6479 Gault: l’asteroide camaleonte e le sue code
L’asteroide Gault, che lascia dietro di sé due code anomale, ha di colpo cambiato colore. Il fenomeno, legato all’aumento della sua velocità di rotazione, prelude forse alla sua frantumazione
di Emiliano Ricci
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La notte del 12 maggio 1988, dall’osservatorio di Monte Palomar, in California, Carolyn ed Eugene Shoemaker scoprirono un piccolo asteroide della fascia principale, quella compresa fra i pianeti Marte e Giove, a cui, dopo la denominazione provvisoria 1988 JC1, venne poi attribuito il nome (6478) Gault in onore del geologo planetario Donald Gault, scomparso nel 1999. I due coniugi divennero celebri alcuni anni dopo, nel 1993, per aver scoperto, assieme all’astronomo canadese David Levy, della cometa Shoemaker-Levy 9, che nel luglio 1994 impattò il pianeta Giove dopo essersi spezzata in oltre 20 frammenti.
Anche se non può competere con quello spettacolo, l’asteroide (6478) Gault, un corpo esteso circa quattro chilometri secondo le stime fotometriche, sta però riservando non poche sorprese. Già, perché, dopo aver sviluppato due code di polveri, adesso ha addirittura cambiato colore e si sta forse avviando all’autodistruzione. Ma procediamo con ordine.
Fra fine 2018 e inizio 2019, (6478) Gault ha iniziato a richiamare l’attenzione degli astronomi perché le osservazioni, effettuate con diversi strumenti, fra cui il telescopio spaziale Hubble, lo mostravano con una coda, come se fosse di colpo diventato una cometa.
Due code strane
Ulteriori osservazioni hanno mostrato che le code erano diventate due, con la più lunga estesa per circa 800.000 chilometri, e la più corta per circa 200.000 chilometri. Ma, a differenza di quanto si osserva nelle comete, che sviluppano una chioma di gas che avvolge il nucleo cometario e a volte le due code, nel caso di Gault della chioma di gas non c’era traccia. Inoltre, invece di avere una coda di polveri e l’altra di gas ionizzato, le code dell’asteroide erano entrambe di polveri.
Per quanto in “crisi d’identità”, (6478) Gault restava a tutti gli effetti un asteroide e non una cometa, anche perché l’analisi spettrale della sua superficie aveva rivelato che è roccioso, a differenze delle comete, composte in prevalenza da ghiaccio d’acqua misto a rocce e polveri (chioma e coda di gas delle comete derivano dalla sublimazione del ghiaccio superficiale, ovvero dal passaggio diretto dallo stato solido a quello gassoso prodotto dalla radiazione solare).
Ma se l’asteroide è composto da silicati e altri minerali rocciosi, si sono chiesti i ricercatori, qual è il meccanismo con cui ha sviluppato le due sottilissime ma estese code di polveri, attraverso le quali gli astronomi stimano che abbia già perso oltre sette milioni di tonnellate di materia, abbandonate nello spazio lungo il percorso orbitale attorno al Sole?
Con l’obiettivo di comprendere meglio questo strano oggetto, un gruppo di ricercatori guidato da Michael Marsset e Francesca DeMeo, entrambi del Department of Earth, Atmospheric and Planetary Sciences (EAPS) del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, ha osservato (6478) Gault con l’Infrared Telescope Facility (IRTF) della NASA, un telescopio infrarosso posto sulla vetta del Mauna Kea, alle Hawaii. I risultati delle due notti di osservazione condotte nel marzo scorso, pubblicati a fine agosto su “The Astrophysical Journal Letters”, aumentano, se possibile, il grado di “stranezza” dell’asteroide.
Il cambiamento di colore
Proprio mentre era oggetto delle osservazioni, all’improvviso l’asteroide ha cambiato colore. In particolare, lo spettrografo infrarosso ad alta precisione, impiegato per studiare con maggiore dettaglio la composizione dell’asteroide (confermata di tipo roccioso), ha mostrato un passaggio dal colore “rosso” al colore “blu”, naturalmente sempre nella banda infrarossa: prova, questa, che stava accadendo qualcosa sulla superficie di (6478) Gault.
Gli astronomi hanno valutato diverse ipotesi sulle cause di questi strani comportamenti, per arrivare a quella che, almeno per il momento, sembra l’ipotesi più credibile.
