Uno dei due gemelli rimasto in orbita per un anno, che aveva subito modifiche al DNA, è “tornato come prima”

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Uno dei due gemelli rimasto in orbita per un anno, che aveva subito modifiche al DNA, è “tornato come prima”

Uno studio epocale della NASA ha confrontato parametri fisiologici, genetici e comportamentali di due gemelli, uno sulla Terra, l’altro rimasto per quasi un anno a bordo della Stazione spaziale internazionale. I risultati saranno utili per progettare al meglio le future missioni spaziali
di Jim Daley / Scientific American
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In uno studio epocale, gli scienziati della NASA hanno effettuato approfonditi test su Scott Kelly durante il suo estenuante tour di 342 giorni a bordo della Stazione spaziale internazionale nel 2015-2016. E contemporaneamente hanno monitorato il fratello gemello Mark (un astronauta in pensione rimasto sulla Terra), sperando che il confronto rivelasse nuove informazioni sugli effetti dei voli spaziali a lungo termine sul corpo umano.

I risultati dello studio sui gemelli della NASA, riportati su “Science”, mostrano che Scott Kelly ha subito una serie di cambiamenti fisiologici, la maggior parte dei quali è tornata allo stato precedente al volo dopo il suo ritorno sulla Terra. I risultati potrebbero aiutare a definire meglio i preparativi per future missioni a lungo termine, come viaggi su Marte o permanenze su una stazione spaziale in orbita lunare.

Test su due gemelli per sperimentare gli effetti del volo spaziale
Scott Kelly (destra) con il gemello Mark. (Cortesia NASA)

Lo studio è stato il primo a integrare l’analisi comportamentale e la fisiologia per indagare in che modo lo spazio influisce su una persona, e il primo a raccogliere due anni di dati sanitari completi su un essere umano di mezza età rimasto a terra, dice la coautrice Brinda Rana, genetista molecolare all’Università della California a San Diego.

“Per certi aspetti questa è la scienza al suo meglio, perché fa leva su qualcosa che sta avvenendo naturalmente per cercare di capire i nessi causali”, dice la genetista comportamentale S. Alexandra Burt, condirettrice del Michigan State University Twin Registry, che non è stata coinvolta nello studio. “Penso che sia stato un evento unico, di cui sono state sfruttate al meglio le potenzialità”.

Kelly dice di aver proposto lo studio mentre si preparava per la missione sulla stazione spaziale. “Ho detto: ‘Ehi, che ne dite di uno studio pianificato su di me e mio fratello Mark: siamo gemelli identici, a qualcuno interessa?’ All’inizio hanno rifiutato, ma poi, dopo aver sentito diverse università, gli scienziati della NASA hanno scoperto che in realtà la cosa era molto interessante.” E così lo studio sui gemelli è partito.

Per quasi due anni entrambi i fratelli hanno fornito campioni di urina, feci e sangue, che i ricercatori hanno usato per dieci distinte indagini sugli effetti molecolari, fisiologici e cognitivi dei voli spaziali a lungo termine. Lo studio ha richiesto uno stretto coordinamento tra i molti ricercatori.

“La NASA ha ospitato dieci ricercatori provenienti da tutto il paese, la maggior parte dei quali non si conoscevano tra loro, ci ha messo in una stanza e ci ha fatto cooperare fino a diventare un gruppo coeso in grado di portare a termine questa missione”, dice Rana. Le difficoltà insite nella raccolta di campioni da un astronauta a bordo della stazione spaziale hanno fatto sì che i ricercatori siano stati costretti a lavorare con materiale relativamente scarso. “Abbiamo dovuto ideare protocolli che ci permettessero di effettuare tutti i nostri studi in modo efficace con un solo campione”, dice Rana. Lo studio ha anche stimolato i ricercatori a innovare i metodi per lo studio della fisiologia e della genetica nello spazio. “Ci ha aiutato a realizzare la tecnologia per effettuare questo tipo di esperimenti non solo nell’orbita bassa della Terra, ma anche nel caso di attività come le future missioni di esplorazione”, dice il coautore Stuart Lee, uno scienziato cardiovascolare dell’azienda KBRwyle.

Kelly ha dovuto prelevare il proprio sangue e raccogliere le proprie urine e feci. “Certo nello spazio è più complicato fare pipì in un contenitore, perché tutto galleggia”, osserva. “Ma, soprattutto ci vuole tempo. Gli astronauti a volte si trovano quasi inconsciamente a cercare di non essere molto idratati nei giorni di raccolta delle urine a causa del tempo necessario per fare pipì”. Di questo c’è un riflesso nei risultati: i ricercatori hanno scoperto che Kelly era sempre leggermente disidratato, un fenomeno comune tra gli astronauti in missioni a lungo termine, che gli scienziati attribuiscono al fastidio degli astronauti per il complicato gabinetto di bordo.

