Clima dell’Artico: Il mare di Barents hotspot già sul punto di non ritorno

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Clima dell’Artico: Il mare di Barents hotspot già sul punto di non ritorno

Il rapido cambiamento climatico in corso nel Mare di Barents potrebbe diffondersi in altre regioni artiche
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Secondo quanto emerso dalla conferenza Arctic Frontiers 2019, tenutasi a Tromsø, in Norvegia, il Mare di Barents avrebbe già oltrepassato il punto di non ritorno climatico: mentre il mare si scalda, il suo clima artico si è trasformato  in un clima atlantico e il mare di Kara e il mare di Laptev – entrambi più a est – diventeranno probabilmente la nuova frontiera artica.

Gli scienziati hanno avvertito che questo avrà conseguenze sugli ecosistemi e potrebbe anche avere un impatto sui modelli meteorologici globali, anche se su quest’ultimo punto non c’è accordo. Cone spiega Roger Harrabin, analista ambientale della BBC, «Sono preoccupati perché il Mare settentrionale di Barents è stato governato da un clima artico fin dalla fine dell’ultima era glaciale, 12.000 anni fa».

L’Oceano Artico ha uno strato superficiale freddo e fresco che funge da barriera per l’acqua più calda e più salata dell’Atlantico, ma ora nel Mare di Barents non c’è abbastanza ghiaccio marino ricco d’acqua dolce che fluisce dall’Alto Artico da mantenere lo strato di acqua dolce e questo permette all’acqua atlantica calda e salata di risalire in superficie.

Si tratta di un fenomeno conosciuto come feedback loop: più gli strati si mescolano, più la superficie del mare diventa calda, e più diventa calda la superficie, più le acque si mescolano. «Quindi –  dicono i ricercatori – è solo una questione di tempo, prima che questa sezione dell’Artico diventi effettivamente parte dell’Atlantico. Potrebbe accadere in meno di un decennio».

Intervenendo alla conferenza Arctic Frontiers,lLa norvegese Sigrid Lind, del Bjerknessenteret for klimaforskning dell’Universiteten i Bergen, ha sottolineato che «Se la stratificazione del mare si interrompesse  completamente, il cambiamento potrebbe essere irreversibile. Una volta che sarà scomparsa, sarebbero probabilmente necessari diversi anni consecutivi di grandi afflussi di ghiaccio marino per ricostruire la riserva di acqua dolce, E questo non è probabile dato il riscaldamento globale e la forte perdita di ghiaccio marino artico. Il passaggio è stato così rapido che l’intero Mare di Barents potrebbe essere completamente privo di ghiaccio marino nel giro di pochi decenni, forse anche un decennio. Quindi una nuova regione di frontiera polare si svilupperebbe probabilmente più a est, nel mare di Kara o nel mare di Laptev. Questo è probabilmente il primo esempio moderno di un rapido evento riguardante i cambiamenti climatici: una parte del dominio artico si sta spostando verso il regime climatico atlantico. Questo tipo di cambiamento era avvenuto nei mari nordici durante l’ultima era glaciale  e quando è successo è cambiato tutto molto velocemente. Questo dimostra che l’Artico sta rispondendo all’unico grado di riscaldamento globale che abbiamo oggi riducendo e perdendo la sua parte esterna a vantaggio del dominio Atlantico. E’ allarmante».

Intervistato da BBC News, Jeremy Wilkinson del British Antarctic Survey ha sottolineato che «Le nuove scoperte sulla stratificazione e sull’acqua dolce sono fondamentali per la comprensione del futuro dell’Artico».

Ad Arctic Frontiers 2019 altri scienziati hanno detto che potrebbero avere effetti significativi anche altri fattori, come un cambiamento nei modelli del vento che sembra spingere via il ghiaccio marino dalla regione di Barents. Modifiche che potrebbero influire sui modelli meteorologici fino all’Asia orientale e potrebbero avere un effetto sul jet stream, che influenza gran parte dei modelli meteorologici del nord Europa atlantico. Ma su questo gli scienziati non hanno ancora raggiunto un accordo.

E in un altro enigma che gli scienziati non riescono a risolvere è quello dell’acqua dolce che sembra aumentare nell’Artico occidentale mentre diminuisce nell’Artico orientale. Un altro esempio della complessità, a volte indecifrabile, dell’impatto antropico sul pianeta.

Mentre il pianeta si è riscaldato di 1° C dalla fine del XX secolo, il riscaldamento nell’Artico è stato di 2 – 3° C. Una delle più grandi manifestazioni del cambiamento artico è il rapido restringimento e assottigliamento della copertura di ghiaccio marino. La perdita di ghiaccio marino hanno  avuto un ruolo significativo nel riscaldamento artico, ma sono importanti anche altri fattori come una maggiore copertura nuvolosa, l’umidità atmosferica, i gas serra e i cambiamenti nella circolazione oceanica e atmosferica. Le risposte dell’atmosfera alla  perdita di ghiaccio marino dipendono in parte dai modelli di circolazione atmosferica: in  alcuni anni la riduzione dei ghiacci hanno una minore influenza sul riscaldamento troposferico rispetto ad altri.

