La spada di Damocle dello scioglimento del permafrost

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La spada di Damocle dello scioglimento del permafrost

Uno studio decennale ha mostrato che il suolo perennemente congelato in varie zone del pianeta è sempre più in crisi a causa del riscaldamento globale. Il rischio è che uno scioglimento del permafrost liberi enormi quantità di gas serra che rafforzerebbero ancora di più il riscaldamento della Terra
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Circa un sesto delle terre emerse della Terra è classificato come permafrost, cioè come suolo che rimane permanentemente congelato per almeno due anni consecutivi. In molte zone, il ghiaccio è penetrato nel suolo millenni fa e in alcuni casi si estende fino a 1,6 chilometri di profondità. Ora la stabilità del permafrost è messa sempre più in crisi dal riscaldamento globale, secondo quanto emerso da uno studio del Global Terrestrial Network for Permafrost (GTN-P) pubblicato su “Nature Communications”.

L’analisi ha mostrato che tra il 2007 e il 2016 in tutte le regioni con terreni permafrost la temperatura del terreno ghiacciato in profondità è aumentata in media di 0,30 gradi Celsius. Le zone colpite sono situate a ogni latitudine: nell’Artide e nell’Antartide, così come le alte catene montuose dell’Europa e dell’Asia centrale, nonché in Siberia.

La spada di Damocle del permafrost
Permafrost in scioglimento nella Lena Delta Wildlife Reserve, Siberia, Russia
(Credit: Bernhard Edmaier/AGF)

Per circa un decennio, i ricercatori hanno condotto una campagna di trivellazioni del permafrost in tutto il mondo, penetrando nel suolo per più di dieci metri, in modo da escludere gli effetti delle variazioni di temperatura stagionali. Le rilevazioni hanno mostrato che la temperatura è aumentata in 71 dei 123 siti considerati e che in cinque di essi il permafrost si sta già sciogliendo. In controtendenza, invece, 12 siti in Canada, Penisola antartica, e regioni meridionali del continente euroasiatico. In 40 siti, infine, la temperatura è rimasta virtualmente invariata.

I risultati più eclatanti sono stati ottenuti in Siberia nord-occidentale e nord-orientale, con alcuni siti che hanno mostrato incrementi di temperatura del permafrost di 0,90 °C o anche di più, a fronte di un incremento della temperatura dell’aria di 0,61 °C, in media.

In Antartide, l’incremento è stato, in media, di 0,37 °C, mentre nell’Artide i ricercatori hanno individuato due incrementi medi diversi: 0,30 °C nelle zone con più del 90 per cento del suolo costituito da permafrost e 0,20 °C nelle altre zone. Nella zona delle Alpi e dell’Himalaya l’incremento è stato di 0,19 °C.

La spada di Damocle del permafrost
Mappa delle regioni ricoperte di pemafrost nell’emisfero boreale. (NASA/GSFC SVS/NSIDC/World Data Center for Glaciology/Science Photo Library) 

I risultati sono allarmanti per due motivi. Il primo è che il permafrost rappresenta una base stabile su cui sono costruite spesso abitazioni, strade, oleodotti e aeroporti. Ciò significa che il riscaldamento climatico è indirettamente una minaccia per la stabilità delle infrastrutture di queste zone.

Il secondo motivo è che la fusione del permafrost determinerà presto o tardi la decomposizione di enormi quantità di materia biologica, vegetale e animale, che vi è contenuta. E il processo produrrebbe grandi quantità di anidride carbonica e metano, potenti gas serra: si calcola che queste emissioni rafforzerebbero il riscaldamento globale di ulteriori 0,13-0,27 °C entro l’anno 2100.

“Il monitoraggio delle temperature globali del permafrost e la raccolta dei dati nella banca dati del GTN-P, disponibile gratuitamente, è di enorme importanza, non solo per ricercatori, insegnanti e comunicatori, ma anche per altri utenti”, ha commentato Hanne H. Christiansen, presidente dell’International Permafrost Association e coautrice dello studio. “La temperatura del permafrost è una delle variabili climatiche più universalmente accettate, poiché offre una stima diretta di quanto il suolo ghiacciato sta reagendo nei confronti del riscaldamento climatico”.

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