Lo studio ha scoperto che durante il volo Kelly era quasi costantemente in uno stato di stress fisiologico. Il suo sistema immunitario era in massima allerta; ha avuto cambiamenti nell’espressione del DNA; la sua arteria carotide si è dilatata. Ha anche sviluppato “la sindrome neuro-oculare associata al volo spaziale”, o SANS, una condizione che comporta cambiamenti agli occhi, la cui causa è poco compresa. E il suo sangue, non più attratto verso le gambe dalla forza di gravità, tendeva a raccogliersi nella testa. “L’inizio è il momento peggiore”, dice Kelly. “Con il passare del tempo il tuo corpo si adatta ma, stando alla mia esperienza, non si adatta mai del tutto. Ho sempre sentito una certa pressione alla testa”.

Test su due gemelli per sperimentare gli effetti del volo spaziale
Scott Kelly sulla Stazione spaziale internazionale. (Cortesia NASA)

Durante il volo, i telomeri di Kelly, le sequenze protettive di nucleotidi ripetuti che “ricoprono” le estremità di ogni cromosoma come i rinforzi ai capi di un laccio da scarpe, erano cresciuti di più. “Questa è stata una sorpresa, perché all’inizio dello studio avevamo ipotizzato esattamente il contrario”, dice Susan Bailey, biologa della Colorado State University che ha diretto la ricerca sui telomeri. I telomeri si accorciano con l’età, e un enzima chiamato telomerasi li ripara e li allunga. Gli astronauti sono esposti a sollecitazioni estreme dovute a microgravità, isolamento e radiazioni che dovrebbero contribuire all’accorciamento dei telomeri, dice Bailey. La scienziata sospetta che la dieta altamente controllata di Kelly e il programma di esercizi fisici a bordo della Stazione spaziale internazionale possano aver contribuito all’allungamento, ma il fenomeno potrebbe anche indicare che durante il volo spaziale la sua popolazione cellulare stava cambiando. “Andando avanti, penso che cercheremo di incorporare questi endpoint telomerici in alcune delle misurazioni standard effettuate sugli astronauti, in modo da poter affrontare direttamente la questione”, dice.

Dopo che Kelly è tornato sulla Terra, la maggior parte dei cambiamenti fisiologici, dell’espressione genica e di altro tipo sono tornati alla normalità nel giro di sei mesi circa. Ma c’è stato un ulteriore periodo di adattamento. “Quando si torna sulla Terra, tutto il sangue tende a fluire verso le gambe”, dice. “Per me questo fenomeno è durato per settimane”. Inoltre, ogni volta che la sua pelle, non più abituata alla gravità, subiva qualche pressione, sviluppava eruzioni cutanee e orticaria. Anche appoggiarsi a un tavolo suscitava la reazione. Ma alla fine tutto è tornato a posto, facendo sperare che ci sia un rischio basso di danni duraturi alla salute degli astronauti dopo lunghi periodi trascorsi nello spazio. Detto questo, è importante notare che viaggiare verso Marte o altre destinazioni a lunga distanza espone a un ulteriore rischio: le radiazioni. Gli astronauti a bordo della stazione spaziale sono ancora in parte protetti dai raggi cosmici grazie allo scudo magnetico della Terra; una missione su Marte li esporrebbe a radiazioni galattiche a livelli molto più elevati, dice Lee.

Gli autori dello studio avvertono che, date le dimensioni estremamente ridotte del campione, è “impossibile stabilire un nesso di causalità”. Scrivono che lo studio dovrebbe “produrre ipotesi e definire il quadro di riferimento” per future ricerche sugli astronauti che completino il lavoro. “È tutto vero”, dice Burt. Ma aggiunge che avere un soggetto geneticamente identico sulla Terra permette di presumere la causalità molto più fortemente di quanto sarebbe stato altrimenti. Kelly è d’accordo: “Certo, questo è un esperimento con un n pari a uno”, dice. “Ma non ha evidenziato nulla che ci impedisca di andare su Marte”. Tuttavia, aggiunge, “se andremo oltre Marte” – richiedendo agli astronauti di rimanere in microgravità per anni e anni – “dovremo cominciare a pensare alla gravità artificiale”.

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(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” l’11 aprile 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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