Cambiamento climatico: l’Artico si trasforma in un “nuovo Oceano” commerciale

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Cambiamento climatico: l’Artico si trasforma in un “nuovo Oceano” commerciale

Secondo un rapporto del wwf, gli approcci convenzionali allo sviluppo sono «una minaccia  per la possibile  sopravvivenza di buona parte degli ecosistemi tipici della regione, indebolendo così  le comunità e le economie».
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Il programma Artico del Wwf International ha pubblicato Il nuovo rapportoGetting it right in a new oceaned evidenzia che «E’ il primo studio che sottolinea come le risorse e le economie dell’Oceano Artico possano essere sviluppate per garantire sul lungo periodo il benessere dell’economia e dell’ecosistema per questa regione e per il pianeta stesso».

Secondo il rapporto, gli approcci convenzionali allo sviluppo sono «una minaccia  per la possibile  sopravvivenza di buona parte degli ecosistemi tipici della regione, indebolendo così  le comunità e le economie».
Il rapporto è stato pubblicato in occasione della Sustainable Blue Economy Conference, che termina oggi a Nairobi e che è stata organizzata dai governi di Kenya, Canada e Giappone  e spiega come, «per effetto della fusione dei ghiacci dovuta al cambiamento climatico globale, si stia creando un “nuovo oceano”» e come questo avrà  un  profondo impatto  sulla biodiversità di questa regione e sulle comunità.

Il Wwf avverte che «Il pressante sviluppo economico che sta sfruttando questo trend – fino a mille miliardi di dollari nel corso degli ultimi 15 anni – potrebbe peggiorare molti degli impatti negativi nella regione almeno fintanto che non verranno prese chiare decisioni per tracciare una rotta sostenibile. Il report vuole essere una guida per governi e aziende per il raggiungimento di soluzioni sostenibili in questo momento cruciale per l’Artico».
Simon Walmsley, del Programma Artico del Wwf, ha detto che «Il cambiamento climatico sta rendendo l’Oceano Artico più accessibile che mai. Ma l’Artico rimane una regione remota, un posto rischioso per fare business. Applicando un approccio sostenibile, prima che si avviino  imponenti attività di business, possiamo aiutare a prevenire gli impatti più negativi per  questo ecosistema estremamente vulnerabile».

Il rapporto fa anche un quadro dei rischi che corrono la biodiversità e le comunità autoctone: «L’Oceano Artico e le sue coste ospitano 34 specie di mammiferi marini, 633 specie di pesci ed è abitato da 4 milioni di persone tra cui popolazioni indigene e molte comunità che  vivono di pesca e dipendono dalla condizione delle risorse e dall’abbondanza degli stock ittici presenti nei loro mari. Fino ad oggi i più ampi settori economici che hanno avuto un impatto sugli  ecosistemi marini così vulnerabili sono stati l’attività estrattiva di petrolio e  gas, i servizi, la pesca e la trasformazione delle risorse, anche se mano a mano che il ghiaccio si ritirerà nella parte centrale dell’Oceano Artico, ci si aspetta che trasporti e turismo diventino i veri settori chiave. Per fare un esempio, in soli 10 anni, l’Islanda ha visto  un aumento del flusso turistico del 400%».
Inoltre, il rapport  sottolinea «l’importanza di fare in modo che qualsiasi sviluppo futuro sia in grado promuovere un ambiente artico in buono stato e con un’alta biodiversità a beneficio della regione. Le coste vulnerabili dell’Artico e la presenza di specie marine, come  pesci, foche e balene, saranno sempre più in conflitto con le attività industriali – come il trasporto marittimo e l’esplorazione sismica dei fondali – e in mancanza di policy appropriate  potrebbero essere danneggiate da specie invasive, inquinamento sonoro sottomarino, sversamenti di petrolio. Un esempio di gestione basata sugli ecosistemi potrebbe essere la creazione di un network pan-artico che comprenda le aree marine protette capaci di favorire le specie animali nella loro risposta di adattamento e resilienza viste le condizioni di rapido cambiamento climatico».

Giulia Prato, marine officer del Wwf Italia, fa notare che «Il cambiamento climatico avrà un impatto negativo anche sulla condizione degli stock ittici soprattutto per quelle specie che già sono in enorme difficoltà per via della pesca eccessiva, come  il merluzzo dell’Alaska. Altrettanto, le popolazioni indigene che  in molti casi vivono di pesca vedranno minacciata la loro sopravvivenza. In attesa che decisioni a livello intergovernativo e sovranazionale vengano prese, anche noi come consumatori possiamo adeguare i nostri comportamenti di acquisto in modo da influenzare il mercato in una direzione sostenibile. Un esempio tra gli altri: acquistare pesce di approvvigionamento sostenibile come ottimo modo per condizionare le scelte delle aziende e l’intero settore ittico. Tutti noi possiamo fare qualcosa come seguire semplici regole nell’acquisto del pesce anche tramite la guida online da noi realizzata».

Le 6 raccomandazioni del rapporto sono: 1. Considerare attentamente e dare la priorità ai rischi del cambiamento climatico quando si investe; 2. Conserva la biodiversità in un Artico più caldo; 3. Integrare pienamente la ricerca artica e la conoscenza indigena nei processi decisionali: 4. Concentrarsi sulle risorse rinnovabili per diversificare le economie dell’Artico; 5. Applicare la gestione basata sugli ecosistemi nell’ambiente marino dell’Artico: 7. Migliorare la governance artica per garantire uno sviluppo sostenibile

John Tanzer, leader del programma oceani del Wwf International, conclude: «Il cambiamento climatico che sta alterando così rapidamente l’Artico è fonte di grande preoccupazione, ma questo rende ancor più urgente e necessario implementare ciò che abbiamo imparato dallo sviluppo delle blue economy di altre regioni del mondo per far bene fin dall’inizio in un’area così importante. E’ fondamentale, nel momento in cui vengono prese  decisioni sugli  investimenti nell’Oceano Artico,  avere delle linee guida e per questo chiediamo con forza che  i governi, gli investitori e i leader dell’industria si impegnino nell’applicazione dei principi WWF per una Blue economy sostenibile e dei  Principi Finanziari per una Blue Economy Sostenibile. Le popolazioni indigene e le comunità subiranno le dirette conseguenze di queste decisioni per questo devono diventare partner presenti in tutti i processi decisionali».

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