Ebola: ecco perché è importante dichiarare l’emergenza
La scelta dell’OMS di dichiarare che l’epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo è un’emergenza internazionale aiuterà a raccogliere nuove risorse per un impegno collettivo efficace contro la crisi. In che modo, lo spiega il presidente dell’American Society of Tropical Medicine and Hygiene
di Tanya Lewis/Scientific American
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A metà luglio, l’Organizzazione mondiale della sanità ha attirato l’attenzione di tutto il mondo su un’epidemia di Ebola in corso da quasi un anno nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), definendola una «emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale». Questa definizione segnala un rischio per la salute pubblica di altri paesi e indica che è necessaria una risposta coordinata a livello internazionale. L’OMS ha basato la sua decisione anche sulla presenza di un primo caso confermato di Ebola a Goma, una città di quasi due milioni di abitanti sulla frontiera orientale della RDC con il Ruanda, dato che questo spostamento dell’epidemia aumenta il rischio di una diffusione della malattia oltre i confini nazionali.
L’attuale epidemia di Ebola è al secondo posto tra quelle documentate, dato che conta finora circa 2500 casi confermati di persone colpite da malattia da virus Ebola e circa 1700 morti. La situazione è stata resa peggiore da violenze mortali contro gli operatori sanitari e dalla mancanza di fiducia nei corpi medici provenienti dall’estero.
Nel raccomandare la dichiarazione di emergenza, un comitato dell’OMS ha sottolineato la «delusione per i ritardi nelle sovvenzioni» e la necessità di proteggere i mezzi di sostentamento della gente «tenendo aperte le vie di comunicazione e le frontiere». Al momento è stata avviata una risposta coordinata che comprende la distribuzione di un nuovo vaccino, ma il comitato sostiene che è necessario un impegno ulteriore per aiutare le persone e le comunità locali colpite dall’Ebola.
Chandy John, presidente dell’American Society of Tropical Medicine and Hygiene, è un esperto di malattie infettive; non ha studiato Ebola nello specifico, ma ha analizzato le epidemie di altre malattie infettive, tra cui la malaria. «Scientific American» lo ha intervistato a proposito degli obiettivi che si vogliono raggiungere con la dichiarazione di emergenza e delle sfide più grandi che si dovranno affrontare per arginare l’epidemia in corso. [Quello che segue è un estratto dell’intervista]
Che cosa spera di ottenere l’OMS con questa dichiarazione di emergenza per l’epidemia?
Esiste già una risposta coordinata a livello internazionale, in gran parte organizzata dall’OMS, ma l’organizzazione ha notato che, nonostante le numerose raccomandazioni di aumentare le risorse allocate, la comunità internazionale non ha dato il contributo che l’OMS ritiene necessario per questa epidemia. Un annuncio come questo punta i riflettori sulla necessità di una risposta coordinata a livello internazionale. Ed è una crisi, perciò c’è bisogno sia di un maggiore coordinamento che di una maggiore quantità di risorse rispetto a quanto avviene con i problemi di salute pubblica più comuni. E si spera che questo porti a dedicare più risorse al problema.
Quando parla di risorse, intende soldi, personale, vaccini, oppure tutte tre le cose?
Sicuramente soldi, ma il vero problema per l’OMS è la sicurezza e il fatto che siano stati uccisi vari operatori sanitari. Perciò c’è bisogno che i vari paesi contribuiscano a una presenza in loco delle Nazioni Unite, per offrire sicurezza agli operatori sanitari a rischio, ma serve anche la capacità di distribuire più vaccini, la capacità di produrre più vaccini, e anche fondi per gli operatori sanitari locali. Insomma: sì, tutte tre le cose.
Questo tipo di dichiarazione da parte dell’OMS può avere un impatto sull’epidemia in termini di misure come quelle che ha elencato?
Sì, credo che tutti siano convinti che questo impatto ci sarà. La dichiarazione è stata richiesta da diversi gruppi in precedenza. Questa definizione non è stata usata spesso in passato, ma molti gruppi ritenevano che fosse davvero necessario arrivare a questo punto, anche perché si pensa che quando un’epidemia è dichiarata emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale [PHEIC, Public Health Emergency of International Concern], è più probabile che le nazioni facciano la loro parte nell’offrire risorse. E io spero che vada così.
Che cosa ci può dire di quello che si potrebbe fare per fermare la violenza contro gli operatori sanitari? La dichiarazione può aiutare in questo senso?
I gruppi o le forze sul terreno, che non devono necessariamente essere forze armate, possono dare sicurezza agli operatori sanitari, in modo che questi non abbiano l’impressione di rischiare la vita quando vanno in quelle comunità locali. Questo è un aspetto. Ma un altro è quello di spingere i gruppi a parlare di quello che sta succedendo e a capire la situazione dal punto di vista delle scienze sociali: quali sono le paure in ballo, perché la gente si comporta così.