Tettonica a placche: il mistero delle placche stagnanti

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Tettonica a placche: il mistero delle placche stagnanti

Perchè accade anche che intere zolle terrestri, che scendono verso il mantello profondo, si fermino a un certo punto e smettano di sprofondare?
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Le placche terrestri che sprofondano verso il centro della Terra dovrebbero arrivare al mantello profondo e fondere, ma non sempre succede: è il mistero delle placche stagnanti.

La storia geologica della Terra è ancora fitta di misteri, ma almeno uno di questi sembra oggi avere una spiegazione, grazie ai ricercatori dell’università della California (Boulder): riguarda una caratteristica legata a quelle che vengono chiamate placche stagnanti. Si tratta del fenomeno che si verifica quando una zolla (una placca terrestre), scontrandosi con un’altra zolla, le si infila al di sotto (questa parte del fenomeno si chiama subduzione), ma anziché sprofondare nel cuore del pianeta per centinaia di chilometri e fondersi, all’improvviso, per ragioni che fino ad oggi risultavano inspiegabili, si fermano a una certa profondità e lì rimangono, come sospese. Da qui il nome di placche stagnanti.

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Il mantello terrestre è a stretto contatto con il nucleo, dove le temperature sono dell’ordine dei 6.000 gradi centigradi: questo fa sì che il mantello si riscaldi e tenda a risalire, qualche volta fino a spezzare la crosta terrestre frantumandola in placche.

Nella risalita, però, e a contatto con la crosta, il mantello si raffredda e tende a ritornare in profondità – in quanto diventa più denso di quello sottostante, che è molto caldo. Il meccanismo mette in moto le zolle, che si scontrano tra loro e danno origine a montagne, vulcani e altri fenomeni.

Quando due zolle si scontrano, generalmente una delle due va in subduzione, ossia si infila al disotto dell’altra e – in teoria – dovrebbe finire la sua vita fondendosi all’interno del mantello, a 800-900 chilometri di profondità. Con qualche eccezione: la placche stagnanti, appunto.

 Wei Mao e Shijie Zhong, del dipartimento di fisica dell’università californiana, hanno elaborato un modello che sembra dare una risposta a quella che era finora considerata una anomalia (lo studio è pubblicato su Nature Geoscience). Il modello ha emulato il comportamento di una serie di placche stagnanti nell’Oceano Pacifico, in prossimità del Giappone e delle Filippine.

I ricercatori hanno scoperto che il fenomeno delle placche stagnanti si può spiegare se le placche che scivolano nel mantello terrestre incontrano uno strato di materiale poco viscoso al confine tra il mantello superiore e il mantello inferiore, a circa 660 km di profondità sotto la superficie.

In tal modo si ha un arresto della placca, e tuttavia, afferma Zhong, «anche se oggi “vediamo” queste placche ristagnare, il fenomeno non dovrebbe avere più di 20 milioni di anni». Secondo il ricercatore, questo stato dovrebbe essere temporaneo: prima o poi le placche sfondano quel livello e riprendono la discesa verso il centro del pianeta.

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Lo studio di come si propagano le onde sismiche ci permette di costruire “modelli” della struttura della Terra.

Al momento, però, tutto ciò è solamente un modello teorico: non abbiamo alcuna prova dell’esistenza del materiale che lubrifica la base delle zolle stagnanti – e la ricerca delle evidenze si può fare (purtroppo) solo attraverso lo studio delle onde sismiche prodotte grandi terremoti. Fino ad oggi, nonostante l’enorme mole di dati che la scienza ha ormai a disposizione, non è mai stato trovato nulla del genere, ma forse non lo si è “visto” perché, nel flusso di dati, quelle informazioni non avevano ancora un significato.

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