I residenti di Fukushima stanno tornando a casa nonostante le radiazioni
Otto anni dopo l’incidente nucleare avvenuto in Giappone, le persone evacuate dalle aree interessate dall’emergenza iniziano a tornare nelle loro case, ma in alcuni casi perché non hanno altra scelta. E rimangono aperte delle questioni, in particolare sulla definizione dei livelli di esposizione considerati sicuri e sulle misurazioni dei livelli di radioattività
di Jane Braxton Little/Scientific American
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Quando la centrale nucleare di Fukushima Daiichi ha iniziato a emettere particelle radioattive dopo essere stata investita da uno tsunami nel marzo 2011, Kaori Sakura è fuggita. Ha infilato il suoi due bambini in un’automobile e ha lasciato marito e famiglia a Koriyama, 70 chilometri a ovest dell’impianto danneggiato. “La verità è che sono scappata”, ammette. Affrontando scarsità di benzina e ingorghi sulle strade, ha portato i suoi figli a 900 chilometri di distanza, verso l’Hokkaido, il più lontano possibile.
Le radiazioni dalla centrale fumante si spargevano su paesi dai tetti ricoperti di tegole e su risaie in un’area grande quanto il Connecticut [circa equivalente alla Calabria. NdR]. L’incidente, avvenuto a 240 chilometri a nord di Tokyo, ha fatto allontanare dalla regione più di 200.000 persone. Molte credevano di fuggire per salvarsi la vita. Ora, quasi otto anni dopo l’incidente, il governo ha revocato la maggior parte degli ordini di evacuazione. Quasi 122.000 persone sono state autorizzate a tornare in comunità dove le erbacce hanno invaso i parcheggi. La maggior parte sono anziani, sollevati per la possibilità di riprendere le loro vite. Il primo ministro Shinzo Abe è determinato a porre fine a tutte le evacuazioni entro il 2020, quando il Giappone ospiterà i Giochi olimpici estivi. Gli eventi includeranno gare di baseball e softball nella città di Fukushima, a poco meno di 90 chilometri dai reattori in rovina.
Circa 35.000 altri cittadini attendono ancora di tornare, ma loro e molti altri nel nord-est del Giappone temono che sia troppo presto. Le radiazioni, che sono generalmente collegate al cancro, in alcuni luoghi continuano a misurare almeno 5 millisievert (mSv) all’anno oltre la radiazione di fondo naturale, cioè cinque volte il livello aggiuntivo che il Giappone aveva raccomandato per le persone prima dell’incidente. In alcuni punti la radioattività raggiunge i 20 mSv, la massima esposizione raccomandata dagli esperti di sicurezza internazionali per gli operatori degli impianti nucleari.
Nella fretta di affrontare l’emergenza, due mesi dopo l’incidente, il governo giapponese ha aumentato l’esposizione permessa da 1 mSv all’anno, una soglia riferimento internazionale, a 20 mSv. Le persone evacuate ora temono che la determinazione di Abe a lasciare l’incidente Daiichi alle spalle della nazione stia mettendo a repentaglio la salute pubblica, specialmente tra i bambini, che sono più vulnerabili. Revocare la maggior parte delle evacuazioni ha anche posto fine alle sovvenzioni per gli sfollati, costringendo molti di loro a tornare nonostante le questioni ancora aperte.
Mentre sempre più persone dentro e fuori il paese fanno propri i dati sulle radiazioni, i funzionari giapponesi stanno affrontando un collasso della fiducia del pubblico. Prima dell’incidente i residenti in Giappone (e negli Stati Uniti) vivevano con radiazioni di fondo in media di 3,1 mSv all’anno, la maggior parte dei quali prodotta naturalmente dal terreno e dallo spazio. In Giappone e negli Stati Uniti molti residenti sono esposti a ulteriori 3,1 mSv all’anno, dovuti principalmente agli esami medici. Ma l’ansia dei residenti di Fukushima che affrontano livelli ancora più alti è palpabile. Se il governo ripristinerà completamente vite e mezzi di sostentamento, dovrà riconquistare la loro fiducia, afferma l’ingegnere nucleare Tatsujiro Suzuki, professore all’Università di Nagasaki ed ex vice presidente della Japan Atomic Energy Commission. Questo, dice, dovrebbe includere il rispetto degli standard internazionali di sicurezza per le radiazioni e l’abbassamento del livello permesso almeno fino a 5 mSv, anche se riconosce che “anche 5 mSv è troppo alto per i bambini”.
