Fukushima: la gigantesca grana dello smaltimento del suolo radioattivo
E governo giapponese e Tepco vengono nuovamente condannati a risarcire gli sfollati nucleari
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Per il governo giapponese, lo smaltimento delle montagne di terreno contaminato dalle radiazioni del disastro nucleare di Fukushima Daiichi del 2011 sta diventando un enorme rompicapo politico e sociale. Il governo di centro-destra di Tokyo aveva sempre detto che suolo superficiale contaminato rimosso sarebbe stato stoccato al di fuori della prefettura di Fukushima.
Su Asahi Shimbun, Teru Okumura e Shintaro Egawa spiegano che «Secondo una stima, il volume totale di quel suolo raggiungerà i 14 milioni di metri cubi entro l’anno fiscale 2021» e gli enti locali esterni alla prefettura di Fukushima non fanno certamente a gara per ospitare una massa così grande di materiale inquinato e potenzialmente pericoloso. A Tokyo ora sperano di convincerli proponendo di riutilizzare, in determinate condizioni, il suolo contaminato per realizzare progetti di lavori pubblici. Uno dei requisiti per poterlo utilizzare in diversi progetti infrastrutturali sarebbero livelli di radiazione del suolo inferiori a 8.000 becquerel per chilogrammo, lo standard utilizzato dal governo per classificare se il materiale di scarto richiede un trattamento speciale. Ma la prefettura di Fukushima teme che i sui cittadini debbano caricarsi anche di questo problema, nonostante le ripetute (e azzardate) promesse del governo centrale di spostare tutti i terreni contaminati dalla prefettura.
I lavori per spostare il terreno contaminato in depositi temporanei nella prefettura di Fukushima sono iniziati 4 anni fa. A partire dal 19 febbraio, il volume di terreno trasportato in impianti che somigliano a quelle per le “eco-balle in Campania ammontava a 2,35 milioni di m3. Inizialmente, il governo aveva fissato il marzo 2045 con me data/obiettivo per spostare tutto il terreno contaminato in un deposito permanente al di fuori di Fukushima, ma deve ancora iniziare a discutere dove costruire la struttura.
Sentito da Asahi Shimbun, Koji Yamada, un funzionario del ministero dell’ambiente che si è occupato del problema, ha ammesso che non sarà facile trovare un municipio pronto ad accogliere la struttura: «Ora siamo nella fase di cercare di ottenere comprensione da un punto di vista nazionale». Al ministero dicono che il riutilizzo di parte del terreno contaminato, che consentirebbe di ridurre il volume da trasferire nella struttura di stoccaggio definitiva, potrebbe ottenere il consenso di alcune municipalità.
Nel giugno 2016, un gruppo di esperti istituito dal ministero dell’ambiente aveva già avvertito che è irrealistico pensare di poter postare l’intero volume di terreno contaminato in un deposito finale e ha suggerito che la riduzione del volume di suolo contaminato riutilizzando le parti ritenute sicure in base agli standard di radiazione in atto sembra essere l’opzione migliore per trovare un sito candidato per ospitare l’impianto di stoccaggio finale. Inoltre, il team di esperti ha proposto modi in cui il suolo potrebbe essere riutilizzato: per esempio, in progetti di lavori pubblici come strade e argini e nei quali l’autorità committente sia chiaramente un organismo responsabile, aggiungendo che «Sono disponibili quantità sufficienti per garantire una manutenzione stabile per molti anni».
A dicembre 2008, quando il team si è riunito per l’ultima volta, gli esperti sono stati informati sullo scenario migliore per lo sviluppo della tecnologia per ridurre i livelli di radiazione nel suolo e «La previsione più ottimistica è che fino al 99 percento dei detriti potrebbe essere riutilizzato». Okumura ed Egawa fanno notare che «In base a tale scenario, solo 30.000 metri cubi, pari a circa lo 0,2% del volume totale, dovrebbero essere spostati nell’impianto di stoccaggio finale per esservi seppelliti».
Mentre al ministero dell’ambiente giapponese dicono che il terreno trattato riutilizzabile potrebbe essere utilizzato sia in località all’interno che all’esterno della prefettura di Fukushima, fino ad oggi le uniche proposte specifiche riguardano tre municipi della prefettura di Fukushima.
I residenti in due di queste municipalità, in particolare a Nihonmatsu, stanno raccogliendo firme sotto petizioni e organizzando altre iniziative per bloccare il riutilizzo dei suoli contaminati nel loro territorio e denunciano che se se questi piani dovessero andare avanti sarebbero in contrasto con le promesse del governo di stoccare il suolo al di fuori della prefettura. «Resta il fatto – scrive Asahi Shimbun – che la maggior parte del suolo contaminato è stoccato nella prefettura di Fukushima. Tuttavia, anche altre 7 prefetture hanno insieme 330.000 metri cubi in vari luoghi, come parchi e terreni agricoli.
