Il fortissimo terremoto di Mw 6.6 che il 29 novembre 1732 colpì l’Irpinia

0

Il fortissimo terremoto di Mw 6.6 che il 29 novembre 1732 colpì l’Irpinia

Tratto da www.6aprile.it

Un violentissimo terremoto, seguito da repliche per circa un anno, colpì una vasta area dell’Appennino meridionale, causando gravi danni in numerose località delle province di Avellino e di Benevento.

La scossa più forte accadde il 29 novembre intorno alle ore 8:40 locali e colpì principalmente l’Irpinia, causando danni in un’area molto ampia, estesa dalle località del versante tirrenico al Foggiano e dal Beneventano fino ad alcuni centri della Basilicata settentrionale.
L’area disastrata corrisponde a quasi l’intera provincia di Avellino e a parte di quella di Benevento, più alcuni centri del casertano e del salernitano. Notevoli danni soprattutto agli edifici religiosi sono attestati anche a Napoli, a Benevento e a Melfi.
MORTI Il numero dei morti non è facilmente desumibile dalle fonti, che forniscono dati parziali e talvolta discordanti. Una stima di quasi 1.950 morti è abbastanza realistica, ma potrebbe non essere completa. Fu osservato che il maggior numero di vittime furono donne e bambini, poiché gli uomini, al momento della scossa, erano già a lavorare nei campi. Quest’ultimo elemento fu valutato anche come una causa della mortalità relativamente bassa in rapporto all’entità delle distruzioni e dei crolli avvenuti nei centri più colpiti.

L’area dei maggiori effetti fu nell’Irpinia settentrionale: dalla valle del fiume Ufita, probabile zona epicentrale, si estende in direzione ovest e sud-ovest fino a comprendere Avellino e i centri a sud di Benevento; verso sud e sud-est si estende alle valli del Calore e dell’Ofanto e lungo la dorsale appenninica, fino verso il confine con la Basilicata. In direzione nord comprende Ariano Irpino e Zungoli.

La scossa fu devastante a Carife e a Mirabella Eclano, che furono completamente rasi al suolo, con effetti che sfiorarono il grado XI MCS. A Mirabella la devastazione fu tale che il paese in seguito fu ricostruito in un sito diverso da quello originario.
Ariano Irpino era uno dei più importanti centri dell’area: la scossa causò il crollo quasi completo delle abitazioni, delle chiese e degli edifici pubblici, tra i quali il convento delle monache di San Salvatore, la Cattedrale, le chiese di Sant’Angelo, di San Pietro Apostolo, di Santo Stefano, di San Nicola, di San Marco dei Cavoti, la chiesa e convento dei Domenicani, il seminario e il palazzo vescovile. Gli edifici rimasti in piedi erano talmente malridotti da risultare inagibili. Le circa 48 chiese di Ariano erano tutte crollate o impraticabili. Si dovettero abbattere le mura cittadine che erano divenute pericolanti e minacciavano di crollare.
Nell’avellinese il terremoto distrusse la maggior parte dei seguenti paesi: Bonito, Flumeri, Grottaminarda, Guardia Lombardi, Lioni, Pietradefusi, San Mango sul Calore e Teora.
In territorio beneventano i paesi più colpiti furono Apice, Montorsi (oggi frazione dell’attuale comune di Sant’Angelo a Cupolo) e San Nicola Manfredi, quasi completamente abbattuti dal terremoto

Ad Avellino il terremoto causò il crollo di più della metà delle abitazioni e gravi danni alle rimanenti. In particolare i più distrutti furono i quartieri Terra Murata, Fontana, Borgo di Sant’Antonio e Carmine; crollarono la Cattedrale e il palazzo vescovile; un’epigrafe fu posta nella Cattedrale a memoria dell’evento e della successiva ricostruzione. La residenza del percettore di Avellino divenne inagibile.
L’abitato di Caposele fu totalmente rovinato; crollarono la chiesa Madre e il monastero dei Minori Conventuali con la sua chiesa. L’abitato di Castel Baronia fu invece distrutto per oltre il 50%; crollarono il palazzo vescovile, il monastero di Monte Vergine e la chiesa di Aquaria, situata poco fuori del paese; inoltre, cadde parzialmente la chiesa di Santa Maria della Fratta.
Il  terremoto rese inabitabile anche Sant’Angelo dei Lombardi, costringendo la popolazione ad abbandonarlo e a trasferirsi a vivere in campagna.

In 115 località, fra cui Benevento e alcuni centri delle attuali province di Foggia, Napoli, Salerno e di Caserta, le fonti attestano danni gravi, con pochi crolli totali, ma numerosi crolli parziali, lesioni e dissesti estesi a gran parte del patrimonio edilizio (VIII MCS); danni gravi interessarono anche Napoli, l’isola di Ischia, Salerno, alcuni centri del casertano, e Melfi e Barile in Basilicata.
A Benevento crollarono alcune case e furono riscontrati gravi danni all’edilizia in generale; rimasero danneggiati il Palazzo Apostolico e il palazzo Magistrale..
A Napoli moltissimi edifici pubblici, civili ed ecclesiastici, riportarono danni più o meno gravi: rimasero lesionati il Palazzo Reale, il palazzo della Vicaria (Castel Capuano) e i castelli a difesa della città. Pressoché tutte le chiese e i monasteri furono danneggiati. Tra gli edifici più colpiti furono la Cattedrale e le chiese di Santa Maria della Pace, di San Giorgio dei Pii Operarii, di Santa Maria Maggiore e del convento di Donna Regina, che rimasero tutte profondamente lesionate e furono dichiarate inagibili.

Alla scossa principale seguirono numerose repliche, che continuarono per diversi mesi; alcune scosse furono particolarmente forti e aggravarono i danni del 29 novembre: ad Ariano Irpino sono ricordati ulteriori crolli.
Una forte scossa accadde il 13 dicembre 1732 e causò nuovi danni ad Avellino, Altavilla Irpina e Ospedaletto d’Alpinolo. Molto violenta fu anche la scossa del 16 luglio 1733, che fu sentita fino a Napoli e a Benevento, causando qualche ulteriore crollo. Complessivamente la sequenza durò quasi un anno.

Com’era l’edilizia locale?
Dal punto di vista dell’edilizia abitativa questa area presentava due zone caratteristiche, separate dalla valle del fiume Calore. La zona occidentale era caratterizzata da una maggiore presenza di piccoli centri e di insediamenti sparsi, mentre la zona orientale presentava un accentramento demografico in grossi paesi, posti per lo più su poggi, e costoni. Nell’Irpinia occidentale le abitazioni rurali dei proprietari terrieri avevano un piano sopraelevato, elemento invece mancante nelle abitazioni dei semplici contadini. Le aree collinari costituivano la zona degli edifici prevalentemente di pietra calcarea o di tufo e i solai erano in legno. Nell’area montana il materiale da costruzione più diffuso era il pietrame calcareo grezzo o appena squadrato, unito con malte terrose. Nell’Irpinia orientale, le abitazioni dei paesi posti su alture erano costruite per lo più in pietrame calcareo squadrato.

Fonte: edurisk.it

Share.

Leave A Reply