Scappare dalla radioattività
Lo tsunami seguito al terremoto di Tohoku, di magnitudo 9.0, ha sbattuto un muro di 12 metri di acqua marina sulla costa nord-orientale del Giappone. L’intero evento ha ucciso più di 15.000 persone. L’ondata di acqua all’impianto Daiichi della Tokyo Electric Power Company ha provocato la fusione del nocciolo di tre reattori.
I funzionari governativi hanno ordinato evacuazioni in aree indicate come “difficili da farvi ritorno”, dove le radiazioni erano superiori a 50 mSv, sufficienti a causare il cancro della pelle. Hanno rapidamente aggiunto aree tra 20 e 50 mSv, quindi quelle inferiori a 20 mSv. Le evacuazioni sono continuate per mesi mentre il Giappone ha faticato a trovare alloggi per un’ampia popolazione esposta a iodio-131, cesio-134 e cesio-137, tutti radioattivi. Nel maggio 2012 i funzionari hanno riferito di aver trasferito 164.865 persone. Altre 26.600 persone che vivono fuori dalle zone di evacuazione si sono trasferite volontariamente, secondo Citizens’ Nuclear Information Center, un’organizzazione con sede a Tokyo contraria all’industria nucleare.
Le evacuazioni non sono andate bene. Gli sfollati, molti anziani e fragili, sono stati spostati ripetutamente senza alcun piano, dice Jan Beyea, fisico che lavora per l’organizzazione Consulting in the Public Interest che ha lavorato a un rapporto del 2014 delle National Academies of Sciences, Engineering and Medicine degli Stati Uniti. Le interruzioni dell’assistenza medica e il trauma dello spostamento sono stati fatali per quasi 2000 persone, secondo la World Nuclear Association. Molti dei sopravvissuti soffrono di alcolismo e depressione clinica.
Con la diminuzione dei livelli delle radiazioni, il governo ha iniziato a concedere alle persone evacuate una casa, una città alla volta. A maggio 2013, comunità costiere come Minamisoma, a 40 chilometri a nord di Daiichi, stavano riaprendo i ristoranti di ramen, e i treni riprendevano le loro corse programmate, nonostante la mancanza di viaggiatori.
Shuzo Sasaki, 56 anni, è stato uno dei primi evacuati a tornare nella vicina Odaka, un tranquillo villaggio sul mare. Dipendente di lunga data della prefettura di Fukushima (le prefetture equivalgono a Stati) dirige Real Fukushima, un’organizzazione sponsorizzata dal governo che offre tour mentre le comunità si ricostituiscono. A Odaka, dove i pennacchi di radiazioni si sono innalzati nel cielo ma hanno lasciato cadere relativamente pochi atomi radioattivi sul terreno, i livelli si sono stabilizzati a 1,26 mSv all’anno, ben all’interno dell’intervallo di sicurezza. Oggi alcune risaie sono produttive, con le balle di paglia di riso essiccate al Sole. La maggior parte, però, sono vuote. Il mercato del riso di Fukushima è depresso, anche nelle fattorie dove è stato rimosso il terreno contaminato. Alcune risaie fanno sfoggio di pannelli solari. Molte non sono più coltivate, ma coperte con alcuni dei 16 milioni di sacchi di suolo contaminato rimossi da altri siti.
A Odaka è tornato meno di un quarto dei 12.800 residenti. La maggior parte ha più di 60 anni, dice Sasaki, che indossa una camicia bianca inamidata e un completo blu scuro. Alcune persone si sono fatte una nuova vita altrove; molti hanno paura di tornare. “I giovani con famiglia non credono alle misurazioni della radioattività del governo”, dice.
La preoccupazione per i bambini è una delle questioni più controverse. Quando i funzionari hanno innalzato il livello permesso di radiazioni a 20 mSv anche nelle scuole, si voleva dare alle persone una parvenza di normalità. Ma la decisione di maggio 2011 è diventata un’occasione di scontro per le persone che contestavano la gestione dell’incidente da parte del governo. Quelle persone erano furiose perché i bambini sarebbero stati esposti alla massima radiazione consentita per i lavoratori dgli impianti nucleari, passando giorno dopo giorno in edifici che hanno aumentato il rischio di cancro fino a uno su 200 persone. Sakuma era una delle persone tornate a Koriyama dal remoto Hokkaido. Non voleva che i suoi bambini piccoli toccassero terra o acqua contaminata durante il tragitto verso scuola, così li portava entrambi sulla sua piccola schiena. “Vogliamo tutti che i nostri bambini giochino all’aperto e raccolgano fiori, ma avevo paura. L’avevamo tutti”, dice Sakuma, che ora ha 46 anni.
