Zanzare e zecche in forte aumento a causa dei mutamenti climatici: ci vuole un nuovo Piano nazionale per combatterle

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Zanzare e zecche in forte aumento a causa dei mutamenti climatici: ci vuole un nuovo Piano nazionale per combatterle

Gli infettivologi del Simit: sono portatrici di malattie vettoriali come West Nile, Chikungunya, Zika, encefalite
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Secondo la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) , «L’estate 2018 è iniziata con un aumento delle segnalazioni di punture di zecche. Nel bellunese i casi di infezioni da virus dell’encefalite da zecche riportati a luglio avevano superato il numero delle diagnosi degli anni precedenti, tanto da indurre la Regione Veneto a rendere gratuita la vaccinazione.  Ai primi di luglio, i casi di infezione da virus West Nile, trasmessa dalla zanzara comune, Culex pipiens,  erano già più numerosi di quelli segnalati in tutto l’anno scorso. Al 23 agosto erano stati diagnosticati 103 casi di malattia neuro invasiva, tre volte il numero medio di casi – 32 – osservato negli ultimi cinque anni. L’anno scorso, di quest’epoca, i casi segnalati erano in tutto 13».

Gli infettivologi italiani lanciano l’allarme: «E’ probabile che le condizioni climatiche delle ultime stagioni abbiano favorito localmente un aumento delle attività dei vettori, zanzare e zecche, che ha avuto come conseguenza un significativo incremento delle malattie da essi trasmesse. Al di là, però, delle condizioni climatiche di un singolo ciclo stagionale, questi fenomeni sembrano inquadrarsi in un contesto assai più vasto e complesso. Malattie trasmesse da insetti ematofagi si stanno estendendo in gran parte del mondo in aree mai precedentemente toccate. È  quanto è già accaduto per tre virus africani come  West Nile, Zika e Chikungunya.

Alla Simit ricordano che «Il virus West Nile era sconosciuto in America fino al 1999, quando si è manifestato per la prima volta a New York, per poi diffondersi in pochi anni in tutti gli Usa, in Canada, in Messico e iniziare ad estendersi verso l’America Centrale e Meridionale. Il ceppo giunto a Queens nel 1999 è risultato lo stesso che nello stesso anno era stato isolato in Israele.  Zika ha causato epidemie in Polinesia e poi nelle Americhe, assumendo le connotazioni di un’emergenza globale. Nelle Americhe il ceppo implicato è risultato lo stesso che aveva causato un’epidemia nella Polinesia francese. Chikungunya  in pochi anni si è adattato ad un nuovo vettore, Aedes albopictus e ha causato epidemie in aree geografiche mai toccate in precedenza.  Nel 2013 si è spinto per la prima volta in America, ove, dopo essere inizialmente sbarcato su un’isola caraibica, si è reso responsabile di  epidemie in 45 paesi del continente americano causando milioni di casi.  Anche in questo caso il ceppo originario, come per West Nile o Zika, il ceppo che ha dato inizio alla “invasione” era stato trasportato da persone o zanzare infette scese da un aereo in luoghi dove le condizioni climatiche e la presenza di insetti vettori compatibili hanno consentito l’espansione della malattia».

Gli infettivologi sottolineano che «Secondo il parere motivato di chi analizza scientificamente il fenomeno, ci troviamo di fronte quindi ad una situazione in cui fattori legati alla globalizzazione si sono associati a variazioni climatiche favorenti l’estensione dell’areale di distribuzione dei vettori. In Italia, l‘estate scorsa si era chiusa con l’epidemia di Chikungunya a Roma, ad Anzio e in Calabria, la seconda in dieci anni, resa possibile dalla presenza di Aedes albopictus, la zanzara tigre  che si è ormai radicata in tutto il paese. Una zanzara teoricamente in grado di trasmettere anche il virus Zika e il virus Dengue, per i quali sembra avere una capacità vettoriale limitata, che non le ha a oggi consentito di essere in grado di causare epidemie sostenute da questi virus nell’area mediterranea. Il fatto che un’epidemia di Chikungunya si sia verificata in Italia “solo” due volte in dieci anni (o per meglio dire solo due volte da quando una mutazione del virus gli ha consentito di utilizzare anche la zanzara tigre come vettore) dipende dall’impossibilità della zanzara di trasmettere il virus alla propria progenie. Perché un’epidemia si verifichi in Italia bisogna pertanto che una persona o una zanzara infette arrivino da un’area in cui è in corso l’epidemia. Le zanzare tigre ‘italiane’ penseranno poi al resto, amplificando la diffusione del virus. I ceppi che hanno causato le due epidemie italiane, diversi tra loro, sono arrivati entrambi dal subcontinente indiano, una distanza che hanno dovuto necessariamente coprire in aereo«.

