11 marzo 1669: 355 anni fa la grande eruzione dell’Etna

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11 marzo 1669: 355 anni fa la grande eruzione dell’Etna

di Stefano Branca
ingvvulcani.wordpress.com

L’11 Marzo 2024 ricorre il 355° anniversario della più grande eruzione laterale dell’Etna documentata in epoca storica. Il 1669 fu definito dalla popolazione interessata dall’evento vulcanico come l’anno della grande ruina (rovina). Durata ben quattro mesi, e caratterizzata da attività sia esplosiva che effusiva, questa notevole eruzione vulcanica è stata in grado di raggiungere Catania ed il mare, dove una comunità resiliente ha saputo intervenire per mitigare i danni e per consentire in seguito la ripresa del territorio. Infatti, a partire dal Basso Medioevo, periodo in cui si incominciò a strutturare il reticolo urbano con lo sviluppo dei numerosi centri abitati del versante orientale, l’eruzione del 1669 rappresenta l’evento che ha causato il maggior numero di danni alle aree coltivate e al tessuto urbano nella regione etnea.

Figura 1Figura 1Evoluzione del campo lavico dell’eruzione del 1669 ricostruito da Branca et al. (2013), con la localizzazione dei centri abitati e delle principali località investite dalla colata. Bracci lavici: a) occidentale, b) orientale, c) sud-orientale.

Dal punto di vista storico l’eruzione del 1669 è stato l’evento che più di ogni altro ha condizionato la storia urbanistica del versante meridionale dell’Etna, in quanto, modificando radicalmente l’assetto del territorio, ha condizionato lo sviluppo dei centri abitati nei secoli successivi, influendo anche sulle attività produttive ed economiche. Numerosi storici sono concordi nell’individuare in questo evento eruttivo il momento di rottura dell’equilibrio tra la città di Catania e il suo territorio rurale. Anche dal punto di vista vulcanologico l’eruzione del 1669 è considerata un evento estremo, tale da modificare radicalmente il comportamento e lo stile eruttivo del vulcano nei secoli successivi. Difatti, questa eruzione chiuse un periodo eruttivo caratterizzato, durante il basso medioevo, da numerose eruzioni laterali avvenute anche a bassa quota (sotto i 1000 m sul livello del mare). Dopo l’eruzione del 1669 e fino al 1727 si registrò un periodo di bassissima attività eruttiva, seguito da un graduale aumento dell’attività, sia sommitale che laterale, che in gran parte interessò le quote medio-alte dell’Etna, a differenza dei secoli precedenti.

L’eruzione fu preceduta da un’intensa sismicità che ha avuto inizio alla fine del mese di febbraio e che raggiunse il suo culmine fra il 10 e l’11 marzo con la distruzione del paese di Nicolosi. Alle ore 16:30 circa dell’11 marzo si aprì una serie di fessure eruttive, orientate NNO-SSE, che si svilupparono da una quota di circa 950 m fino a 700 m (Fig. 1) sul versante meridionale. La bocca eruttiva principale si formò ad est del cono di M. Salazara, fra quota 775 m e 850 m; qui un’intensa attività esplosiva costruì nei mesi seguenti un imponente cono di scorie denominato dai contemporanei monte della ruina, successivamente rinominato Monti Rossi per cancellare dalla memoria storica del territorio il ricordo dell’evento più nefasto avvenuto sull’Etna. Durante il primo mese di eruzione l’intensa attività esplosiva alla bocca del monte della ruina generò una colonna eruttiva che, ricadendo al suolo, produsse un deposito piroclastico di lapilli talmente spesso e pesante da provocare il crollo dei tetti di numerose case dei paesi di Pedara, Trecastagni e Viagrande. La caduta dei prodotti piroclastici più fini (cenere) interessò una vasta area fino a raggiungere la Calabria e la Sicilia sud-orientale. Complessivamente il volume totale dei prodotti piroclastici eruttati, sia prossimali – per l’appunto il cono del monte della ruina – che distali, fu di circa 66 milioni di metri cubi.

