Le mutazioni del DNA “spazzatura” sono associate all’autismo

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Le mutazioni del DNA “spazzatura” sono associate all’autismo

Sono migliaia le mutazioni spontanee nel cosiddetto “junk DNA” che possono aumentare il rischio di autismo. La scoperta è avvenuta grazie a una tecnica di intelligenza artificiale che potrebbe essere applicata anche nella ricerca sui tumori e le malattie cardiovascolari
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Il genoma umano è costituito solo in minima parte da DNA codificante, cioè da geni che contengono le informazioni per sintetizzare le proteine utili al funzionamento dell’organismo. Il resto – il 98 per cento circa – era stato ribattezzato junk DNA, DNA spazzatura, perché tradizionalmente considerato inutile. Questa visione è cambiata in anni recenti, quando si sono accumulate sempre più prove che alcune parti di quel DNA hanno importanti ruoli di regolazione dell’espressione dei geni codificanti.

Inserendosi in questo nuovo paradigma degli studi genomici, una nuova ricerca pubblicata su “Nature Genetics” da Olga Troyanskaya della Princeton University, e colleghi, rivela ora che è proprio nel DNA spazzatura che possono insorgere mutazioni che aumentano il rischio di insorgenza di autismo.

Gli autori hanno utilizzato una sofisticata tecnica d’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico, per analizzare i genomi di 1790 famiglie in cui è presente un figlio con un disturbo dello spettro autistico, che invece non si riscontra negli altri familiari. Si tratta di un campione di studio particolare, in cui, non essendo evidente un’ereditarietà del disturbo, si può concludere che la mutazione genetica è sorta in modo spontaneo nel soggetto.

Il risultato non sarebbe stato possibile senza l’apprendimento automatico, che procede effettuando analisi sempre più approfondite del genoma, fino a rivelare schemi d’interazione tra porzioni del DNA spazzatura e geni codificanti.

Più in dettaglio, il suo algoritmo analizza ogni singola coppia di basi, i “mattoni elementari” che costituiscono la lunga catena della molecola di DNA, e verifica la sua relazione con un migliaio di coppie di basi vicine.

Alla fine del processo, l’algoritmo produce una lista di sequenze di DNA che, con probabilità crescente, hanno una funzione di regolazione dei geni, e delle relative mutazioni in grado d’interferire con queste regolazioni: gli autori lo definiscono come una sorta di “punteggio d’impatto sul disturbo”.

La nuova metodica ha così dimostrato di avere notevoli potenzialità nelle ricerche in cui occorre una grande capacità di analisi massiccia del genoma, inarrivabile per le tecniche tradizionali. L’inconveniente è che non individua nuove cause genetiche precise dell’autismo o alterazioni dello sviluppo del sistema nervoso, ma solo migliaia di possibili fattori in grado di alterare l’espressione dei geni nel cervello correlati al disturbo, come quelli coinvolti nello sviluppo o nella migrazione dei neuroni.

Troyanskaya e colleghi ritengono comunque che possa aprire interessanti prospettive di ricerca biomedica, non solo sull’autismo, ma anche in su tumori e patologie cardiovascolari.

“Questa è la prima chiara dimostrazione di mutazioni non codificanti non ereditarie che causano una malattia o un disturbo complesso”, ha commentato Troyanskaya. “Finora, il 98 per cento del genoma è stato trascurato: i nostri risultati permettono di guardare a questa porzione del DNA come a un terreno da esplorare”.

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