Ecco dove era finita la materia mancante dell’universo!

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Ecco dove era finita la materia mancante dell’universo!

Gli astronomi hanno finalmente capito dove si era nascosta la materia mancante dell’universo che cercavano da vent’anni: in lunghi filamenti di gas caldo che collega riempiono lo spazio intergalattico. Ma perché c’è voluto tanto tempo per trovarla?
di Katia Moskovitch/Quanta Magazine
www.lescienze.it

L’universo gioca a nascondino. A volte, però, anche quando gli astronomi intuiscono dove si nascondono le loro prede, a volte possono volerci decenni di ricerche per confermarlo. Il caso della materia mancante dell’universo – un caso che sembra essere ora chiuso, come annunciato all’inizio del mese – è uno di questi.

E’ una storia affascinante, in cui sofisticati modelli cosmologici hanno disegnato una mappa del tesoro che ha richiesto 20 anni per essere esplorata.

Gli scienziati sapevano gà negli anni ottanta di poter osservare solo una frazione della materia atomica – i barioni – nell’universo. (Oggi si pensa che tutti i barioni presi insieme costituiscano circa il 5 per cento dell’universo, mentre il resto è energia oscura e materia oscura.) Sapevano che se avessero conteggiato tutto ciò che potevano vedere nell’universo – stelle e galassie, per la maggior parte – il grosso dei barioni sarebbe mancato all’appello.

Breve storia dell'universo mancante
Una spettacolare immagine della Via Lattea, ripresa dal Cliff of Moher, in Irlanda (Cultura / AGF)

Ma  quanta materia mancasse esattamente e dove avrebbe potuto nascondersi erano questioni che cominciarono a chiarirsi negli anni novanta.

In quel periodo, l’astronomo David Tytler, dell’Università della California a San Diego, escogitò un modo per misurare la quantità di deuterio nella luce di quasar distanti – i nuclei luminosi di galassie con buchi neri attivi al loro centro – usando il nuovo spettrografo del telescopio Keck, alle Hawaii. I dati di Tytler consentirono ai ricercatori di capire quanti barioni mancano nell’universo attuale una volta che tutte le stelle e il gas visibili sono stati tenuti in conto: un incredibile 90 per cento.

Questi risultati scatenarono una tempesta di polemiche, alimentate in parte dalla personalità di Tytler. “Sosteneva di aver ragione malgrado prove contraddittorie, affermando fondamentalmente che tutti gli altri erano un branco di idioti che non sapevano cosa stavano facendo”, ha detto Romeel Dave, astronomo dell’Università di Edimburgo. “E poi è venuto fuori che aveva ragione”.

Poi, nel 1998, Jeremiah Ostriker e Renyue Cen, astrofisici della Princeton University, pubblicarono un modello cosmologico pionieristico che ricostruiva la storia dell’universo dalle origini. Il modello suggeriva che i barioni mancanti probabilmente fossero diffusi sotto forma di gas (all’epoca non rilevabile) tra le galassie.

Dave avrebbe potuto essere il primo a dire al mondo dove sono i barioni, battendo Ostriker e Cen. Mesi prima che il loro articolo uscisse, aveva terminato il set di simulazioni cosmologiche che facevano parte del lavoro del suo dottorato di ricerca presso l’Università della California a Santa Cruz. La sua tesi sulla distribuzione dei barioni suggeriva che potessero essere in agguato nel plasma caldo tra le galassie. “Non sono riuscito ad apprezzare realmente il risultato per quello che era”, ha detto Dave. “Sai, una volta si vince, una volta si perde”.

Dave continuò a lavorare sul problema negli anni seguenti. Immaginò che la materia mancante si nascondesse in fili spettrali di gas estremamente caldi e molto diffusi che connettono le coppie di galassie. Nel gergo degli astronomi, questo divenne il “mezzo intergalattico caldo”, o WHIM, un termine coniato da Dave.

Molti astronomi continuavano a sospettare alcune stelle molto deboli nei dintorni di galassie potessero rappresentare una parte significativa della materia mancante. Ma dopo decenni di ricerche, il numero di barioni nelle stelle, anche le più deboli che si possano vedere, ammontava a non più del 20 percento.

Ma poi sono arrivati strumenti sempre più sofisticati. Nel 2003, la Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP) misurò la densità barionica dell’universo così com’era circa 380.000 anni dopo il Big Bang: coincideva con la densità indicata dai modelli cosmologici. Un decennio dopo, il satellite Planck ha confermato il numero.

Con il fallimento finale della ricerca di stelle e galassie nascoste che potessero contenere la materia mancante, “l’attenzione si è spostata verso il gas tra le galassie – il mezzo intergalattico distribuito su miliardi di anni luce di spazio intergalattico a bassa densità”, spiega Michael Shull, astrofisico dell’Università del Colorado a Boulder. Lui e il suo gruppo hanno iniziato a cercare il WHIM studiando i suoi effetti sulla luce di quasar lontani.

Breve storia dell'universo mancante
Il satellite Planck e la sua mappa della radiazione cosmica di fondo (ESA and the Planck Collaboration – D. Ducro)

Atomi di idrogeno, elio ed elementi più pesanti come l’ossigeno assorbono la radiazione ultravioletta e i raggi X da questi quasar. Il gas “ruba una porzione di luce dal raggio”, dice Shull, lasciando un deficit di luce, cioè una linea di assorbimento. Trovando le linee si troverà il gas.

Le più importanti linee di assorbimento dell’idrogeno e dell’ossigeno ionizzato sono a lunghezze d’onda molto corte, nelle porzioni di raggi ultravioletti e di raggi X dello spettro. Sfortunatamente per gli astronomi (ma fortunatamente per il resto della vita sulla Terra), la nostra atmosfera blocca questi raggi.

Anche per risolvere il problema della materia mancante, gli astronomi hanno lanciato i satelliti a raggi X per mappare questa luce. Con il metodo della linea di assorbimento, dice Shull, gli scienziati alla fine “hanno conteggiato la maggior parte dei barioni previsti, se non tutti, che uscirono dal caldo big bang”.

Altri gruppi hanno adottato approcci diversi, cercando i barioni mancanti per via indiretta. Come mostra il mio articolo dei giorni scorsi, tre squadre, tra cui quella di Shull, ora affermano che tutti i barioni sono stati conteggiati.

Ma il WHIM è così debole e la materia è così diffusa che è difficile chiudere definitivamente il caso. “Nel corso degli anni, ci sono stati molti scambi tra i ricercatori a favore o contro possibili rilevazioni del mezzo intergalattico tiepido-caldo”, ha detto Kenneth Sembach, direttore dello Space Telescope Science Institute di Baltimora. “Sospetto che ce ne saranno molti di più. Gli articoli recenti sembrano essere un altro tassello in questo complesso e interessante puzzle cosmico. Sono sicuro che sono in arrivo altri pezzi, assieme alle relative discussioni su come sarebbe meglio metterli insieme”

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