Foto dei danni ad Oneglia. Nella cittadina, che in futuro si sarebbe fusa con porto Maurizio sotto il nome comune di Imperia, si contarono 20 morti e 70 feriti. i danni furono ingenti, al punto che le case rimaste agibili furono meno del 3%.
Foto dei danni a Diano Marina, uno dei comuni più colpiti. Il contributo in vittime fu molto alto: morirono infatti 190 persone.
La scossa principale fu avvertita in un’area di 568.000 km2, in pratica in tutta l’Italia settentrionale, la Francia meridionale e centrale, la Svizzera e il Tirolo. Vi furono 631 vittime di cui ben 220 a Bajardo e 190 a Diano Marina. Anche Bussana Vecchia, dove si contarono 53 salme, fu seriamente danneggiata al punto da essere abbandonata e ricostruita più a sud nel 1894, allungando la lista delle città fantasma svuotate in seguito ad importanti fenomeni naturali. All’elevato numero di vittime concorse anche la coincidenza con la celebrazione delle ceneri. Infatti molti fedeli, a differenza di quanto accadeva normalmente, erano riuniti nelle chiese per la cerimonia dell’aspersione. A Bajardo, ad esempio, tutte le 220 vittime partecipavano alla celebrazione e, spaventate dal sisma, si ammassarono verso l’uscita dove rimasero sepolte dalle macerie della volta.
Ai tre eventi principali seguirono 9 scosse di assestamento solo quel giorno. La crisi sismica continuò nei mesi a seguire e durò sicuramente fino all’ottobre del 1887; in totale nel periodo si contarono almeno una ottantina di repliche.
Effetti sull’ambiente e sul contesto sociale
A seguito delle prime scosse si verificò anche un maremoto, di intensità 3 nella scala Sieberg-Ambraseys, con un ritiro orizzontale delle acque sulla battigia fino a 10 metri nel porto di Genova ma che fu ingente anche sulle coste dell’imperiese, dove testimoni ricordano di aver trovato molti pesci morti per la lunga esposizione all’aria. La dimensione del run-up fu di circa 2 metri sulle coste francesi e 1 metro a Genova, valore validato dall’unica registrazione mareografica esistente per il fenomeno.
Registrazione del mareografo nel porto di Genova relativa al giorno 23 Febbraio 1887. Nel grafico si osserva un abbassamento del livello del mare di alcuni decimetri, circa mezz’ora dopo il terremoto, causata da un ritiro delle acque verso il largo. In seguito il mare tornò a crescere invadendo le spiagge di tutta la parte occidentale della regione. Questo di Genova è l’unico mareogramma italiano, probabilmente in Francia esiste una registrazione del porto di Nizza.
FONTE: Eva C., Rabinovich A.B.The February 23, 1887 tsunami recorded on the Ligurian Coast, western Mediterranean -1997 – Geophysical Research Letters, Vol. 24, Issue 17, 2211-2214
Si stima che gli sfollati furono circa 20000. A fronte di questo numero le strutture locali non furono in grado di reagire prontamente e nelle prime 48 ore la situazione fu decisamente difficile. Mancavano i materiali per costruire baracche e rifugi, e gli aiuti tardavano ad arrivare sia per la situazione delle strade che per le continue scosse che compromettevano l’organizzazione degli interventi. La situazione migliorò decisamente solo a seguito dell’emanazione di un decreto pro-terremotati del Regno d’Italia, promulgato il 31 Maggio del 1887.
Due importanti sismologi, Torquato Taramelli e il sacerdote Giuseppe Mercalli, si recarono nell’area della catastrofe su incarico del Ministro Grimaldi che aveva richiesto una relazione su quanto accaduto. I due scienziati trascorsero molti giorni sui luoghi del disastro raccogliendo preziose informazioni. In particolare a Mercalli fu subito chiaro che le scale del danno in uso fino a quel momento erano insufficienti a descrivere la varietà di situazioni che si presentavano ai suoi occhi, e questo fu motivo per elaborare la omonima scala più complessa e completa, che pubblicò agli inizi del ‘900. L’opera dei due tecnici ha una importante valenza perché nella relazione che compilarono al termine del loro studio (Taramelli e Mercalli, 1888) si trovano anche descrizioni relative agli effetti sull’ambiente, che forse sarebbero sfuggiti ad un semplice cronista. Così sappiamo che vi furono alcuni episodi di liquefazione, scomparsa o comparsa di sorgenti, fratture nel terreno e numerose frane. Secondo alcuni studi, non è da escludere che proprio una frana sottomarina sia stata la principale causa del maremoto.
Copertina della memoria compilata da Torquato Taramelli e Giuseppe Mercalli sul terremoto del 1887. Si tratta di un importante ed esaustivo documento che descrive con testimonianze dirette le conseguenze del sisma sull’ambiente e sui centri abitati.
Localizzazione e magnitudo
Si può ragionevolmente pensare che la magnitudo del terremoto del 23 Febbraio 1887 fosse compresa tra 6.4 Mw e 7.0 Mw. Ce ne danno conferma molti studi intrapresi negli anni utilizzando diverse tecniche. La variabilità nei valori dipende da molti fattori: occorre infatti osservare che tutte le magnitudo calcolate a partire dalle intensità sono in qualche maniera sovrastimate dalla sovrapposizione degli effetti di tre scosse. Inoltre, per un evento in mare, la posizione epicentrale è meno accurata, e questo si riflette sulla stima della magnitudo.
