Un osservatorio terrestre per osservare i raggi gamma spaziali

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Un osservatorio terrestre per osservare i raggi gamma spaziali

Un progetto internazionale, in cui l’Italia è in prima fila, punta a costruire particolari telescopi nei due emisferi della Terra che insieme costituiranno un osservatorio globale per la rilevazione di raggi gamma provenienti dallo spazio. L’obiettivo scientifico è lo studio dei raggi cosmici e di altri fenomeni astrofisici assai energetici
di Giovanni Sabato
www.lescienze.it

Megaosservatori con decine di telescopi scrutano l’universo nelle onde radio, la banda più debole dello spettro elettromagnetico. Tanti altri osservano la luce visibile. Ma mentre iniziano persino osservazioni oltre la radiazione elettromagnetica, con le onde gravitazionali, un tassello manca: per la parte più energetica dello spettro, i raggi gamma e i raggi cosmici prodotti dagli eventi più violenti del cosmo, non c’è ancora una potenza d’osservazione paragonabile. Riempirà il vuoto il Cherenkov Telescope Array Observatory (CTAO), un osservatorio terrestre dedicato ai raggi gamma.

La sua realizzazione coinvolge 1500 persone in 31 paesi e l’Italia è in prima fila, con l’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) e con l’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN). E con l’astrofisico Federico Ferrini di INAF e INFN. Dopo aver diretto l’Osservatorio gravitazionale europeo (EGO) di Cascina, vicino a Pisa, che con l’interferometro VIRGO ha contribuito a rilevare le onde gravitazionali, da marzo Ferrini dirige l’organismo che guiderà la costruzione dell’Osservatorio CTA e poi le osservazioni.

Come si osservano i raggi gamma?

Quando il raggio gamma dallo spazio arriva nell’alta atmosfera provoca una serie di decadimenti con una specie di effetto doccia. Un prodotto di queste reazioni vicino alla superficie terrestre è un fascio di luce blu, detta luce Cherenkov, captata dai telescopi a terra. Sono segnali rari, deboli e fugaci, difficili da cogliere. E vanno colti in coincidenza, perché un singolo segnale blu non dice niente: devi raccogliere le informazioni distribuite su un’area abbastanza grande per ricostruire com’era la “doccia” e capire così da dove veniva il raggio e che caratteristiche aveva.

Come sono fatti i telescopi?

Dipende dall’energia del raggio gamma. Se è alta genera un fascio di luce molto aperto e per coglierlo ci vogliono tanti telescopi su un’area vasta; se è bassa, il fascio è un cono di piccola apertura e ne bastano pochi in un’area ridotta, ma molto sensibili. Perciò avremo tre tipi di telescopi, piccoli, medi e grandi. Per coprire l’intera volta celeste li divideremo fra i due emisferi, in due località con atmosfera molto limpida: in Cile nell’area dell’osservatorio del Paranal dell’European Southern Observatory, dove avremo tutti e tre i tipi, e alle Canarie nell’isola di La Palma, con soli telescopi grandi e i medi. Ciò perché è più conveniente concentrare tutti i piccoli in un’area sola, e il Cile è più indicato per due motivi: da un lato i segnali più energetici dovrebbero venire soprattutto dal centro della galassia, che si vede dall’emisfero sud. Dall’altro c’è un aspetto banale che di rado è citato ma conta: in Cile c’è più spazio. Non possiamo mettere i telescopi nella caldera del vulcano di la Palma o in mare.

Come procedono i lavori?

Dopo una lunga fase di studio, i partecipanti hanno sviluppato i loro progetti. Così, mentre abbiamo un solo tipo di telescopi grandi, per quelli medi abbiamo due strutture (e due fotocamere per raccogliere i dati), e per i piccoli tre telescopi e tre camere. Ora dovremo scegliere un solo tipo per ciascuna taglia, altrimenti farli lavorare insieme, ma anche solo la manutenzione, diventerebbero imprese impossibili. Pensi che il più grande sistema di telescopi esistente, ALMA, ne ha 66. Noi ne costruiremo 118, quasi il doppio. Il primo telescopio grande è appena stato installato a La Palma, e ora vedremo se affiancargli qualche prototipo degli altri per iniziare a testare tutti i sistemi, incluso il software per il controllo dei telescopi e la presa dei dati.

È un software molto particolare?

Non è banale. Ricostruire l’origine dei rari e debolissimi segnali raccolti richiede un lavoro di simulazione molto più complicato che negli altri sistemi di telescopi diffusi, perché deve tener conto della struttura dell’atmosfera per ricostruire la cascata di interazioni che ha portato dal decadimento del raggio iniziale a ciò che vediamo.

È difficile tenere le fila di un progetto così vasto?

Consideri che il progetto coinvolge per ora 14 paesi che contribuiscono finanziariamente e ha varie sedi: quella iniziale ad Heidelberg, in Germania, dove c’era il padre fondatore Werner Hofmann; Bologna diventerà la sede principale, ma già ora ospita gran parte del personale; poi sorgerà un grande centro di raccolta dati vicino a Berlino; e ovviamente i siti dei telescopi alle Canarie e in Cile. Con un sistema così è essenziale centralizzare le attività e standardizzare gli strumenti, il software e tutto il sistema. Perciò da quando sono diventato direttore, insieme al project manager, stiamo cercando di consolidare l’organizzazione, che finora procedeva un po’ in ordine sparso: c’erano tante ottime idee scientifiche e tecniche ma mancava un impianto costruttivo che le reggesse.

Quando entrerà in funzione?
Dipende dalla raccolta finanziaria, e dal fatto che …L’ARTICOLO CONTINUA QUI

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