Chang’e-4 ci svela le profondità nascoste della Luna
La missione del rover cinese Chang’e-4 sembra aver scoperto del materiale proveniente da un oceano di magma congelato che si trova molto al di sotto della superficie lunare. Ma solo future missioni in grado di portare a terra dei campioni potranno confermare la scoperta
di Jonathan O’Callaghan/Scientific American
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Negli anni sessanta e settanta, Stati Uniti e Unione Sovietica condussero programmi di esplorazione lunare senza precedenti ancora senza eguali. Gli allunaggi delle missioni Apollo furono completati da sbarchi sovietici senza equipaggio, ed entrambi hanno dati contributi rivoluzionari dal punto di vista scientifico, come le centinaia di chilogrammi di roccia e suolo lunari che le missioni hanno riportato sulla Terra.
Stranamente, però, a mancare tra tutti quei campioni era del materiale che provenisse indiscutibilmente dal mantello roccioso della Luna. Trovandosi appena al di sotto della crosta desolata e craterizzata, si pensa che il mantello superiore della Luna sia il residuo congelato di un vasto oceano di magma che esisteva più di 4 miliardi di anni fa.
Studiare direttamente campioni del mantello potrebbe svelare aspetti nascosti della storia lunare, rimodellando forse la nostra comprensione complessiva della formazione e dell’evoluzione planetaria. Ora, una missione cinese ha scoperto segni di materiale del mantello sulla superficie della Luna, ponendo di fatto una “X” sulle mappe lunari per futuri esploratori alla ricerca di questo tesoro geologico non così tanto sepolto.
La missione Chang’e-4 cinese è arrivata vicino al polo sud sul lato nascosto della Luna il 3 gennaio 2019, diventando la prima navicella spaziale a scendere in questa regione in gran parte inesplorata del satellite. Composta da un lander e un rover, la missione è ancora attiva, con il rover, chiamato Yutu-2, che continua il suo percorso sulla superficie. A bordo ci sono diversi strumenti e gli scienziati dell’Accademia delle scienze cinese di Pechino riportano su “Nature” i primi risultati scientifici della missione, suggerendo che il materiale del mantello lunare è stato finalmente localizzato.
“Abbiamo scoperto che il materiale del sito di allunaggio di Chang’e-4 è composto principalmente da olivina e pirosseno a basso contenuto di calcio”, afferma Dawei Liu, uno dei coautori dell’articolo. “Questa combinazione di minerali è candidata come materiale derivato dal mantello”.
Chang’e-4 si trova all’interno del bacino di South Pole-Aitken (SPA) che, con i suoi 2500 chilometri di diametro, è uno dei più antichi e più grandi crateri d’impatto del sistema solare. Nello specifico, la missione è atterrata nel cratere Von Kármán, che ha un diametro di 186 chilometri, all’interno del bacino più grande.
Il cratere Von Kármán è stato prodotto miliardi di anni fa dall’impatto di una grande cometa o di un asteroide; queste collisioni possono far emergere dalle profondità del sottosuolo del materiale del mantello, che si disperde poi sulla superficie per effetto di impatti successivi. “Questi risultati sembrano rivelare che i materiali del mantello lunare potrebbero essere effettivamente esposti sulla superficie della Luna”, afferma Patrick Pinet, del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS) di Parigi, che ha scritto un articolo di commento sui risultati.
II cratere Von Kármán, dov’è avvenuto l’atterraggio di Chang’e-4 (Wikimedia Commons)
Il materiale del mantello è stato scoperto utilizzando lo spettrometro Visible e Near Infrared montato su Yutu-2, che può determinare la composizione chimica delle rocce studiandone la luce riflessa. Si ritiene che l’olivina e il pirosseno siano tra i primi minerali che si sono congelati dal magma oceanico della Luna in via di raffreddamento, cadendo verso la sua solida base più in profondità nel mantello.
Poiché precedenti osservazioni dall’orbita hanno rivelato che gran parte del suolo del cratere Von Kármán è composto da lava proveniente da eruzioni vulcaniche anziché dal mantello dissepolto, gli autori dell’articolo sospettano che il materiale rilevato da Yutu-2 sia stato proiettato all’interno del cratere dal mantello superiore che si trova sotto un altra struttura da impatto vicina, il cratere di Finsen, largo 72 chilometri.
Ci sono però alcune precisazioni da fare. Non tutti sono convinti che Yutu-2 abbia individuato definitivamente il materiale proveniente dal mantello lunare.
Mark Wieczorek, dell’Osservatorio della Costa Azzurra a Nizza, osserva che lo stesso colossale impatto da cui è nato il bacino di South Pole-Aitken avrebbe potuto portare alla formazione di materiale che, per quanto simile a quello del mantello, sarebbe stato piuttosto diverso dal vero mantello della Luna. E le previsioni avevano suggerito che dalla cristallizzazione dell’oceano di magma sarebbe derivata una composizione diversa – forse un segno di diversità inaspettata nella composizione del mantello lunare, se non un indizio del fatto che Yutu-2 non ha visto alcun materiale del mantello. “Anche se i dati di Chang’e-4 sono entusiasmanti, la vera origine di quelle rocce probabilmente sarà determinata solo raccogliendo nuovi campioni in questo bacino e riportandoli sulla Terra”, dice.
Se fosse confermata, questa prima rilevazione del materiale del mantello sulla superficie lunare consentirebbe di gettare un nuovo sguardo sulla struttura della Luna.
Ananya Mallik, dell’Università del Rhode Island, nota che, sui 1737 chilometri del raggio lunare, circa 300 formano un nucleo metallico denso al suo centro e 40 comprendono la crosta. “Quindi, i rimanenti 1397 chilometri sono il mantello, che è enorme!” dice, con i dati sismici delle indagini dell’era Apollo che forniscono la maggior parte di quella conoscenza preliminare. “Quindi, capire di che cosa è fatto il mantello è collocare un enorme tasselo del puzzle che svela la struttura e la composizione interna della Luna”.
Risultati come questi sono un vantaggio anche per il programma di esplorazione lunare della Cina, aiutando a giustificarne i costi e rafforzando le argomentazioni a favore di missioni future, comprese le incursioni di un equipaggio sulla superficie, dice Andrew Jones, un giornalista che segue il programma spaziale cinese. “La presunta scoperta di materiale derivato dal mantello lunare e la missione nel suo insieme dimostrano che il paese può pianificare ed eseguire missioni scientifiche all’avanguardia e portare nuovi contributi in termini di conoscenza”, dice. “Stiamo iniziando a vedere i primi risultati scientifici”.
Yutu-2 continua a funzionare nominalmente in superficie, dove percorso quasi 200 metri, e potrebbe sopravvivere per molti mesi a venire. Verso la fine del 2019, la Cina spera di lanciare anche un’altra missione sulla Luna, chiamata Chang’e-5, che sarà la prima del paese dedicata alla campionatura della superficie lunare. Purtroppo, quella missione è diretta sul lato visibile del satellite, lontano da Von Kármán e dalla notevole potenziale scoperta di Yutu-2. L’esplorazione del profondo interno della Luna – e del suo passato più remoto – per ora dovrà aspettare.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 15 maggio 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)