Per quanto riguarda West Nile la situazione è completamente diversa: «In questo caso – spiegano ancora alla Simit –  il vettore, la comune zanzara Culex pipiens, può trasmettere il virus alle sue uova e quindi alla futura progenie. Fattori climatici, precipitazioni, temperatura estiva si sono dimostrati in grado di influenzare la capacità delle uova deposte di superare l’inverno, di favorire la proliferazione delle popolazioni di zanzare e di consentire l’incremento dell’ibridazione tra il biotipo di Culex che punge quasi esclusivamente l’uomo e quello che punge quasi solo gli uccelli. Diverse specie dei quali costituiscono il vero serbatoio della malattia, poiché nell’uomo non viene raggiunta la viremia  sufficiente da consentire alla zanzara di assumere pungendolo una quantità di virus utile a ritrasmettere l’infezione. Gli ibridi, che pungono indifferentemente l’uomo e gli animali serbatoio, sarebbero quindi le vere truppe d’assalto di West Nile, e le condizioni che favoriscono il loro sviluppo l’elemento cruciale di rischio per la popolazione umana. A portare il virus West Nile in Italia non sono gli aerei, ma gli uccelli migratori. La presenza di West Nile di genotipo1 è nota in Italia dal 2008. In uno studio in donatori di sangue del milanese i campioni prelevati nel 2009 erano tutti negativi, mentre in quelli prelevati nel 2011 vi era una prevalenza di anticorpi specifici per virus West Nile dello 0,58%, a suggerire sia una introduzione recente del virus, sia un numero non trascurabile di infezioni asintomatiche. Il ceppo ora prevalente in Italia appartiene al genotipo 2, il che significa che nel nostro paese vi è stata un’ulteriore introduzione di questo virus, successiva alla prima e sempre verosimilmente dovuta ad uccelli migratori. In condizioni favorevoli, Culex resta attiva fino ad ottobre. Negli ultimi cinque anni il picco dei casi si è registrato in agosto, con un importante numero di segnalazioni anche in settembre e nel 2016 qualche caso è stato osservato anche in ottobre e all’inizio di novembre. È quindi probabile che il fenomeno in atto non sia concluso e che altri casi si stiano verificando o si possano verificare nell’immediato futuro. Come è noto, per West Nile non esiste ancora un vaccino e non disponiamo di farmaci efficaci. Le misure che possono essere impiegate si limitano pertanto ai presidi di protezione degli ambienti domestici (zanzariere, insetticidi) ed individuali (repellenti per insetti)».

Per gli infettivologi italiani «Quanto sta accadendo dimostra la necessità improcrastinabile di un’intensificazione della lotta ai vettori, visto che quanto è stato posto in atto finora non ha evidentemente sortito il risultato auspicato e che è altamente verosimile che condizioni climatiche come quelle di quest’anno possano ripresentarsi nel prossimo futuro. Notizie di questi giorni testimoniano inoltre l’incremento delle segnalazioni di Aedes koreicus, che sta estendendo la sua distribuzione in Italia settentrionale e che rappresenta un ulteriore esempio di radicazione nel nostro territorio di specie di insetti ematofagi subtropicali o tropicali potenzialmente pericolosi per la salute umana».

Vista la situazione, Simit   «ritiene indispensabile l’applicazione rigorosa dei piani di intervento e delle linee guida del Ministero della  Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità e la loro ulteriore integrazione in un piano nazionale di lotta ai vettori che tenga conto delle recenti esperienze, che disponga delle risorse necessarie e la cui realizzazione coordinata non lasci spazio a mancanze che localmente possano compromettere il risultato generale. Va infatti ricordato che la lotta ai vettori non consente ‘”lessibilità locali” nella sua applicazione, perché la mancata o insufficiente attuazione in un’area può compromettere il risultato anche in aree contigue.  In considerazione delle difficoltà e dei limiti delle azioni tardive sulle zanzare adulte, è auspicabile che su questo piano si inizi a lavorare in tempi brevissimi, al fine di poter ottenere  risultati significativi già nel prossimo anno».

La Società italiana di malattie infettive e tropicali è preoccupata è anche preoccupata per altri possibili focolai di malattie tropicali: «Uscendo dal contesto delle malattie trasmesse da insetti vettori, può essere ricordato che solo quest’anno Ebola si riaffacciato in Africa due volte, che infezioni da virus Nipah sono state segnalate in India, che il collasso dell’organizzazione sanitaria in Venezuela, che ha comportato l’interruzione delle vaccinazioni, ha causato una grave epidemia di difterite. E, tornando alle malattie nella cui trasmissione sono implicati insetti vettori, l’epidemia di febbre gialla in Brasile ha raggiunto aree prossime ad alcune delle maggiori città e che in Madagascar l’anno scorso sono stati registrati più di duemila casi di peste. In un mondo globalizzato, in cui le lontananze possono essere abolite dalla rapidità dei viaggi aerei, la rete delle unità operative di malattie infettive garantisce in gran parte del territorio nazionale la presenza di specialisti competenti, in grado di riconoscere le infezioni emergenti ed assistere al meglio le persone colpite. Il suo mantenimento e rafforzamento, contrastando politiche miopi di opposto orientamento applicate  localmente, rappresenta un importante strumento per la protezione della popolazione tutta».

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