Trovata la materia ordinaria mancante dell’universo
Per decenni, gli astronomi non sono riusciti a individuare dove fosse tutta la materia ordinaria dell’universo. Tre studi recenti hanno ora rivelato dove si nascondeva: in estesi filamenti di gas caldo tra le galassie, il cosiddetto mezzo intergalattico tiepido-caldo
di Katia Moskvitch / QuantaMagazine
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Gli astronomi hanno finalmente trovato l’ultima parte mancante dell’universo.
Si nasconde dalla metà degli anni novanta, quando i ricercatori decisero di inventariare tutta la materia “ordinaria” del cosmo: stelle, pianeti e gas, qualsiasi cosa composta da parti atomiche. (Non si tratta di “materia oscura”, che rimane un enigma completamente diverso.)
Sulla base di studi teorici sul modo in cui la materia è stata creata durante il big bang, si aveva un’idea abbastanza precisa di quanta dovesse essercene là fuori. Gli studi sul fondo cosmico a microonde (CMB, Cosmic Microwave Background) – la luce residua del big bang – avrebbero poi confermato le stime iniziali.
Così gli astronomi hanno sommato tutta la materia che potevano vedere: stelle, nubi di gas e simili, tutti i cosiddetti barioni. Ma sono riusciti a dar conto solo del 10 per cento circa di ciò che doveva esserci. Considerando che la materia ordinaria rappresenta appena il 15 per cento di tutta la materia dell’universo – la materia oscura costituisce il resto – era stato inventariato solo l’1,5 per cento di tutta la materia dell’universo.
Ora, in tre recenti articoli, gli astronomi hanno identificato le ultime parti di tutta la materia ordinaria dell’universo. (Rimanendo però ancora profondamente perplessi su ciò che forma la materia oscura.) E benché che ci sia voluto così tanto tempo per identificarla tutta, i ricercatori l’hanno individuata proprio dove si aspettavano che fosse: in estesi filamenti di gas caldo che solcano le voragini altrimenti vuote tra le galassie, più propriamente noti come mezzo intergalattico tiepido-caldo, o WHIM (warm–hot intergalactic medium).
Una pila di un milione di galassie
Le prime indicazioni sulla possibile esistenza di ampie propaggini di gas di fatto invisibile tra le galassie erano venute da simulazioni al computer effettuate nel 1998. “Volevamo vedere che cosa stesse succedendo a tutto il gas dell’universo”, dice Jeremiah Ostriker, il cosmologo della Princeton University che insieme al collega Renyue Cen realizzò una di quelle simulazioni. I due simularono i movimenti dei gas nell’universo sotto l’azione di gravità, luce, esplosioni di supernova e tutte le forze che muovono la materia nello spazio. “Abbiamo concluso che il gas si sarebbe accumulato in filamenti che dovevano essere rilevabili”, ha detto.
Solo che non lo erano, o almeno non ancora. “Fin dai primi giorni delle simulazioni cosmologiche era apparso chiaro che molti dei barioni sarebbero stati in forma calda e diffusa, e non nelle galassie”, spiega Ian McCarthy, astrofisico alla Liverpool John Moores University. Gli astronomi si aspettavano che questi barioni caldi si conformassero a una sovrastruttura cosmica, fatta di materia oscura invisibile, che attraversava gli immensi vuoti tra le galassie. La forza gravitazionale della materia oscura attirava il gas verso di sé e lo riscaldava fino a milioni di gradi.
Purtroppo, il gas caldo e diffuso è estremamente difficile da trovare. Vari gruppi sono andati alla sua ricerca, trovando via via pezzi della materia mancante. Entro il 2014, ne avevano identificato circa il 70 per cento, ma il 30 per cento continuava a mancare.
Per individuare i filamenti nascosti, due team indipendenti hanno cercato specifiche distorsioni nella CMB, il bagliore residuo del big bang. Mentre quella luce proveniente dall’universo iniziale attraversa il cosmo, può essere influenzata dalle regioni che sta attraversando. In particolare, gli elettroni in un gas caldo e ionizzato (come il WHIM) dovrebbero interagire con i fotoni della CMB in modo da conferire loro un po’ di energia aggiuntiva.
Lo spettro della CMB dovrebbe quindi risultare distorto. Purtroppo le migliori mappe della CMB (fornite dal satellite Planck) non hanno mostrato tali distorsioni. O il gas non c’era, o l’effetto era troppo debole per apparire.
Ma i due team erano determinati a renderli visibili. Grazie a simulazioni al computer dell’universo sempre più dettagliate, sapevano che il gas avrebbe dovuto estendersi tra galassie massicce come le ragnatele su un davanzale. Planck non era in grado di vedere il gas tra una singola coppia di galassie. Così i ricercatori hanno trovato un modo per moltiplicare per un milione il debole segnale.
