grado di rinnovarsi nell’intervallo di tempo di una vita umana.

Quando lo sfruttamento è superiore al tempo di ricarica, il volume delle falde può calare drasticamente fino a un livello tale da non poter essere più raggiunto. L’atlante divide i paesi in cinque fasce di stress idrico, individuate in base al rapporto annuo tra il volume di acqua dolce consumata e la capacità totale. Secondo le stime del WRI, gli acquiferi di 17 paesi sono già oggi interessati da uno stress idrico estremo, definito da un prelievo annuale medio superiore all’80 per cento della capacità totale. Qatar, Israele e Libano sono i paesi in assoluto i più minacciati ma, in generale, è l’intero Medio Oriente a soffrire: 12 dei 17 paesi più vulnerabili si trovano qui.

Per quanto le riserve idriche di questi paesi siano naturalmente limitate per via del clima caldo e asciutto, la crescente domanda interna e il cambiamento climatico mettono a serio rischio la loro stabilità. Un recente rapporto della Banca Mondiale stima che, entro il 2050, la scarsità di acqua causerà in questi paesi una perdita di prodotto interno lordo compresa il tra il 6 e il 14 per cento.

Pur non essendo caratterizzata da lunghi periodi siccitosi, all’undicesimo posto compare curiosamente la repubblica di San Marino, penalizzata dall’assenza di vere e proprie riserve idriche e dunque del tutto dipendente dall’Italia. Due posizioni più in basso si trova l’India: pur disponendo di ingenti riserve, gli acquiferi del gigante asiatico sono compromessi dall’imponente pressione demografica. Tra il 1990 e il 2014, il livello di base di alcuni grandi acquiferi si è abbassato di oltre otto centimetri all’anno. L’inefficienza dell’agricoltura e la crescente domanda del settore industriale hanno assunto negli ultimi tempi una dimensione drammatica, costringendo numerosi stati a ricorrere periodicamente al razionamento e, in alcuni casi, a proclamare lo stato di emergenza.

Paesi mediterranei
Le falde acquifere dei successivi 27 paesi sono interessate da quello che gli autori considerano un rischio elevato di stress idrico, definito da un prelievo medio annuale compreso tra il 40 e l’80 per cento. Una differenza così risicata tra il volume dei prelievi e quello totale rende questi paesi vulnerabili a una prolungata siccità o ad altri eventi acuti, non necessariamente estremi. In questa fascia di rischio si collocano le rimanenti nazioni del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale nonché buona parte di quelle mediterranee come Egitto, Grecia, Marocco, Portogallo, Spagna, Tunisia e Turchia.

Lo stress idrico in Europa (World Resources Institute)

Non fa eccezione l’Italia, inserita al 44° posto assoluto di questa poco invidiabile classifica. Il punteggio assegnato al nostro paese è tuttavia la sintesi di contesti locali molto differenti. A differenza delle regioni del nord, giudicate a rischio medio o addirittura medio-basso, il resto dello Stivale ricade nella fascia a rischio estremo. La regione più vulnerabile è la Sicilia seguita da Puglia e Calabria mentre Trentino-Alto Adige, Lombardia e Veneto risultano le meno esposte allo stress idrico.

“Pur con alcuni limiti, è emblematica l’assenza della Palestina, l’analisi del WRI ha un grande merito: portare alla ribalta un problema urgente che rimane tuttora invisibile al grande pubblico. Quando un fiume rimane senz’acqua, cittadini, associazioni ambientaliste e istituzioni si mobilitano. Un pozzo asciutto non suscita la stessa reazione”, osserva Francesca Greco, esperta di politiche idriche internazionali e membro del London Water Research Group presso il King’s College di Londra.

La salute precaria delle falde acquifere italiane non è certo una novità. Già lo scorso anno un rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente evidenziava come oltre un terzo degli acquiferi italiani versasse in cattive condizioni, non solo per via dei prelievi selvaggi ma anche dell’inquinamento.

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