In uno studio statunitense, soggetti esposti a pesticidi prima della nascita hanno mostrato un rischio di autismo più alto rispetto a soggetti che invece non ne erano stati esposti a questi prodotti chimici. Questa correlazione però non dice che l’autismo è collegato in maniera certa all’esposizione ai pesticidi sebbene faccia suonare un forte campanello di allarme
di Salvo Di Grazia
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Chi conosce il linguaggio della scienza sa che c’è un concetto fondamentale, utile per non incorrere in errori clamorosi e conclusioni affrettate: correlazione non è causalità. Non tutto ciò che è collegato a qualcosa è causato da questa cosa. Di esempi se ne potrebbero fare tanti e uno spunto proviene da uno studio recente che si occupa di due argomenti attuali e molto interessanti. I disturbi del neurosviluppo (l’autismo è uno di essi) e l’uso di pesticidi.
Partiamo da due presupposti: l’autismo è un disturbo molto complesso (non per niente si parla di “spettro autistico”) con molte varianti, caratteristiche diverse e difficile da definire. Sembra sempre più evidente che la sua origine sia genetica, legata alla fase di sviluppo embrionale ma sembra esserci anche una piccola componente ambientale. Il secondo presupposto è che sono pochissime le sostanze “veramente” tossiche per l’uomo. Tutto può essere tossico ma anche la cosa più tossica del mondo, in piccolissime dosi, può essere innocua o addirittura utile alla salute umana (vedi alcuni farmaci).
Questi concetti bisogna tenerli presenti per capire di cosa parliamo. Lo studio recente di cui parlavo all’inizio si collega a questi due concetti. Pubblicato sul “British Medical Journal” (non è un particolare secondario, si tratta di una delle riviste mediche più importanti al mondo), lo studio trova una correlazione tra i disturbi del neurosviluppo e l’uso di pesticidi. Si tratta di un classico “studio osservazionale”, i ricercatori cioè, hanno preso dei dati, li hanno studiati e collegati, ottenendo dei risultati e si sono fermati a questi.
Gli autori, americani, hanno analizzato i registri, che negli Stati Uniti sono obbligatori,
sull’uso di diserbanti e pesticidi in una precisa regione agricola. Hanno studiato 2961 persone con diagnosi di autismo, (445 delle quali con disabilità intellettiva) e 35.370 controlli (cioè persone in salute dello stesso sesso ed età). Hanno calcolato, con una stima, l’esposizione di queste persone ai pesticidi: tramite i registri si stimavano le quantità di pesticida usate nei due chilometri di superficie attorno a ciascun individuo e quindi si poteva risalire a quanto pesticida era stato esposto ognuno di essi prima della nascita.
Sono stati testati 11 pesticidi (i più usati, tra i quali glifosato, chlorpyrifos, avermectin e diazinone). I risultati finali hanno mostrato come le persone esposte prima della nascita (quindi le cui madri, in gravidanza, abitavano vicino ai campi trattati) a questi pesticidi mostravano un rischio di autismo più alto delle persone che invece non ne erano state esposte. Questo rischio era (in generale) minore nel periodo del concepimento e un anno dopo la nascita. La correlazione più forte è stata quindi quella durante la gravidanza, in particolare per glifosato e avermectin.
Come leggere questi dati? L’autismo è causato dai pesticidi?
Il risultato può suonare allarmante (quei pesticidi sono usati anche da noi e ormai le zone agricole sono spesso densamente abitate) anche perché non è nuovo e conferma osservazioni precedenti, ma probabilmente basta fare un po’ di chiarezza per capirlo meglio e non vedere tutto nero. Intanto possiamo dire che, per le caratteristiche dello studio, ci troviamo davanti a una correlazione non per forza indice di causalità. Questi dati, infatti, non ci dicono che l’autismo sia collegato in maniera certa all’esposizione ai pesticidi ma fa suonare un campanello di allarme che inizia a essere forte. Mai però trarre conclusioni da una semplice correlazione, sarebbe ingenuo. Negli anni, infatti, l’autismo è stato correlato (anche in maniera importante) con moltissime cose.
Sono correlati autismo e aumento di peso materno in gravidanza, lo è l’uso di antibiotici in gravidanza e la nonna del nascituro fumatrice, l’età paterna e persino la carenza di ferro, e questa è solo una parte dell’elenco di ciò che le ricerche hanno correlato con i disturbi dello spettro autistico. Correlare freddamente due dati può quindi farci arrivare a conclusioni inutili. Che peso dobbiamo dare allora a questa ulteriore correlazione? Quello giusto.
Lo studio è certamente interessante, conferma alcune ipotesi (per esempio quella che l’origine dell’autismo risalga al periodo di gestazione) e ne rafforza altre (per esempio che una piccola ma quasi certa porzione dei casi di autismo abbia causa ambientale) ma ha sicuramente parecchie limitazioni. Per esempio la correlazione, seppur presente, è molto bassa, per alcuni tipi di pesticida bassissima, cosa che fa pensare a un alto rischio di errore, anche perché l’esposizione ai pesticidi è stata solo stimata (tramite i dati registrati negli archivi statunitensi), non sappiamo cioè quale quantità di pesticidi abbia raggiunto veramente quelle persone in epoca gestazionale ma possiamo solo “immaginarlo”.
Altro dato importante è che quelle aree studiate hanno un altissimo utilizzo di pesticidi e si tratta di aree agricole e rurali dove già può esserci un più alto rischio di problemi dello sviluppo neurologico, indipendentemente quindi dall’uso di pesticidi. Gli studiosi inoltre non hanno seguito i bambini nel loro sviluppo (si sono fermati alla diagnosi di autismo). I soggetti con questa diagnosi analizzati nello studio sono in maggioranza maschi (e l’autismo ha un’incidenza maggiore proprio nel sesso maschile) e hanno madri di età più avanzata (e questo è un ulteriore fattore di rischio).
Prendere per oro colato la conclusione di questo studio, insomma, rischia di portarci in una strada senza uscita. Se è vero (e anche scientificamente plausibile) che pesticidi (e inquinamento in generale), insetticidi e smog siano fattori di rischio per i disturbi dello spettro autistico non possiamo ancora dire fino a che punto lo siano, per quali motivi e per quali quantità e d’altronde sono centinaia le sostanze considerate potenzialmente dannose in gravidanza. Però il dato c’è e conferma dati simili.
La “lezione” che quindi dobbiamo conservare è la conferma di un fatto di buon senso quasi proverbiale: in gravidanza bisogna essere cauti. Se già è bene vivere in un ambiente pulito e salubre, questo deve valere ancora di più nel periodo della gestazione. Un dato che sembra ovvio ma che non sarà mai ripetuto a sufficienza e l’Italia, nazione con tradizione agricola secolare, deve ricordarsene.