C’è davvero una super Terra ghiacciata intorno alla Stella di Barnard?
A soli sei anni luce di distanza, un nuovo candidato pianeta potrebbe essere il secondo mondo extrasolare più vicino a noi, e un obiettivo primario di futuri studi. In effetti, annunci simili poi smentiti invitano alla prudenza, ma informazioni più precise potranno venire dai grandi telescopi del prossimo decennio di Lee Billings/Scientifc American www.lescienze.it
Notte dopo notte, stella dopo stella, gli astronomi si avvicinano sempre di più a capire quanto sia affollato il nostro universo, o almeno la nostra galassia.
A un quarto di secolo dalla scoperta dei primi esopianeti in orbita intorno ad altre stelle, le statistiche delle migliaia ora conosciuti hanno rivelato che, in media, ogni singolo abitante stellare della Via Lattea dev’essere accompagnato da almeno un pianeta. Se si cerca abbastanza tenacemente e a lungo un pianeta attorno a una determinata stella della nostra galassia è praticamente garantito prima o poi trovare qualcosa.
Ma anche un universo affollato può essere un luogo solitario. La Via Lattea, ricca di pianeti, potrebbe rivelarsi povera di vita. Di tutti i mondi conosciuti della galassia, solo una manciata assomiglia alla Terra per dimensioni e orbita: ognuno di essi occupa una nebulosa regione “Goldilocks” dalle condizioni favorevoli, una condizione ideale in cui un mondo non è né troppo grande né troppo piccolo, né troppo caldo né troppo freddo, per sostenere l’acqua liquida e la vita sulla sua superficie.
Invece, nella maggior parte dei casi, i pianeti della Via Lattea sono mondi che i teorici non avevano previsto e e devono ancora conformarsi a qualsiasi concetto di abitabilità: sono “super-Terre” più grandi del nostro pianeta, ma più piccoli di Nettuno.
Nessuna super Terra ruota intorno al nostro Sole in modo che scienziati confinati nel sistema solare possano studiarla direttamente, rendendo così molto più difficile sapere se altrove vi siano mondi Goldilocks e, d’altra parte, se l’idea di uno standard di abitabilità valido per tutti sia irrimediabilmente ingenua.
Affrontare questi misteri astrobiologici richiede nuove generazioni di telescopi e astronavi per cercare e studiare i segni di abitabilità e vita oltre il sistema solare. Ma la prova a favore o contro un universo solitario e affollato può essere sorprendentemente a portata di mano, parlando in termini astronomici. Nel 2016, anni di analisi hanno finalmente rivelato un mondo di dimensioni terrestri proprio dietro l’angolo, in un’orbita temperata attorno al più piccolo membro di Alpha Centauri, un sistema di tre stelle che, essendo a 4,4 anni luce di distanza da noi, è il più vicino al nostro Sole.
Ora, un’altra ricerca approfondita dell’oggetto più vicino al sistema solare, la Stella di Barnard, a soli sei anni luce di distanza da noi, ha scoperto anche lì un pianeta candidato: una super Terra più grande e più fredda, provvisoriamente denominata Stella di Barnard b.
La scoperta, compiuta da un gruppo internazionale di oltre 60 astronomi che utilizzano osservatori da tutto il mondo, è descritta in uno studio apparso su “Nature” il 14 novembre. Apre le porte a future ricerche e confronti tra i due pianeti, familiari ma alieni, più vicini al sistema solare.
Una super-Terra ghiacciata?
“Se vivi in una città di milioni di persone, non ti interessa incontrare tutti, ma forse vorresti incontrare i tuoi vicini più prossimi”, spiega l’autore principale dello studio Ignasi Ribas, astronomo dell’Istituto di studi spaziali della Catalogna, in Spagna. “E’ quello che stiamo facendo per i sistemi planetari delle stelle che ci circondano. Altrimenti non possiamo rispondere alle grandi domande. In che modo il sistema solare e la Terra si conformano al resto della galassia? Ci sono altri pianeti abitabili o abitati? Stella di Barnard b non ci sta ancora dando queste risposte, ma ci sta raccontando parte della storia che dobbiamo conoscere”.
