Cosa c’è sotto il Great Blue Hole, in Belize?
Una spedizione guidata dal figlio di Jacques Cousteau si prepara a esplorare la dolina carsica subacquea al largo del Belize, per studiare la sua struttura e analizzarne le acque.
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È una delle strutture sommerse più fotografate al mondo: il Great Blue Hole, un sinkhole sottomarino situato nel cuore del Lighthouse Reef, un piccolo atollo a una settantina di km dalla costa del Belize, conquistò la sua fama grazie all’esploratore francese Jacques Cousteau, che nel 1971 lo dichiarò uno dei cinque siti per immersioni più affascinanti al mondo, prima di calarvisi in prima persona.
Questa dolina carsica di forma circolare, larga 318 metri e profonda 124, è il secondo blue hole più grande al mondo dopo il Dragon Hole, nel Mare Cinese meridionale. Si pensa che la grotta calcarea da cui ha avuto origine si sia formata durante l’ultima Era glaciale, quando i livelli del mare erano inferiori a quelli odierni, e che sia poi stata sommersa dall’acqua, fino a che le sue pareti superiori sono collassate, dando origine al “buco” che vediamo.
Chi vi si è immerso racconta di una grotta scura disseminata di stalattiti, ma i sub umani non possono spingersi a profondità di molto superiori ai 40 metri. Ecco perché Fabien Cousteau, figlio di Jacques, ha deciso di unire scienziati, imprenditori visionari (come Richard Branson, il fondatore di Virgin Galactic) ed esperti subacquei nella Blue Hole Belize 2018 Expedition, una missione di esplorazione scientifica della misteriosa struttura.
In queste settimane il team sta visitando i fondali del “buco” con alcuni sommergibili, uno dei quali, l’Aquatica Stingray 500, può alloggiare due persone. Obiettivo principale della spedizione sarà mappare la struttura interna del blue hole usando una tecnologia sonar. Altre immersioni raccoglieranno dati sulla qualità dell’acqua, sulla quantità di luce a varie profondità, sulla presenza di batteri e sull’ossigenazione: si pensa che vicino al fondale possa esserci uno strato anossico (privo di ossigeno) vicino a un deposito naturale di solfuro di idrogeno (H2S), una composizione che si pensa contrasti la degradazione e che potrebbe aver favorito la conservazione di reperti biologici di varia natura.
Le operazioni andranno svolte con la massima delicatezza, per non danneggiare il sito protetto dall’UNESCO. Il team ha comunque già esperienza di immersioni pilotate attorno a relitti e sa come spostarsi senza toccare nulla. Lo stesso fondale è rivestito da una fanghiglia accumulata nel corso di 100 mila anni: neanche lì ci si potrà appoggiare.