Dall’agosto 2018, il ministero dell’ambiente sta cercando di determinare se l’utilizzo di suolo contaminato per i progetti di bonifica del territorio si sarebbe rivelato dannoso per la salute dei residenti de ha condotto test sul campo a Nasu, nella prefettura di Tochigi, e in un impianto gestito dalla Japan atomic energy agency a Tokai, nella prefettura di Ibaraki. Ma Masato Tashiro, un attivista di Nasu che si occupa del problema, è molto critico riguardo ai 6 mesi concessi per confermare la sicurezza di quel suolo: «Considerando il fatto che il terreno sarà stoccato per così tanto tempo, sono troppo pochi per formulare un simile giudizio. I residenti temono che, a lungo termine, la loro salute possa essere compromessa».
Intanto, il 20 febbraio, il Tribunale distrettuale di Yokoama ha ordinato al governo e alla Tokyo electric power company (Tepco) di pagare 420 milioni di yen (3,79 milioni di dollari) di danni agli sfollati durante il disastro nucleare di Fukushima Daiichi delll’11 marzo 2011, ritenendoli responsabili del triplo meltdown nella centrale nucleare di Fukushima n. 1 innescata dal grande terremoto/tsunami del Giappone orientale. Con questa sono 8 le sentenze simili che hanno ritenuto la Tepco responsabile delle sofferenze degli sfollati. Su 6 cause simili intentate contro il governo, 5 hanno ritenuto responsabile lo Stato giapponese.
In Giappone sono state presentate una trentina di cause legali da parte degli evacuati di Fukushima Daiichi che chiedono risarcimenti. Tra questi c’è un gruppo di 175 sfollati che si sono trasferiti nella prefettura di Kanagawa che sono stati coinvolti nella causa con il tribunale distrettuale di Yokohama che ha visto il giudice Ken Nakadaira ordinare al governo e alla Tepco di pagare 420 milioni di yen a titolo di risarcimento a 125 querelanti costretti ad abbandonare le loro comunità. Gli altri 50 querelanti erano fuggiti perché temevano per la loro sicurezza, ma non avevano ricevuto un ordine di evacuazione. I querelanti avevano chiesto 20 milioni di yen ciascuno, oltre al risarcimento per danni alle loro case e altre proprietà.
Uno dei punti essenziali delle battaglie legali intraprese dai profughi nucleari di Fukushima è se il governo e la Tepco avessero potuto prevedere la possibilità di un sisma di magnitudo 9.0, come il Grande terremoto del Giappone orientale che ha colpito Fukushima Daiichi, e la probabilità di un blackout dell’energia se il complesso nucleare costiero fosse stato inondato da uno tsunami. La Corte di Yokoama ha scoperto che, già nel settembre 2009, era possibile prevedere che un grosso tsunami avrebbe potuto inondare la centrale nucleare. Il tribunale ha anche detto che le esplosioni di idrogeno che hanno devastato i reattori nucleari «avrebbero potuto essere evitate se i sistemi di alimentazione all’interno del complesso nucleare fossero stati installati in un’area sopraelevata, cosa che Tepco ha trascurato di fare».
Per quanto riguarda la responsabilità del governo, la corte ha ordinato «il pagamento alle vittime per aver violato il loro diritto ad una vita pacifica. Avrebbe potuto ordinare alla compagnia di installare impianti energetici che soddisfacessero determinati livelli tecnologici, ma non ci era riuscito.
Intervistato da Asahi Shimbun, il capo del gruppo di querelanti, Hiromu Murata, ha invitato il governo ad «affrontare il problema degli sfollati in modo responsabile» e lo ha accusato di «adottare misure basate sulla premessa che il disastro nucleare è finito. Ma non c’è alcun cambiamento nella realtà che dobbiamo continuare a vivere come evacuati».
Una donna che faceva parte del gruppo di querelanti, che ora vive a Yokohama e che è stata evacuata dal distretto di Odaka di Minami-Soma, all’interno della no-entry zone di 20 chilometri intorno alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi, non riesce ad essere contenta per la sentenza favorevole: «La mia vita è stata sconvolta dal disastro nucleare. Mi hanno portato via il mio lavoro e la mia comunità. Sento di essere stata lasciata indietro dalla società. Non posso avere un senso di chiusura di questa vicenda, a meno che Tepco non venga ritenuta completamente responsabile».