Situata nella costellazione dell’Ofiuco, la Stella di Barnard è così fioca in luce visibile che non può essere osservata a occhio nudo. Eppure è stata una delle preferite dagli astronomi fin dal 1916, quando le misurazioni rivelarono che il suo moto apparente attraverso il cielo era più grande di quello di qualsiasi altra stella rispetto al nostro Sole, segno della sua vicinissima distanza cosmica. La vicinanza della stella è solo temporanea: entro decine di migliaia di anni, la sua traiettoria l’avrà spazzata via dalla lista delle cinque stelle più vicine al sistema solare.
Secondo Ribas e i suoi colleghi, il candidato pianeta è almeno tre volte più pesante del nostro e ruota intorno alla sua stella in un’orbita di 233 giorni. Se si trovasse intorno al nostro giallo Sole, questo lo collocherebbe nella torrida vicinanza orbitale di Venere, ma la Stella di Barnard è una nana rossa, fioca e di dimensioni relativamente ridotte.
Questo significa che il suo nuovo compagno è vicino alla “linea della neve”, il confine oltre il quale l’acqua esiste quasi esclusivamente come ghiaccio congelato, una regione che attorno ad altre stelle è ritenuta piena zeppa di pianeti, ma che gli astronomi hanno appena iniziato a studiare per i piccoli mondi.
Lì, Stella di Barnard b riceverebbe solo il 2 per cento della luce che la Terra riceve dal Sole, quanto basta per fargli raggiungere una temperatura media stimata di -150 gradi Celsius. Forse, ipotizza Ribas, il pianeta è roccioso e coperto da spessi strati di ghiaccio, con una superficie che ricorda quella delle lune ghiacciate di Giove e di Saturno. In un mondo del genere, le prospettive per la vita sembrerebbero remote, a meno che, come avviene su quelle stesse lune, sotto la superficie abbia un oceano mantenuto liquido dal calore interno.
In quel caso, il suo interno avrebbe bisogno di rimanere caldo per un tempo molto lungo: si pensa che l’età del pianeta sia tra i 6 e gli 11 miliardi di anni, le stime generiche dell’età della Stella di Barnard. (Per confronto, la Terra ha solo 4,5 miliardi di anni.)
In alternativa, il pianeta potrebbe essere coperto da una coltre fitta e isolante di idrogeno rimasto da quando è nato nel disco rotante di gas e polvere attorno alla sua stella.
Su mondi più piccoli e più caldi, l’idrogeno si dissiperebbe nello spazio, ma le super Terre in orbite gelide potrebbero riuscire a trattenere una quantità di gas sufficiente da costituire un massiccio effetto serra che riscalderebbe il pianeta: una possibilità che getta scompiglio nelle idee Terra-centriche basate sul concetto Goldilocks.
Se questo meccanismo funziona su Stella di Barnard b o altre super Terre fredde, “i nostri sogni che ogni stella possa avere un pianeta abitabile potrebbero diventare realtà”, dice Sara Seager, astrofisica ed esperta di caccia ai pianeti del Massachusetts Institute of Technology, che non era coinvolta nello studio di Ribas. “Ci sono mondi pazzeschi là fuori”.
Perseguitati dalla storia
Alcuni mondi, purtroppo, sono semplicemente troppo belli per essere veri. Nel 1963, l’astronomo olandese Peter van de Kamp, “scoprì” dei pianeti attorno alla Stella di Barnard, collegando i supposti cambiamenti nel moto della stella nel piano del cielo all’influenza gravitazionale di mondi invisibili. Negli anni settanta, le prove dei presunti pianeti di van de Kamp si dissolsero dopo un’ulteriore analisi, e furono infine attribuiti a vari errori e sviste che contaminavano le sue osservazioni. Nonostante tutto ciò, la fiducia di van de Kamp nelle sue affermazioni era apparentemente incrollabile: per i restanti decenni della sua vita, continuò a insistere che i pianeti erano reali.