Inoltre, negli ultimi anni la perdita di massa della calotta glaciale della Groenlandia e dei ghiacciai che circondano l’Artico è probabilmente diventata la fonte principale di innalzamento del livello del mare. L’importanza dell’interazione ghiaccio-oceano per questa perdita di massa, sia nelle “foci” dei ghiacciai in mare, ma anche attraverso un maggiore deflusso dai ghiacciai terrestri, dimostra l’importanza di comprendere l’insieme delle dinamiche climatiche artiche per l’intero pianeta.

Gli oceani intorno all’Artico stanno cambiando più rapidamente rispetto agli altri, con cambiamenti pronunciati in termini di temperature decadali, stratificazione, contenuto di acqua dolce, copertura di ghiaccio e pH. Gli scienziati di Arctic Frontiers  spiegano ancora: «Con il ghiaccio marino in ritirata, le masse d’acqua dell’Atlantico e del Pacifico raggiungono ulteriormente i poli; vi sono prove crescenti del fatto che l’influsso dell’oceano è una causa primaria, in particolare per il cambiamento del ghiaccio marino invernale. A questo si aggiunge l’importante variabilità interannuale – multidecadale nell’idrografia, suggerendo che l’oceano è la chiave per districare il cambiamento naturale e indotto nel clima artico, compreso il clima continentale marittimo e la prevedibilità a breve termine. Nei mari dell’Artico, vi sono prove che il permafrost sottomarino si sta rapidamente disgelando, il che a sua volta può influire sul rilascio di gas serra. Gli Oceani artici sono anche serbatoi di carbonio molto importanti poiché, nonostante rappresentino solo il ~ 4% della superficie totale dell’oceano, rappresentano circa il 12% del totale annuo di CO2 dell’oceano. Inoltre, poiché le acque fredde dell’Artico hanno una capacità tampone debole, questo significa che l’acidificazione degli oceani è più grave che altrove».

I cambiamenti dei mari artici stanno influenzando le specie e gli ecosistemi marini e terrestri, dalla base al vertice della catena alimentare. «Gli impatti sono geograficamente diversi, ma con alcuni schemi generali – dicono gli scienziati -. L’aumento continuo della temperatura e la riduzione della copertura del ghiaccio stanno già alterando la funzione degli ecosistemi e la distribuzione geografica di specie importanti. In mare questo è ad esempio pronunciato nel nord e ad est con l’espansione dell’habitat dei principali stock ittici boreali nel Mare di Barents e ora dello sgombro atlantico al largo della Groenlandia. Il ritiro del ghiaccio marino ha anche portato ad un aumento della produzione primaria e all’incremento dell’incidenza delle fioriture autunnali. L’eventuale perdita della copertura di ghiaccio estiva avrà conseguenze profonde per la vita nei mari dell’Artico. Inoltre, Le specie di plancton che formano gusci o esoscheletri di carbonato di calcio sono altamente vulnerabili all’acidificazione degli oceani e alle variazioni associate agli stati di saturazione dei minerali. Molto spesso tali specie costutuiscono la base  della catena alimentare e gli effetti complessivi dell’acidificazione dell’oceano sugli ecosistemi oceanici sono ancora in gran parte sconosciuti».

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Anche a terra, i cambiamenti climatici e ambientali stanno influenzando profondamente gli ecosistemi artici. Mentre alcune specie possono sopravvivere adattando i loro areali geografici, altre specie sono meno resilienti. In molte aree le foreste migrano verso nord e è sempre più evidente la colonizzazione della tundra da parte di piante arbustive. Anche il  disgelo del permafrost causa rapidi cambiamenti nel suolo de nel territorio, alterando habitat e aree di nidificazione importanti.

Il permafrost è un componente essenziale della criosfera artica. «Il riscaldamento o il disgelo prolungato del permafrost persistite da  decenni e si prevede che acceleri – dicono gli scienziati – Questo a sua volta influisce sulla dinamica dei gas serra, poiché la materia organica precedentemente congelata nei suoli e nei sedimenti è esposta alla decomposizione». Il disgelo del permafrost ha effetti sul riscaldamento globale che sono paragonabili a quelli del forcing climatico derivante da qualsiasi utilizzo umano del territorio. «Questi processi – avvertono i ricercatori – si verificano su vaste aree, ma sono caratterizzati da un alto grado di variabilità spaziale e temporale, il che rende difficile il loro dimensionamento o proiezioni accurate».

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