Per quanto riguarda la posizione origine dell’evento, nel tempo si sono succedute diverse ipotesi, suffragate da altrettanti studi con risultati spesso discordanti in funzione dei dati considerati per l’elaborazione. Il terremoto fu in effetti registrato negli osservatori meteo-sismici allora esistenti, tuttavia molte di quelle registrazioni, comunque insufficienti a vincolare una localizzazione dell’evento, sono andate perse. Rappresenta un’ importante eccezione la registrazione del sismometro Cecchi installato presso l’Osservatorio di Moncalieri, conservata grazie alla diffusa pratica di “ricopiare” a mano la traccia sismica per consentirne la conservazione e la massima condivisione con altri osservatori. Le diverse proposte sulla posizione dell’evento derivano quindi da informazioni non strettamente strumentali.
Sismogramma del terremoto del 1887 registrato all’Osservatorio di Moncalieri. Fu conservato solo grazie alla pratica di ricopiare l’originale per consentirne una più ampia diffusione tra gli studiosi.
Mercalli e Taramelli, riferendo dei loro studi sulle direzioni dei movimenti di oggetti e strutture durante il sisma, proponevano:
“la grande maggioranza di esse convergono in mare tra Oneglia e Sanremo, tra 15 e 25 chilometri a sud della spiaggia. In quest’area riteniamo quindi doversi collocare l’epicentro principale del terremoto”
ed in merito alla profondità:
“Dunque non riteniamo di andare molto lontano dal vero, ritenendo di circa 17 chilometri e mezzo…..come valore approssimato della profondità del centro del terremoto ligure”.
Al contrario, però, la maggior parte dei cataloghi macrosismici (Sisfrance, Rovida et al., 2016) compilati negli ultimi 20 anni, con l’unica eccezione del catalogo CPTI 11 (Rovida et al., 2011), situano l’evento sulla costa. A questo proposito occorre rimarcare che nessuna evidenza sismotettonica conferma la presenza di una faglia di dimensioni tali da giustificare un terremoto di magnitudo superiore a 6 in quell’area della costa ligure (Eva et al., 2000; Turino et al, 2009). Un recente lavoro (Larroque et al., 2012) ripropone la localizzazione al largo di Imperia, ad una profondità di circa 15 km nella crosta continentale, su una faglia parallela alla costa. E’ noto che il Mar Ligure è inciso da un fitto sistema di faglie sia perpendicolari che parallele alla costa: le prime hanno carattere trascorrente, le seconde sono faglie inverse. La posizione proposta sarebbe in grado di spiegare il livello di danno sulla costa assumendo una magnitudo intorno a 6.8 Mw ed il successivo verificarsi del maremoto. Tuttavia la sismicità recente, pur confermando la presenza di quella faglia, suggerisce una geometria diversa da quella proposta dai colleghi francesi. Molte questioni rimangono aperte e si estendono anche alla sismicità recente e soprattutto al potenziale sismogenetico (e quindi alla pericolosità) di quel settore del Mar Ligure. Le difficoltà nel condurre uno studio in quell’area sono evidenti. Al momento non esistono registrazioni effettuate da strumenti di fondo marino (se non in brevi campagne oceanografiche) e la distanza con la Corsica non permette il pieno utilizzo dei dati registrati sull’isola, almeno per gli eventi di magnitudo minore, che sono i più frequenti.
Distribuzione dei danni
A proposito della distribuzione dei danni occorre ricordare che quell’area era stata interessata, nello stesso secolo, da quattro terremoti almeno parzialmente distruttivi nel 1818, nel 1819, nel 1831 e nel 1854. La ricostruzione in molti casi era stata approssimativa, come lo stesso Mercalli ricorda
“una gran parte delle rovine e specialmente delle vittime umane si sarebbero risparmiate se dopo i violenti terremoti del 1818 e del 1831 si fossero presi provvedimenti per rendere le case della Liguria più solide e più resistenti all’urto di nuovi movimenti sismici”.
Infine vale la pena di ricordare che la distribuzione spaziale delle intensità mostra una grande variabilità, in seguito attribuita ad effetti morfologici e di sito. Infatti considerando che molti paesi sono coevi oppure addirittura ricostruiti, almeno in parte, nello stesso periodo, alla base delle differenze nelle intensità non ci possono essere solo stili costruttivi e materiali. Così si constata che paesi molto vicini (per esempio Castel Vittorio e Pigna, distanti meno di un chilometro) hanno subito gradi diversi di danni (VII-VIII contro VI). Castel Vittorio, a 420 mt di altezza, è su un alto morfologico.
La ricostruzione post-terremoto fu molto sofferta, e durò a lungo. Questo evento sismico rappresentò, più dei precedenti, una svolta epocale nella storia della regione. A seguito della ricostruzione la Liguria impostò la vocazione turistica che ancora ora la contraddistingue.
A cura di Stefano Solarino (INGV – Centro Nazionale Terremoti)