Quel racconto ammonitore perseguita ancora oggi i cacciatori di pianeti. I timori rimangono, anche se le indicazioni attuali di un mondo attorno alla Stella di Barnard sono molto più solide. Dopo tutto, la storia, anche se non si ripete, può facilmente rivelarsi simile. “Alla luce della travagliata storia degli annunci di pianeti intorno a questa stella, gli autori sono molto coraggiosi a dedicarvisi in questo modo”, afferma Ignas Snellen, astronomo dell’Università di Leiden, nei Paesi Bassi, che non ha preso parte alla ricerca. “Queste sono misurazioni molto difficili!”.
Sono così difficili, infatti, che alcuni esperti sono poco convinti. “Dato che ci sono pianeti dappertutto, suppongo che ce ne debbano essere anche attorno alla Stella di Barnard”, spiega Debra Fischer, astronoma e veterana della caccia ai pianeti dell’Università di Yale, che non era coinvolta nella presunta scoperta. “Potrebbe essercene persino uno un paio di volte più massiccio della Terra, con un periodo di 233 giorni. Ma questa analisi non fornisce un supporto abbastanza forte, secondo me”.
Al contrario, Xavier Dumusque, astrofisico dell’Osservatorio di Ginevra, in Svizzera, neppure lui coinvolto nello studio di Ribas, trova convincenti le prove di Stella di Barnard b. “In termini di probabilità che questo pianeta esista, penso che non ci possano essere dubbi”, dice. “Il suo segnale è davvero chiaro”.
Il caso di Stella di Barnard b si basa su un’importante raccolta di dati e analisi che mettono insieme centinaia di misurazioni effettuate da sette strumenti di livello mondiale su grandi telescopi terrestri in un arco di tempo di oltre 20 anni.
Ogni misurazione tiene traccia della velocità radiale della Stella di Barnard, ovvero del suo movimento verso o lontano dalla Terra, che può oscillare avanti e indietro in sincronia con il traino orbitale dei pianeti associati.
Il segnale attribuito a Stella di Barnard b è un’oscillazione di poco più di un metro al secondo: un effetto delle dimensioni di una velocità di camminata, facilmente riprodotto da vari tipi di attività stellari o errori strumentali. La sua comparsa in due decenni di dati provenienti da così tante diverse indagini suggerisce con forza che il segnale non sia dovuto al rumore strumentale; escludere definitivamente che la sua fonte sia l’attività stellare però è molto più difficile.
In un passato non troppo lontano, anche i migliori gruppi di esperti di caccia ai pianeti con il metodo della velocità radiale si sono fatti ingannare da questi falsi positivi indotti dalle stelle, annunciando nuovi sensazionali mondi che alla fine si sono dimostrati illusori.
In questo caso, la Stella di Barnard può offrire un vantaggio, nonostante la sua storia sfortunata di caccia ai pianeti. È una delle stelle più quiescenti conosciute, il che la rende quasi ideale per gli studi basati sulla velocità radiale. E Ribas e colleghi insistono nel dire di aver imparato la lezione, dura ma necessaria, dai passati annunci di mondi fantasma.
Una serie intensiva di osservazioni di follow-up ha ampiamente escluso l’influenza di stelle e altre sorgenti di segnali simili a quelli dei pianeti, afferma Ribas, e gli autori dello studio hanno anche condotto oltre mezzo milione di simulazioni per concludere che la possibilità che il segnale derivi dagli effetti stellari più perniciosi è inferiore all’1 percento. “Sono sicuro al 99 percento che il pianeta c’è”, afferma Ribas. “Ma abbiamo la storia di Peter van de Kamp impressa nelle nostre menti. Se qualcuno ha forti argomentazioni contro la nostra scoperta, accetto la sconfitta! Non vorrei diventare il van de Kamp del XXI secolo”.