Figura 2
Figura 2 – Particolare di una colonna del santuario di Mompilieri sepolto dalla colata lavica la sera del 12 Marzo (foto di S. Branca). Uno scavo eseguito il 18 agosto 1704 riportò alla luce i resti dell’antico santuario.

L’eruzione durò quattro mesi: in questo periodo furono eruttati circa 600 milioni di m3 di lava, con un tasso effusivo medio alla bocca di 58 metri cubi al secondo che sono tra i valori più alti registrati negli ultimi 400 anni. Si formò un vastissimo campo lavico caratterizzato da un’area di 40 km2 e una lunghezza massima di 17 km; si tratta della colata lavica più lunga riconosciuta nel record geologico dell’Etna degli ultimi 15.000 anni. Nella fase iniziale, la colata lavica si divise in due bracci, a est e a ovest, per la presenza dell’ostacolo morfologico rappresentato dal cono di scorie di Mompilieri. Il 12 marzo le lave distrussero le borgate di Levuli e Guardia e il paese di Malopasso, avanzando con un fronte largo circa 2 chilometri. Durante la notte del medesimo giorno la colata lavica coprì la chiesa dell’Annunziata, che in linea d’aria distava circa 2 km dalla bocca principale, e distrusse completamente il villaggio di Mompilieri (Fig. 2). Il 14 marzo, grazie ad un tasso effusivo di 630 m3/s, il braccio lavico occidentale raggiunse i paesi di San Pietro e Camporotondo. Fra il 15 e il 17 marzo si formò un nuovo braccio diretto verso sud-est, mentre il braccio orientale arrivò presso il paese di San Giovanni Galermo, distruggendolo parzialmente (Fig. 3). Dopo due settimane di eruzione il tasso effusivo era diminuito a 170 m3/s e il braccio orientale si arrestò definitivamente dopo aver toccato la località Torre del Grifo, a nord di Mascalucia, e aver danneggiato le terre coltivate di Gravina, raggiungendo una lunghezza di 8,8 km. Nel frattempo, il braccio a ovest aveva raggiunto la sua lunghezza massima di 10 km, espandendosi nel pantano di Valcorrente, al confine con i terreni di natura sedimentaria delle colline chiamate Terreforti. Contestualmente, il braccio che scorreva a sud-est si divideva in diversi flussi che avanzavano nella località Carcarazza, localizzata a circa un chilometro a nord-ovest del paese di Misterbianco. Nel corso di queste due settimane, nei bracci a ovest e a sud-est si iniziarono a formare tunnel lavici. Fra il 26 e il 29 marzo, dal braccio occidentale si generarono nuovi flussi lavici che distrussero San Pietro e Camporotondo, mentre il fronte più avanzato continuava a invadere il pantano di Valcorrente. Negli stessi giorni, il braccio a sud-est cominciò a distruggere alcune case del paese di Misterbianco, che fu completamente sepolto il 30 aprile (Fig. 4).

Figura 3Figura 3 – Disegno anonimo dell’eruzione dell’Etna del 1669 conservato presso la Bibliothèque Nationale de France (da Abate & Branca 2016), che mostra con estremo dettaglio l’evoluzione della colata verso la fine del mese di marzo.
Figura 4Figura 4 – La chiesa madre dell’antico paese di Misterbianco che fu totalmente sepolta dalla colata ad eccezione del campanile che rimase come ultimo testimone del centro abitato (Foto S. Branca). Recenti scavi della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Catania hanno portato in diverse fasi alla luce questo straordinario elemento architettonico risalente al XIV secolo della regione etnea.

Circa un mese dopo l’inizio dell’eruzione, sebbene il tasso effusivo fosse notevolmente diminuito (30 m3/s), il braccio a sud-est continuava  ad avanzare velocemente grazie allo sviluppo dei tunnel lavici. A metà aprile la lava aveva raggiunto e coperto una piccola palude chiamata Gurna di Nicito e minacciava la porzione occidentale delle mura medievali di Catania. Il 16 aprile la colata lavica si addossò, per la prima volta, alL’ARTICOLO CONTINUA QUI

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