C’è un’agricoltura senza pesticidi che sfrutta i feromoni

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C’è un’agricoltura senza pesticidi che sfrutta i feromoni

di Marcello Turconi
www.rivistamicron.it

Le stime più recenti indicano che una percentuale compresa tra il 20 e il 30% della produzione mondiale di cibo è distrutta o rovinata dall’opera degli insetti.
L’impoverimento delle risorse alimentari a disposizione dell’uomo è esacerbato dal costante incremento della popolazione mondiale e dagli effetti negativi che il surriscaldamento globale sta avendo su moltissimi sistemi agricoli.

La pressione combinata di questi due fattori si ripercuote anche sugli ecosistemi che caratterizzano i terreni agricoli, in particolare se si considera il declino degli insetti impollinatori (primi tra tutti, le api) e dei nemici naturali delle specie infestanti, ossia i loro predatori.
Come se ciò non bastasse, la lotta agli insetti dannosi per l’agricoltura si è trasformata, nel corso dei decenni, nella proverbiale soluzione peggiore del problema, attraverso l’utilizzo di numerose sostanze potenzialmente dannose, non solo per altri animali e per l’ambiente, ma anche per l’uomo.
Un trend, questo, che non sembra purtroppo destinato a esaurirsi a breve termine, come testimonia la recente approvazione, negli Stati Uniti, dell’utilizzo in via definitiva del sulfoxaflor. L’utilizzo del famigerato pesticida era stato inizialmente approvato dall’EPA nel 2013 e poi vietato in seguito alle contestazioni da parte di apicoltori e ambientalisti.Nel 2015 la Corte d’Appello degli Stati Uniti ha quindi ordinato all’EPA di sospendere l’approvazione poiché l’azienda produttrice non era in grado di fornire prove sufficienti a dimostrare la non tossicità del prodotto per le specie impollinatrici, prime fra tutte le api.

Nonostante questa sentenza, il Governo ha però prima approvato l’uso del sulfoxaflor (prodotto da DowDupont, azienda chimica che ha contribuito con un milione di dollari alla campagna elettorale del Presidente Trump) in situazioni di emergenza su 14 milioni di acri, e ora ne ha ufficialmente approvato l’utilizzo in via definitiva.
Oltre che pericolosi per l’ambiente e per la salute dell’uomo, i pesticidi “tradizionali” si sono dimostrati anche fondamentalmente inefficaci: decenni di uso incondizionato di prodotti chimici non hanno infatti portato a una diminuzione permanente delle specie target.
Questo avviene fondamentalmente per due motivi: innanzitutto il fatto che queste sostanze sonopoco selettive (andando a colpire anche i nemici naturali degli infestanti); inoltre molto spesso gli insetti sviluppano una vera e propria “resistenza al pesticida” simile all’antibiotico-resistenza, che rende di fatto inutile l’applicazione del pesticida. È perciò diventato chiaro che i pesticidi chimici non possano rappresentare – neanche intensificandone l’uso – la soluzione dell’impoverimento delle risorse alimentari causato dalle specie infestanti.

Si è allora iniziato a cercare appoggio nella ricerca spesso considerata (a torto) di “base”, e una mano tesa è venuta dall’entomologia, e in particolare dallo studio della fisiologia del loro elegante sistema olfattorio. I primi studi su questi apparati sono iniziati più di 60 anni fa, e hanno portato all’identificazione di un complesso sistema di segnali chimici, basato sullo scambio di sostanze emesse da ghiandole a secrezione esterna, e captate da recettori specifici posizionati sulle antenne. Tra tali sostanze sono di particolare importanza nella lotta ai fitofagi i feromoni sessuali, sostanze molto volatili emesse dalle femmine per attirare i maschi nel periodo dell’accoppiamento.
La conoscenza della comunicazione basata sui feromoni, che porta a modificazioni comportamentali complesse è ormai giunta al livello molecolare. Un know-howdettagliato, trasferibile a insetti che sono nocivi per piante e/o animali, per lo sviluppo di soluzioni specie-specifiche, efficaci anche a basse quantità, e che non siano tossiche per gli altri animali (incluso l’uomo).
L’utilizzo dei feromoni sessuali nell’industria agroalimentare è duplice: innanzitutto possono essere utilizzati per la localizzazione e il monitoraggio di popolazioni specifiche, attraverso l’utilizzo di vere e proprie trappolea feromoni; grazie a questi sistemi ricercatori e agricoltori sono in grado di capire se una determinata specie è presente nell’aria di interesse, identificarne il periodo di volo e riproduzione, e di conseguenza restringere l’utilizzo di pesticidi  a quella particolare finestra spazio/temporale.

Queste trappole sono molto efficaci anche a basse concentrazioni, quindi sono particolarmente indicate per l’identificazione delle specie invasive anche nelle primissime fasi del loro insediamento.
L’altra applicazione dei feromoni, quella potenzialmente più rivoluzionaria per l’industria agroalimentare, è però quella della cosiddetta confusione sessuale: spruzzando il raccolto con feromoni sessuali sintetici è infatti possibile interrompere la comunicazione chimica basata sui feromoni, rendendo di fatto impossibile per le femmine trovare i maschi, e viceversa.
Le strategie che si possono  implementare sono diverse: usare feromoni aggreganti per attirare i maschi in aree dove le femmine non sono presenti, oppure  –  al contrario  –  spruzzare feromoni disperdenti nelle aree popolate dalle femmine, in modo che i maschi stiano alla larga.

Gli insetti utilizzano una quantità piccolissima di feromoni per comunicare, nell’ordine di nanogrammi, e basta quindi una quantità di prodotto minima (in confronto ai classici pesticidi chimici) per creare confusione sessuale ed evitare che maschi e femmine si trovino e si accoppino: poche decine di grammi per ettaro di queste sostanze sono sufficienti per proteggere il raccolto per tutta la stagione. L’unica pecca dei prodotti basati sui feromoni sintetici è che per essere efficaci devono essere applicata su larga scala (cosa che può essere un problema in caso di confini tra proprietà), altrimenti il rischio è quello di “contaminazione” dalle zone vicine non trattate.
I casi di applicazione pratica sono molteplici, soprattutto per quanto riguarda frutteti e vigneti, anche in Italia, dove  forse l’esempio più significativo è la lotta alla carpocapsa del melo in Trentino Alto Adige: la Cydia pomonella – questo il nome scientifico della specie infestante – è un lepidottero che inizia a insediarsi e a danneggiare il frutto nella fase larvale.

Questo comportamento rende di fatto inefficace l’uso di pesticidi tradizionali, che agiscono a livello volative sugli adulti, e ha fornito una spinta notevole verso l’utilizzo di prodotti in grado di prevenire l’esistenza stessa delle larve.
D’altro canto, l’esempio del Trentino(così come di molti altri vigneti e frutteti in cui sono utilizzati sistemi di controllo degli insetti basati sui feromoni) mostra come questa tecnica rappresenti un beneficio non solo per salute, per l’ambiente e per la conservazione della biodiversità, ma anche per l’economia: è stato infatti dimostrato che l’uso di pesticidi sostenibili aiuta a riconciliare le aree urbane e le adiacenti aree rurali, e contribuisce all’idea di frutteti e vigneti come un valore estetico di un territorio, rendendolo più attrattivo per turisti e investitori. Un’ulteriore molla, quella economica, che forse potrebbe dare la spinta decisiva per un’applicazione a tutto tondo, in campo agroalimentare, di questi sistemi efficaci e sicuri.

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