Scattiamo una foto?
In un modo o nell’altro, la certezza di questo controverso candidato planetario potrebbe arrivare presto. Il lavoro del gruppo ha già escluso qualsiasi pianeta di dimensioni terrestri in orbite di 40 giorni o meno attorno alla Stella di Barnard, anche se ha anche trovato indizi deboli, non ancora confermati, di un altro pianeta in agguato molto più lontano. (Con tante scuse a van de Kamp, un simile pianeta probabilmente sarebbe ancora male in accordo con i suoi precedenti annunci.)
Ad aumentare ulteriormente la fiducia nella reale esistenza del candidato, potrebbero arrivare centinaia di misure addizionali di velocità radiale con strumenti presenti e futuri, e anche i dati futuri della sonda spaziale Gaia dell’Agenzia spaziale europea (ESA), che traccia i movimenti della Stella di Barnard e di oltre un miliardo di altre stelle per realizzare una mappa tridimensionale della Via Lattea.
Anche se estremamente improbabile, il pianeta potrebbe essere per caso perfettamente allineato con la nostra prospettiva dalla Terra in modo da “transitare”, trasmettendo un’ombra planetaria rilevabile con i nostri telescopi mentre attraversa il disco della Stella di Barnard.
Dimostrata dallo straordinario successo della navicella spaziale Kepler della NASA e acclamata come un fattore chiave per le future osservazioni degli esopianeti con il Transiting Exoplanet Survey Satellite e il telescopio spaziale James Webb, la tecnica del transito ha rivelato la maggior parte dei mondi presenti nei cataloghi degli astronomi. Ma molti dei pianeti visti dalla Terra non transitano, in particolare quelli che si trovano su orbite ampie intorno alle loro stelle, come è il caso di Stella di Barnard b.
La separazione relativamente grande del pianeta dalla sua stella, tuttavia, offre una possibilità ancora più promettente e allettante: scattare una sua fotografia o un'”immagine diretta” come direbbe un astronomo. Un’istantanea di Stella di Barnard b potrebbe rivelare molte cose altrimenti inaccessibili, soprattutto la sua vera natura: una super Terra ghiacciata, un mondo dominato dall’effetto serra e avvolto dall’idrogeno o forse qualcosa che i teorici devono ancora solo sognare.
Con una simile immagine, gli astronomi potrebbero fare un ulteriore passo in avanti per risolvere il mistero della solitudine dell’universo affollato.
Nel prossimo decennio, sarà disponibile una nuova generazione di telescopi terrestri estremamente grandi che potrebbe essere all’altezza del compito.
Ciascuno di essi sarà dotato di uno specchio per raccogliere la luce delle stelle con un diametro di circa 30 metri o più, in grado di distinguere le deboli emissioni fotoniche del pianeta. Fanno eccezione, dicono gli esperti, i primi strumenti che catturano immagini planetarie su tali osservatori, che saranno ottimizzati per l’imaging termico, una scelta sbagliata per cercare un mondo probabilmente ghiacciato.
Invece, le migliori speranze potrebbero ricadere sul prossimo osservatorio spaziale post-Webb della NASA, una specie di potentissimo telescopio spaziale Hubble soprannominato WFIRST (se mai verrà lanciato, considerato che la Casa Bianca ha tentato di cancellare il progetto nei recenti budget).
Il piano attuale prevede che WFIRST includa un coronagrafo, uno strumento che blocca la luce stellare per consentire di vedere la luce di alcuni pochi esopianeti, tutti mondi giganti relativamente banali, a causa della mancanza di candidati adatti più piccoli esistenti attorno alle stelle vicine. Ma se Stella di Barnard b è reale, catturarne un’immagine con WFIRST “potrebbe essere fattibile”, dice Jeremy Kasdin, astrofisico dell’Università di Princeton che guida lo sviluppo del coronagrafo della WFIRST. “Tutto deve filare liscio… nelle migliori condizioni, ciò sarebbe impegnativo ma possibile”.