Dragonfly: verso Titano alla ricerca delle origini della vita
Un drone a propulsione nucleare che la NASA prevede di lanciare nel 2026, esplorerà il grande satellite di Saturno per cercare tracce di vita anche di tipo differente da quella terrestre
di Shannon Stirone / Scientific American
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Immaginate di poter viaggiare indietro nel tempo, risalendo di quasi un terzo del periodo trascorso dal big bang a oggi, fino al momento in cui la vita sulla Terra era agli albori.
I dettagli precisi del modo in cui la chimica cedette il passo alla biologia, di come la vita ebbe origine e prese piede nel nostro mondo, si sono persi nella notte dei tempi, spazzati via da oltre quattro miliardi di anni di storia in un pianeta in continuo cambiamento. È però evidente che i segreti della genesi della vita terrestre sarebbero una guida di inestimabile valore per la ricerca della vita altrove nell’universo. E per un caso davvero fortuito abbiamo a portata di mano una sorta di macchina del tempo e di laboratorio chimico sulle origini della vita, con le dimensioni di un pianeta.
Nei gelidi abissi del nostro sistema solare, al di là di Marte e di Giove, c’è Titano, la più grande delle lune di Saturno. Questo satellite alieno è l’unico altro corpo planetario in orbita attorno al Sole che sia dotato di un’atmosfera densa e ricca di azoto e carbonio come la nostra. Le stupefacenti somiglianze tra la Terra e Titano non si limitano all’aria. Sulla sua superficie si muovono dune spinte dal vento e il paesaggio è attraversato da montagne, colline e canyon. Dal cielo cadono piogge che vanno a formare ruscelli e fiumi sinuosi che si riversano in laghi e mari. Qui si trovano composti organici che possono sviluppare reazioni chimiche complesse, dando origine a qualcosa che in molti sensi somiglia al “brodo primordiale” da cui è sorta la vita sulla Terra. Dalla superficie del satellite si alzano al cielo sbuffi di vapore che formano nuove nuvole e nuovi rovesci, in un ciclo che rispecchia quello della Terra.
Ciò nonostante, Titano è comunque un mondo abbastanza alieno. I suoi “corsi d’acqua” sono fatti di idrocarburi, di metano ed etano liquidi. Anche le sue dune di “sabbia” sono di idrocarburi, gli stessi composti volatili che danno alla naftalina il suo odore caratteristico, ma congelati nel freddo criogenico di Titano. La crosta del satellite è un po’ più familiare, dato che è fatta di acqua ghiacciata, pur se surgelata fino a diventare dura come la pietra. Lo stesso si può dire di quello che si nasconde sotto la crosta: un oceano di acqua allo stato liquido molto simile a quelli che si trovano sulla Terra. Gli esperti si aspettano che l’acqua di questa riserva sub-superficiale non raggiunta dalla luce solare abbia la stessa temperatura delle zone poco profonde dell’Oceano Pacifico.
A proposito di Titano, Carl Sagan scrisse: “Le molecole che piovono come manna dal cielo da quattro miliardi di anni potrebbero trovarsi ancora lì, in gran parte inalterate, congelate, in attesa dei chimici terrestri”. E infatti invieremo su Titano alcuni chimici, sia pure robotici.
La NASA ha annunciato di aver selezionato un nuovo progetto per il programma New Frontiers, una missione diretta a Titano chiamata Dragonfly, il cui lancio è previsto per il 2026. “Questa missione rivoluzionaria sarebbe stata impensabile appena qualche anno fa”, ha affermato l’amministratore della NASA, Jim Bridenstine, in una dichiarazione registrata. “Una grande nazione fa cose grandi. Lanceremo Dragonfly per esplorare le frontiere della conoscenza umana a beneficio di tutta l’umanità.”
Quando Dragonfly raggiungerà Titano, nel 2034, saranno passati quasi trent’anni dall’ultima volta che il satellite è stato visitato da un mezzo spaziale: la resistente sonda spaziale Huygens, che è rimasta attiva per qualche ora sulla superficie della gelida luna di Saturno nel gennaio 2005. Sarà valsa la pena di aspettare, secondo gli scienziati della missione Dragonfly. “La NASA ha deciso di accogliere davvero la sfida di fare cose straordinarie e di impegnarsi con rigore nella ricerca della vita in quel corpo celeste oceanico bellissimo e bizzarro”, ha commentato Kevin Hand, planetologo e membro del gruppo di Dragonfly al Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA.
L’ultimo rivale della missione Dragonfly per l’ambita selezione nel programma New Frontiers della NASA era una proposta chiamata CAESAR, che prevedeva una missione per riportare campioni da una cometa.
