Un enorme santuario grande 200 milioni di ettari, in grado di proteggere la fauna selvatica e di garantire una maggiore stabilità climatica. È il piano per la creazione della più grande area protetta del mondo, un vero e proprio corridoio della vita, proposto dai gruppi indigeni dell’Amazzonia in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità.
Dalle Ande all’Atlantico, il parco è frutto dell’alleanza tra le comunità amazzoniche nel mezzo di una delle controversie ambientali e politiche più importanti del mondo. La Colombia aveva già proposto un progetto simile, riguardante Ande, Amazzonia e Atlantico e prevedeva di presentarlo in occasione della Cop24 in corso in questi giorni ma l’elezione di nuovi leader di destra nel paese e inBrasile ha messo in dubbio quello che sarebbe stato un contributo importante delle nazioni sudamericane per ridurre le emissioni. Bolsonaro in primis viene considerato una minaccia, con le sue politiche a danno dell’ambiente.
Ma l’alleanza indigena, che rappresenta 500 culture di 9 paesi dell’Amazzonia, ha preso in mano le redini della situazione proponendo un “corridoio sacro di vita e cultura” che avrebbe le dimensioni del Messico.
“Veniamo dalla foresta e ci preoccupiamo di ciò che sta accadendo”, ha detto Tuntiak Katan, vicepresidente del Coica (Coordinator of the Indigenous Organisation of the Amazon River Basin). “Questo spazio è l’ultimo grande santuario del mondo per la biodiversità. È ancora lì perché noi ci viviamo. Altri posti sono stati distrutti”.
COICA è stato fondato nel 1984 a Lima, in Perù, e coordina 9 organizzazioni indigene amazzoniche. La proposta è il risultato di un vertice tenutosi lo scorso agosto con i leader indigeni di Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana francese, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela.
L’Amazzonia, i polmoni del pianeta, è la più grande e diversificata foresta pluviale tropicale sulla Terra. Ospita oltre la metà delle specie di piante e animali del mondo. Alcuni si trovano solo qui. Al suo interno vivono un milione di indigeni, molti dei quali in tribù incontattate.
I leader indigeni del Coica hanno dichiarato che porteranno avanti il piano indipendentemente dalla mutevole situazione politica anche se stanno cercando una rappresentanza a livello governativo alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla biodiversità e vogliono allearsi con gruppi indigeni e ONG in altri paesi.
Ma il loro potere politico è debole e molti temono che possano subire assalti violenti da parte dei colossi dell’agrobusiness e dei minatori, incoraggiati dal governo a trasferirsi nel loro territorio.
Katan ha detto che il dialogo è la strada migliore, ma alcune comunità si stanno già preparando a difendere la loro terra con la vita se necessario. I timori che i leader politici, possano distruggere questo grande patrimonio naturale, è reale
Meno terra sarà controllata da comunità indigene e forestali e più sarà aperta agli interessi economici di pochi. Speriamo che il parco possa presto diventare realtà, regalando ossigeno al mondo.
Francesca Mancuso