In primo luogo, gli scienziati hanno esaminato i cataloghi di galassie conosciute per trovare coppie di galassie appropriate – galassie sufficientemente massicce, e alla giusta distanza l’una dall’altra – da produrre una ragnatela di gas relativamente spessa tra di esse.
Poi hanno riesaminato i dati di Planck, identificato dove si trovava ogni coppia di galassie, e infine hanno ritagliato quella regione del cielo usando forbici digitali. Con oltre un milione di ritagli in mano (nel caso dello studio condotto da Anna de Graaff, dottoranda all’Università di Edimburgo), hanno ruotato ingrandito o rimpicciolito ciascuna di esse e in modo che tutte le coppie di galassie sembrassero nella stessa posizione. Hanno poi accatastato l’una sull’altra un milione di coppie di galassie. (All’Istituto di astrofisica spaziale a Orsay, in Francia, un gruppo guidato da Hideki Tanimura ha combinato 260.000 coppie di galassie.) Alla fine, i singoli filamenti – filamenti spettrali di gas caldo diffuso – sono diventati improvvisamente visibili.
La tecnica ha le sue insidie. L’interpretazione dei risultati, dice Michael Shull, astronomo all’Università del Colorado a Boulder, richiede delle ipotesi sulla temperatura e sulla distribuzione spaziale del gas caldo. E a causa dell’accatastamento dei segnali, “c’è sempre la preoccupazione di ‘segnali debolì’ che siano il risultato della combinazione di un gran numero di dati”, ha detto. “Come a volte avviene nei sondaggi di opinione, si possono ottenere risultati errati quando si hanno valori errati o distorsioni nella distribuzione che distorcono le statistiche”.
In parte a causa di queste preoccupazioni, la comunità dei cosmologi non ha considerato risolto il caso. Quello che serviva era un modo indipendente di misurare il gas caldo. Che è arrivato quest’estate.
Effetto faro
Mentre i primi due gruppi di ricercatori stavano accatastando i segnali, un terzo gruppo ha seguito un approccio diverso. Hanno osservato un quasar lontano – un faro luminoso a miliardi di anni luce di distanza – e lo hanno usato per rilevare il gas negli spazi intergalattici apparentemente vuoti attraverso i quali viaggiava la sua luce. Era come esaminare il fascio di un faro lontano per studiare la nebbia che lo circondava.
Di solito, quando gli astronomi una cosa del genere, cercano di rilevare la luce che è stata assorbita dall’idrogeno atomico perché è l’elemento più abbondante nell’universo. Purtroppo, questa opzione era esclusa Il WHIM è così caldo che ionizza l’idrogeno, spogliando del suo singolo elettrone. Il risultato è un plasma di protoni ed elettroni liberi che non assorbono alcuna luce.
Così il gruppo ha deciso di cercare un altro elemento: l’ossigeno.
Anche se nel WHIM l’ossigeno non è altrettanto abbondante dell’idrogeno, l’ossigeno atomico ha otto elettroni, e non uno. Il calore del WHIM strappa la maggior parte di quegli elettroni, ma non tutti.
La squadra, guidata da Fabrizio Nicastro dell’Istituto nazionale di astrofisica di Roma, ha tracciato la luce assorbita dall’ossigeno che aveva perso tutti i suoi elettroni tranne due. In questo modo i ricercatori hanno trovato due sacche di gas caldo intergalattico.
L’ossigeno “fornisce un tracciante del serbatoio, molto più grande, di idrogeno e di elio”, dice Shull, membro del team di Nicastro. I ricercatori hanno poi estrapolato all’universo nel suo complesso la quantità di gas che hanno trovato tra la Terra e questo particolare quasar. Il risultato ha suggerito che avevano individuato il 30 per cento mancante.
Il numero è in accordo anche con i risultati degli studi sulla CMB. “I team stanno guardando diversi pezzi dello stesso puzzle e stanno arrivando alla stessa risposta, e questo è rassicurante, date le differenze nei loro metodi,” dice Mike Boylan-Kolchin, astronomo all’Università del Texas ad Austin.
Il passo successivo, spiega Shull, sarà osservare più quasar con telescopi a raggi X e ultravioletti di nuova generazione, dotati di maggiore sensibilità. “Il quasar che abbiamo osservato è stato il faro migliore e più luminoso che abbiamo trovato. Altri saranno più deboli, e le osservazioni richiederanno più tempo”, ha detto. Ma per ora, il succo è chiaro. “Concludiamo che i barioni mancanti sono stati trovati”, ha scritto il team.