Per eoni Titano è stato il regno della chimica organica, creando cocktail di molecole complesse che potrebbero essere i precursori di una vera e propria biologia aliena, di una vita che non conosciamo. A proposito di che cosa ci possa aspettare sul satellite ci sono poche certezze, ma questo non ha impedito agli astrobiologi di speculare con entusiasmo. “Sappiamo che Titano ha tutti gli ingredienti necessari alla vita. Fin dove può arrivare la chimica in un ambiente che ha già a disposizione tutti gli ingredienti?”, dice Elizabeth Turtle, ricercatrice principale di Dragonfly e planetologa all’Applied Physics Laboratory (APL) della Johns Hopkins University. “Titano fa esperimenti di chimica da centinaia di milioni di anni, se non da miliardi di anni. E noi vogliamo andare a raccogliere i risultati di quegli esperimenti.”
In quella che è una novità assoluta, questa missione insolita diretta nel sistema solare esterno sfrutta la tecnologia moderna dei droni. Dragonfly somiglia all’animale da cui prende il nome, la libellula, un agile insetto alato che può volare alto, rimanere sospeso in aria ed effettuare atterraggi millimetrici. Il mezzo spaziale sarà allo stesso tempo un drone e un lander, progettato per sfruttare la somiglianza del campo gravitazionale e dell’aerodinamica di Titano con quelli della Terra così da massimizzare le proprie capacità di esplorazione.
In effetti gli strumenti a bordo di Dragonfly non sono molto diversi da quelli del rover Curiosity inviato dalla NASA su Marte, ma Dragonfly è progettato con la capacità di cercare prove chimiche dirette della vita, le cosiddette firme biologiche, a prescindere dal fatto che quella vita sia basata sull’acqua e sul carbonio o su combinazioni chimiche molto più esotiche. E proprio come Curiosity, Dragonfly sarà a propulsione nucleare, con un generatore termoelettrico a radioisotopi. Quando i raggi del Sole arrivano nei pressi di Saturno sono troppo deboli per alimentare in maniera affidabile un drone volante, e anche se fossero abbastanza forti, l’atmosfera di Titano è comunque troppo densa per lasciar passare abbastanza luce.
Dal punto di vista tecnico, Dragonfly sarà un quadrirotore doppio, cioè avrà otto rotori in due gruppi di quattro che potranno trasportarlo in tutta una serie di regioni geologiche diverse sulla luna di Saturno, anche se al momento il programma di uscite della missione è appena abbozzato. Completo di una serie di strumentazioni scientifiche progettate per rilevare sostanze organiche complesse e firme biologiche, Dragonfly avrà anche la capacità di misurare l’attività sismica al di sotto della superficie di Titano, offrendo la possibilità di dare uno sguardo all’oceano acqueo nascosto del satellite.
Portare Titano in laboratorio
L’anno 2034 può sembrare lontano quanto la misteriosa luna di Saturno, ma i ricercatori si stanno già preparando a qualsiasi scoperta possa arrivare da Dragonfly, in gran parte ricreando parti di Titano in laboratorio. Il compito è davvero difficile, date le temperature bassissime della superficie e l’immensa pressione esercitata sull’oceano salato al di sotto della crosta di ghiaccio del satellite. All’Università dell’Illinois a Chicago, il biogeochimico Fabien Kenig e i suoi colleghi hanno sviluppato un esperimento unico nel suo genere che intende replicare le pressioni e le temperature dell’oceano di Titano in una serie di camere di incubazione grandi come palline da ping pong.
Ciascuna camera sarà inoculata con microrganismi che prosperano negli ambienti terrestri soggetti ad alta pressione. Il gruppo di ricerca intende esporre lentamente generazioni incrementali di quegli organismi a pressioni sempre più alte e a temperature sempre più basse, per verificare la capacità della biologia terrestre di evolversi e adattarsi. In questo modo i ricercatori sperano alla fine di produrre popolazioni di microrganismi simili a quelli che potrebbero esistere nelle acque sub-superficiali di Titano.
Il passo finale consisterebbe nel sottoporre tutti gli organismi vitali a condizioni ancora più estreme che possono essere presenti sul satellite, per verificare se in quelle condizioni riescano a riprodursi e a crescere. “Può rivelarsi molto utile capire questo genere di adattamento, per individuare in modo più mirato i tipi di molecole che troveremmo su Titano”, spiega Kenig. “Anche se è un processo lentissimo: quando si tratta di un ambiente coperto di ghiaccio che rimane stabile per milioni o miliardi di anni, la lentezza è irrilevante.”