Mancanza di fiducia pubblica
Nell’anno successivo all’incidente, Koriyama era una delle 12 comunità in cui il tasso di radiazioni superava di 3-5 mSv il livello di fondo, ma la città non era stata evacuata. I livelli di oggi si sono stabilizzati a 1,5 mSv, ma permangono i dubbi. Scettico sulle misurazioni del governo, Shigeru Otake, 49 anni, le ha effettuate per conto suo. Magro, con indosso una cintura di corda da pochi soldi che dovrebbe dargli la “forza di un samurai”, dice di aver misurato picchi di radiazioni a 15 mSv a Koriyama, dove la sua famiglia ha vissuto per generazioni. Sakuma accompagna i suoi figli, ora di otto e dieci anni di età, a scuola oltre un posto di monitoraggio governativo che, afferma, legge valori sei volte più in bassi del suo dosimetro.
I dubbi sulle rassicurazioni del governo in tema di sicurezza hanno spinto Hiroshi Ueki, 48 anni, a trasferire la sua famiglia nella prefettura di Nagano, dove ora sta crescendo “l’uva migliore del mondo”. I suoi genitori sono rimasti nella prefettura di Fukushima. Ueki dice che non tornerà mai indietro. “Il primo ministro dice che l’incidente è chiuso, ma non mi sentirò mai al sicuro finché l’impianto Daiichi cesserà finalmente l’attività. Ci vorranno 100 anni”.
Nonostante queste preoccupazioni, il Giappone ha continuato a mostrare il ritorno come un indicatore del progresso verso la ripresa. Entro aprile 2017, il governo aveva revocato tutte le evacuazioni tranne che per i luoghi più contaminati vicini a Daiichi. Quella decisione ha anche posto fine ala disponibilità di alloggi gratuiti per le persone costrette ad andare via, nonché a 26.600 persone, come Ueki, che sono partite volontariamente. Lasciate senza il sussidio mensile di 1000 dollari pagato da Tokyo Electric Company, alcune persone sono state costrette a tornare a casa nonostante i problemi di sicurezza. Non hanno altre opzioni economiche, dice Hajime Matsukubo, direttore generale del Citizens’ Nuclear Information Center. Circa 16.000 persone che si rifiutano di tornare sono state abbandonate economicamente, secondo il centro.
Non è chiaro se questa paura sia giustificata. Il pericolo per le persone cronicamente esposte a bassi livelli di radiazioni è attualmente oggetto di dibattito scientifico. “Non c’è una linea precisa dove possiamo dire che un certo tasso di dose ucciderà”, dice Kathryn Higley, professore di scienze nucleari all’Oregon State University.
Gli scienziati concordano generalmente su alcuni principi fondamentali: i rischi di contrarre leucemia o altri tumori sono più elevati nei bambini che negli adulti e i rischi per tutti aumentano in modo significativo con un’esposizione superiore a 100 mSv all’anno. Varie agenzie nazionali hanno fissato i 20 mSv all’anno come limite massimo per l’esposizione professionale. L’esposizione pubblica non dovrebbe essere superiore a 1 mSv all’anno sopra i livelli di fondo, secondo l’International Commission for Radiological Protection. Ciò solleva dubbi sulla dichiarazione di emergenza del Giappone del 2011 dei 20 mSv all’anno come esposizione ammissibile. Cinque anni dopo l’incidente di Chernobyl del 1986, i funzionari ucraini abbassarono il livello consentito a 5 mSv all’anno. I funzionari giapponesi osservano che non sono state segnalate morti per esposizione alle radiazioni.
La percezione pubblica è che l’incidente nucleare di Daiichi continui a rappresentare un rischio per la salute e, in modo significativo, che l’energia nucleare non sia sicura. Più dell’80 per cento dei giapponesi vuole eliminarla, secondo uno studio di ottobre 2018 di Suzuki, ex commissario della Japan Atomic Energy. Definisce l’erosione della fiducia pubblica “l’esito più spiacevole dell’incidente”.
Sakuma, la madre di Koriyama, sta usando l’incidente di Daiichi come lezione di coinvolgimento civico radicale. Intende tenere i suoi figli a Koriyama nonostante i problemi di radiazioni. “Voglio che crescano qui in modo che possano imparare che cosa fa il governo. Voglio che raccontino agli altri come si vive con le radiazioni”, dice. “Questo incidente non è concluso.”
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Scientific American il 16 gennaio 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)