Il buco nell’ozono influenza, peggiorandoli, gli effetti del cambiamento climatico

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Il buco nell’ozono influenza, peggiorandoli, gli effetti del cambiamento climatico

Il buco nell’ozono sull’Antartide ha alterato il moto dei venti in quota circostanti, un fenomeno che si ripercuote sull’andamento del clima. Ma è un circolo vizioso, perché i cambiamenti del clima incidono a loro volta, negativamente, sul ripristino dell’ozono stratosferico
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La riduzione dello strato di ozono contribuisce direttamente al cambiamento climatico globale, incidendo soprattutto sul clima dell’emisfero australe, e non si limita a consentire alle radiazioni ultraviolette di raggiungere più facilmente la superficie terrestre.

A dimostrarlo è una metanalisi dei dati climatici condotta da un gruppo internazionale di 39 ricercatori dell’Environmental Effects Assessment Panel delle Nazioni Unite, che monitora i risultati del Protocollo di Montreal, il trattato internazionale che ha sancito la messa al bando delle sostanze che impoveriscono l’ozono atmosferico. Lo studio è illustrato in un articolo di rassegna pubblicato su “Nature Sustainability”.

La massima estensione del buco nell’ozono nel 2018 (NASA Goddard/ Katy Mersmann) 

I ricercatori spiegano che il buco dell’ozono che si trova al di sopra del l’Antartide ha alterato il movimento nord-sud di una fascia di venti che circonda l’emisfero australe nota come oscillazione antartica, spingendola più a sud di quanto sia mai stata negli ultimi mille anni circa.

Questo progressivo spostamento, a sua volta, ha portato con sé, in un effetto a cascata, un cambiamento nei modelli delle precipitazioni, della distribuzione delle temperature marine superficiali e delle correnti oceaniche. Tutto ciò ha inciso direttamente sugli ecosistemi terrestri e ancor più su quelli acquatici. Alcune aree degli oceani australi sono infatti diventate più fresche e più produttive, mentre altre sono diventate più calde e meno produttive.

Il riscaldamento delle acque, per esempio, ha provocato un declino dei letti di alghe della Tasmania, delle barriere coralline brasiliane e degli ecosistemi che vi si affidano, mentre le acque più fresche hanno portato benefici ad alcune popolazioni di pinguini, uccelli marini e foche, che si avvantaggiano della crescita delle popolazioni di krill e pesci. Uno studio ha riportato che in alcune zone – sempre grazie alle acque più fresche – le femmine di albatros superano il chilo di peso.

Letto di alghe danneggiate dall’aumento combinato di radiazione solare e temperature marine (Rensselaer)

I ricercatori hanno però scoperto anche che i cambiamenti climatici, a loro volta, possono alterare la velocità con cui lo strato di ozono sta recuperando in seguito grazie alle misure del Protocollo di Montreal. “Le emissioni di gas serra – spiega Kevin Rose, coautore dello studio – intrappolano più calore nell’atmosfera inferiore, e questo porta a un raffreddamento dell’atmosfera superiore. Sono queste temperature più fredde nell’atmosfera superiore che stanno rallentando il recupero dello strato di ozono.”

Questo circolo vizioso rischia di rallentare la chiusura del buco nell’ozono – probabilmente finora il maggior successo dei trattati internazionali in materia ambientale – che sembrava avviata sulla buona strada, anche se proprio all’inizio di quest’anno è stata segnalata la rilevazione di nuove emissioni di sostanze dannose per lo strato di ozono provenienti dalla Cina orientale.

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