“Gault è uno delle molte centinaia di migliaia di asteroidi conosciuti che orbitano nella fascia principale di asteroidi tra Marte e Giove”, spiega a “Le Scienze” Richard Binzel, professore di scienze planetarie all’EAPS e coautore dello studio. “Di tutti questi oggetti, circa 20 sono noti per mostrare un comportamento così anomalo. Le cause non sono chiare, ma la nostra migliore ipotesi è che Gault sia diventato un oggetto a rotazione molto veloce a causa dal riscaldamento solare. È proprio la rotazione veloce a far perdere all’oggetto i suoi strati esterni di polvere rossa.”
Binzel è uno dei massimi esperti mondiali di asteroidi (oltre che di Plutone). È sua, per esempio, la creazione della cosiddetta “Scala Torino”, un metodo per classificare il pericolo di impatto associato agli oggetti che passano vicini alla Terra (NEO, near-Earth object) come asteroidi e comete. Per inciso, Binzel è stato anche uno dei membri del Planet Definition Committee, la commissione che ha studiato la ridefinizione dei corpi del sistema solare e da cui è scaturita la celebre mozione presentata al congresso dell’International Astronomical Union (IAU) del 2006, a Praga, secondo cui Plutone deve essere classificato non più come pianeta, ma come pianeta nano.
Secondo Binzel, quello che hanno osservato Marsset, DeMeo e colleghi è stata la perdita di uno strato di superficie da parte dell’asteroide. Osservato all’infrarosso, il nuovo strato di polvere, fresco di esposizione al Sole, appare più blu di quello vecchio, esposto per milioni di anni alla radiazione solare, che invece appare più rosso. Gli autori stimano che per questo cambio di colore sia sufficiente l’asportazione di uno strato sottilissimo di superficie, anche solo un velo di polveri di pochi micrometri di spessore.
L’effetto YORP
Che cosa sta dunque accadendo a (6478) Gault? Secondo gli autori, sia lo sviluppo delle code che la recente perdita di uno strato superficiale sono riconducibili al fenomeno noto come “effetto Yarkovsky-O’Keefe-Radzievskii-Paddack”, o effetto YORP, dalle iniziali dei cognomi degli scienziati che lo hanno scoperto e studiato.
Questo effetto consiste principalmente in un aumento della velocità di rotazione causato dall’esposizione asimmetrica della superficie dell’asteroide alla radiazione solare. In particolare, la faccia esposta al Sole in parte riflette la radiazione e in parte la assorbe. Quest’ultima viene poi riemessa via via che la faccia entra in ombra, producendo una spinta e un momento che, per quanto deboli, sommati per milioni di anni, possono produrre cambiamenti significativi dell’orbita di un oggetto e, appunto, della sua velocità di rotazione.
L’effetto YORP è stato osservato e confermato per una manciata di asteroidi, ma nel caso di (6478) Gault per avere la conferma occorrerà studiarne in dettaglio la curva di luce e dedurne la velocità di rotazione. Problema di non facile soluzione, in questo momento, proprio a causa delle due code di polveri, che disturbano le misure fotometriche, anche se si stima che abbia un periodo di rotazione di appena due ore, e che sia quindi uno dei cosiddetti “rotatori veloci”, ovvero asteroidi sulla soglia di spaccarsi a causa della forza centrifuga che, arrivata a un certo valore, può sovrastare la forza di coesione interna dell’oggetto. Solo il dieci per cento degli asteroidi conosciuti ruota con periodi di rotazione compresi fra due e tre ore, e, con ogni probabilità, queste velocità di rotazione sono state raggiunte col tempo proprio grazie al contributo della radiazione solare e all’effetto YORP.
Sia le code che la perdita dello strato superficiale di (6478) Gault hanno quindi origine dall’azione della forza centrifuga. Che cosa però possa aver avviato questo processo dopo milioni di anni di stabilità non è chiaro. “Gault rientra nella categoria di oggetti che chiamiamo asteroidi attivi”, prosegue Binzel. “Questa classe non è nuova, ma resta ancora da capire. I corpi minori del sistema solare continuano a sorprenderci. Li studiamo perché sono gli elementi costitutivi del nostro sistema solare. Sebbene siano antiche reliquie, sono ansiosi di creare nuovi misteri che possiamo risolvere”, conclude il professore del MIT.