Il laboratorio di Kenig dedicato a Titano non è l’unico che cerca di simulare miliardi di anni di evoluzione su un altro mondo; ce ne sono altri, in diverse forme, presso il JPL e l’APL, e di sicuro ne nasceranno di nuovi in vista della missione Dragonfly. Ogni laboratorio ha progettazioni e metodi diversi, ma tutti cercano di rispondere alla stessa domanda fondamentale: come potrebbe essere la vita su quel satellite?
Nuove vie, nuovi mondi
“Il genere di esperimenti che Titano sta facendo richiede troppo tempo per essere effettuato in laboratorio”, afferma Turtle. È per questo che, per quanto possa sembrare assurdo, è più fattibile limitarsi “semplicemente” ad attraversare più di un miliardo di chilometri di sistema solare con un drone a propulsione nucleare che possa poi effettuare le ricerche sul posto.
Anche se le somiglianze tra Titano e la Terra rendono in certi sensi più facile l’esplorazione in loco, le stranezze del satellite creano comunque ostacoli, e anche opportunità, unici nel loro genere. “C’è una sfida intrinseca nel cercare qualcosa che non abbiamo mai visto prima. Ed è importante riconoscere che, se Dragonfly ha come obiettivo specifico la ricerca di ambienti abitabili e di firme biologiche, scopriremo anche tantissime altre cose”, afferma il ricercatore del progetto Dragonfly Ralph Lorenz, dell’APL.
Le eventuali forme di vita esistenti su Titano dovrebbero funzionare come la vita negli ambienti più estremi, ma a cui è possibile sopravvivere, sulla Terra, cercando fonti di energia per mantenersi, crescere e riprodursi, o per lo meno è questa l’ipotesi operativa su cui si baserà la missione Dragonfly. “Il nostro mondo abitabile ha tantissimi ambienti diversi che possono ospitare la vita – afferma Turtle – perciò è importante considerare le cose da una prospettiva aperta.”
Adesso che Dragonfly ha ufficialmente un biglietto per Saturno, sembra destinato a rivoluzionare non solo la nostra comprensione di quel mondo lontano, ma anche di come si possano portare avanti le missioni planetologiche. Questa non sarà la prima missione interplanetaria con un mezzo volante auto-alimentato (quell’onore spetta a un piccolo drone esploratore progettato per il volo sul rover della missione NASA Mars 2020), ma nessun’altra missione aerea in programma o proposta ha ambizioni e implicazioni altrettanto alte.
Nella sua esplorazione, che avrà una durata prevista di due anni, Dragonfly potrebbe attraversare uno spazio equivalente alla lunghezza della California, fermandosi qua e là per librarsi al di sopra di obiettivi interessanti, e spostandosi ogni 16 giorni terrestri (pari a un giorno su Titano) per raggiungere un’altra meta lontana, senza mai smettere di raccogliere dati.
Nonostante l’interessante varietà di corpi planetari e satelliti che possiamo raggiungere, nel sistema solare non ci sono altri mondi che, come Titano, possano mostrarci il contesto degli anni in cui si è formata la Terra, un contesto che è tanto più urgente capire dato che ancora non riusciamo a rispondere alle domande di base su che cosa sia la vita e su come si realizzi la scintilla che le dà origine.
Per decenni abbiamo cercato le risposte in laboratorio e in alcune delle rocce più antiche della Terra. Ma forse – forse – abbiamo iniziato davvero a imboccare una via migliore: volare fino al sistema solare esterno, dove ci aspetta un esperimento incontaminato durato miliardi di anni. “Si tratta di un luogo allo stesso tempo del tutto alieno e del tutto familiare, perché ci sono materiali molto diversi da quelli a cui siamo abituati qui sulla Terra, ma che sono sottoposti agli stessi processi”, spiega Turtle.
Dragonfly potrebbe rivelarsi una delle missioni spaziali più audaci e innovative della nostra esistenza. “C’è tutto un mondo nuovo da esplorare, che somiglia tantissimo al nostro in molti modi, ma è anche davvero esotico”, afferma Lorenz.
Raggiungere quel satellite alieno con una missione sarà come salire su una macchina del tempo diretta verso il passato remoto, verso le nostre stesse origini. Ci darà la possibilità di guardare oltre l’orizzonte della geologia terrestre alla ricerca delle basi cosmiche della biologia: che cos’è la vita? Come inizia? E se c’è vita su altri mondi, che forme potrebbe avere? Adesso ci stiamo avvicinando di un passo alla risposta, aprendo un cammino per i salti epocali che avverranno in futuro.
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(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 27 giugno 2019. Traduzione di Francesca Bernardis, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)