La Siberia in fiamme è un dramma non solo locale, ma anche planetario

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La Siberia in fiamme è un dramma non solo locale, ma anche planetario

Più di 100 milioni di tonnellate: sono le emissioni di CO2 liberate finora dagli incendi che assediano dall’inizio dell’anno Siberia e Jacuzia e che non accennano a smettere. Perché, e con quali conseguenze, ce lo spiegano gli esperti locali
di Nadia Dmitrieva e Davide Michielin
www.lescienze.it

Benvenuti nell’Ade. Durante questa estate rovente il caldo ha raggiunto picchi e latitudini impensabili: ad Anchorage, in Alaska, sono stati superati i 32 °C. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) delle Nazioni Unite, che si basa sui dati del programma Copernicus dell’Agenzia spaziale europea e dell’Unione Europea, tanto il mese di giugno quanto quello di luglio 2019 sono stati i più caldi delle serie storiche.

Le temperature da record hanno alimentato una straordinaria stagione di incendi che, dalla tarda primavera a oggi, flagella senza sosta Alaska, Canada e soprattutto Siberia. Lungo il Circolo polare artico, le temperature medie sono state quasi ovunque, e di molto, sopra le medie stagionali: nelle regioni della Siberia toccate dagli incendi quella di giugno era di quasi dieci gradi superiore alla media del trentennio 1981-2010.

Mappa satellitare degli incendi attivi l’8 agosto 2019 (EOSDIS Worldview / NASA)

“In Russia, e in particolare in Siberia, le foreste bruciano ogni anno: gli incendi interessano in media un’area di circa otto milioni di ettari [circa l’uno per cento dell’intera superficie boschiva del paese]. A tutt’oggi, sono bruciati più di sette milioni di ettari”, spiega a “Le Scienze” Aleksandr Brjuchanov, ricercatore del laboratorio di pirologia forestale dell’Istituto forestale “Vladimir Sukacëv” del Centro federale di ricerca del Krasnojarsk Science Centre, branca siberiana dell’Accademia russa delle scienze.

Lo scienziato precisa: “Sebbene gli indicatori attuali non superino i valori medi, bisogna notare che gli incendi di quest’anno sono più concentrati, nel distretto di Krasnojarsk e nella Jacuzia occidentale”. Qui, dal mese di marzo, le aree andate a fuoco sono aumentate a dismisura: secondo le rilevazioni satellitari fornite dall’Agenzia forestale russa,  dall’inizio dell’anno al 5 agosto sono andati in fumo 3.008.810 ettari di foresta nel circondario federale della Siberia e 2.658.682 ettari in Jacuzia. Piccoli focolai ardono anche nell’estremo oriente, mentre la Russia europea e gli Urali sono stati finora risparmiati.

Gli incendi sono una componente essenziale degli ecosistemi della foresta boreale poiché ne promuovono ciclicamente il rinnovo. Purtroppo, la composizione delle foreste siberiane è cambiata molto negli ultimi decenni, soprattutto a causa delle attività e degli incendi di natura antropica. “La percentuale di conifere delle nostre foreste sta diminuendo: abeti e altre conifere vengono sostituiti da betulle e pioppi. Le foreste di sempreverdi crescono lentamente [molto di più di quelle decidue]. Per raggiungere l’altezza massima impiegano 70-80 anni nella Siberia meridionale e addirittura 100-150 in quella settentrionale” sottolinea Brjuchanov.

Mappa satellitare dettagliata degl incendi nella zona di Krasnojarsk: in rosso i focolai attivi, in marrone le aree devastate dagli incendi dei giorni precedenti (EOSDIS Worldview / NASA; grafica Alexey Yaroshenko)


Diamo i numeri

Nonostante gli sforzi del governo, gli incendi non sono stati ancora domati. E tanto in Siberia quanto nell’estremo oriente, il picco non è ancora stato raggiunto, ci dice Aleksej Jarošenko, responsabile del Dipartimento forestale di Greenpeace Russia: “In termini di superficie bruciata, il 2019 sarà verosimilmente il secondo anno peggiore dal 2000 a oggi, se non il primo in assoluto: le somme esatte potranno essere tirate solo alla fine di agosto”.

I ricercatori ritengono che sia improbabile riuscire a estinguere le fiamme da una superficie tanto vasta senza l’aiuto delle precipitazioni; secondo le stime, servirebbero almeno tre millimetri di pioggia ogni ora per una settimana. Ma le previsioni meteorologiche non sono incoraggianti. “Un grande anticiclone staziona sopra le regioni occidentali di Siberia ed Evenkija, la porzione settentrionale della regione di Irkutsk e la Jacuzia orientale. Proprio dove si concentrano gli incendi”, ricorda Brjuchanov. Come se non bastasse, gli incendi possono contribuire alla stabilità dell’anticiclone formando un’imponente colonna convettiva di calore.

L’innesco degli incendi può essere avvenuto in due modi. “In Russia – prosegue Brjuchanov – l’80 per cento degli incendi è di origine dolosa. Tuttavia, nelle regioni più settentrionali oltre la metà è causata dai fulmini portati dai temporali secchi”, che sono caratterizzati da numerosi tuoni e fulmini ma scarse precipitazioni al suolo. Da questo punto di vista, l’esteso distretto di Krasnojarsk è emblematico: nelle aree più a nord gli incendi naturali sono stati circa l’80 per cento del totale, mentre in quelle meridionali il rapporto si inverte.

Se gli incendi hanno raggiunto queste dimensioni è anche perché, per settimane, non sono stati domati. Gli epicentri erano situati nelle cosiddette “zone di controllo”, nelle quali – secondo le normative russe – non è considerato indispensabile estinguere le fiamme. È infatti compito delle commissioni locali di emergenza stabilire se e quando è necessario intervenire. “Quasi la metà dell’intera superficie boschiva russa ricade nelle zone di controllo. La loro estensione dovrebbe essere almeno dimezzata poiché in molti casi includono aree limitrofe a villaggi, strade e concessioni forestali”, sostiene Jarošenko.

Krasnojarsk in una giornata normale e, sotto, invasa dai fumi degli incendi (Alexander Bryukhanov)

Febbre planetaria

Secondo Vladimir Sokolov, direttore dell’inventario e del laboratorio di gestione forestale dell’Istituto forestale “Sukacëv”, gli incendi di questi mesi sono avvenuti per lo più al suolo. Questo tipo di fiamme produce molto fumo che, ben visibile anche dai satelliti, ha raggiunto perfino la Russia europea, coprendo una distanza di oltre 2500 chilometri. “Di solito il fumo è trasportato verso le regioni artiche, dove non vive nessuno. Tuttavia, quest’estate i venti predominanti spirano in una direzione diversa e hanno trascinato il fumo verso aree densamente popolate. Nell’Evenkija, per esempio, le fiamme sono arrivate davvero in prossimità dei villaggi”, commenta Brjuchanov. L’ARTICOLO CONTINUA QUI

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