IL DEVASTANTE TERREMOTO E TSUNAMI DEL 13 AGOSTO 1868 DI ARICA IN CILE
Le onde, alte tra 12 e 16 metri, colpirono America, Asia e Oceania. Terremoto e tsunami causarono almeno 25000 morti
Tratto da www.meteoweb.eu
“Ring of fire”. Oggi, dopo una cinquantina di anni dalla sua promulgazione, la ben nota teoria della tettonica a placche è ormai universalmente accettata ed accertata. La crosta terrestre, la parte più esterna del nostro pianeta, è suddivisa in una serie di placche, megaporzioni di territorio, talvolta grandi quanto un continente od un oceano. Semplificando e generalizzando, tali placche, essendo più rigide del materiale sottostante, sul quale quasi “galleggiano” come zattere sul mare, si muovono e collidono tra loro.
Questi movimenti rispettivi, dell’ordine anche di 6-8 cm all’anno, generano terremoti, spesso distruttivi, con epicentri posizionati in prossimità delle zone di subduzione ovvero dei margini in cui le placche si accavallano ed una scorre al di sotto dell’altra. E’ il caso ad esempio del cosiddetto “anello di fuoco” (“ring of fire” in inglese) lungo il quale la placca pacifica va in subduzione al di sotto delle placche continentali: si tratta di un’area dalla forma grosso modo ovale che circonda l’intero Pacifico ed in cui è molto alta la frequenza e l’intensità di terremoti ed eruzioni. In particolare lungo tutta la costa del Pacifico orientale a sud dell’Equatore, la placca oceanica, detta di Nazca, collide e scende sotto la placca sudamericana: ciò accade soprattutto in corrispondenza della cosiddetta “fossa Perù-Cile”, di cui abbiamo già parlato in relazione al terremoto e tsunami del 1960. Circa un secolo prima di questo evento, in quell’area si sviluppa qualcosa di analogo.
Una zona fortemente sismica. La zona è nota agli europei solo dall’inizio del XVI secolo quando i famosi conquistadores prendono possesso con la forza di quei territori sino ad allora dominati dall’impero Inca. Già nelle leggende di questo popolo si parla di grandi eventi catastrofici, con distruzioni generalizzate ad opera anche del mare.
Gli stessi conquistadores vedono con i loro occhi grandi sconvolgimenti naturali: il Cile centrale è più volte distrutto da grandi terremoti come nel 1570 e 1575 quando le città più colpite risultano rispettivamente Concepcion e Valdivia. Il Perù non è da meno: antichi documenti del tardo Cinquecento parlano di terremoto a Lima e tsunami a Callao nel 1586 mentre nel 1604, nella zona oggi al confine tra i due stati, si verifica un grande sisma, di magnitudo stimata intorno a 8.5, detto dagli studiosi “first Arica earthquake” ovvero “il primo terremoto di Arica”. Il violento evento tellurico provoca uno tsunami, con onde alte una quindicina di metri, che si abbatte violentemente sulle coste sudamericane e, forse, attraversa il Pacifico anche se non si hanno conferme al riguardo. Lima e Santiago sono ripetutamente colpite da eventi tellurici nei secoli successivi, ma bisogna attendere oltre 250 anni per assistere al “second Arica earthquake” ovvero al “secondo terremoto di Arica”.
Il terremoto. In quel tempo la cittadina di Arica, oggi appartenente al Cile, si trova ancora in Perù: i confini tra i due stati saranno ridisegnati negli anni seguenti, al termine di una guerra sanguinosa che durerà praticamente mezzo secolo. Arica è una cittadina importante, non tanto per il numero dei suoi abitanti, circa tremila, quanto piuttosto per il suo attivissimo porto, il secondo del Perù dopo Callao, dal quale vengono inviate all’estero merci e prodotti di ogni genere, argento compreso, provenienti dall’interno del continente e dalle zone andine in particolare.
Il 13 agosto 1868 Arica è annientata da un cataclisma di inaudita violenza. Intorno alla ore 17 locali, una fortissima scossa di terremoto, valutata di magnitudo almeno 8.5 ma forse vicina a 9.0, rade al suolo la città.
Secondo alcune testimonianze, il sisma dura parecchi secondi, forse qualche minuto. La sua intensità può essere meglio compresa considerando che viene avvertito lungo tremila km di costa, da Lima a Valdivia ed in gran parte dell’attuale Bolivia. I danni sono ingentissimi, le vittime, sia pur difficili da valutare esattamente, quantificabili in diverse migliaia, forse 20mila anche se alcuni fonti, probabilmente esagerate, parlano addirittura di 50mila morti. Certamente la zona di confine tra Cile e Perù è totalmente annichilita. Oltre ad Arica, risultano completamente devastate anche Moquegua, Iquique, Torata ed Arequipa. Una zona tra l’altro colpita anche recentemente da un sisma di magnitudo 6.0, a conferma dell’alta sismicità di questo territorio. Il terremoto del 1868 è comunque uno dei più violenti mai avvenuti in Cile, certamente il più forte dell’Ottocento: per la faglia origine è stata stimata una rottura lunga almeno 600 km, forse addirittura 900 km, per una larghezza di circa 150 km. Valori enormi, ma la catastrofe non si ferma qui.
Lo tsunami in Cile e Perù. L’epicentro della scossa è infatti localizzato in mare, in prossimità della “fossa Perù-Cile”. Un terremoto di magnitudo superiore a 7.0 con epicentro in mare pone le basi per lo sviluppo di uno tsunami. Questa ben nota legge scientifica non viene smentita in questa occasione. Dopo circa mezz’ora dalla scossa principale, ad Arica il mare comincia ad avanzare, in maniera graduale ed intensa, sommergendo il porto. Poi si ritira e molti abitanti incautamente si recano sul molo a verificare i danni. Ma le onde tornano ripetutamente, ad intervalli regolari, almeno tre-quattro volte, ed è la catastrofe: intorno alle 18.15 ed alle 19.05 il mare spazza la cittadina, con run-up di 15-16 metri. Tutto è travolto, compresi alcuni vagoni ferroviari. Diverse navi rompono gli ormeggi e vengono trascinate via, alcune sugli scogli, altre fino sulla terraferma, per oltre un km, dove vengono depositate dalle onde senza subire danni particolari: è il caso del Wateree, una goletta statunitense, il cui relitto arrugginito è oggi ancora visibile nella stessa posizione in cui è stato lasciato dal mare 145 anni fa.
Il disastro è totale: alcuni edifici vengono spazzati via totalmente, fondazioni comprese. La zona circostante il porto di Arica non esiste più: si stimano circa 300 morti solo per lo tsunami, sopravvissuti al sisma ma che stazionavano nella zona del porto. Tutta la costa da Lima a Valdivia subisce danni a causa delle onde. Pisco e Tambo (500 morti) sono tra le cittadine più colpite in Perù mentre i maggiori run-up si registrano a Chala (una trentina di vittime) ed Islay, con 12 metri mentre a Callao le onde non superano i 5 metri di altezza: si tratta dello tsunami più disastroso che abbia colpito le coste peruviane in tempi storici. Arica a parte, in Cile è Iquique la città più colpita dallo tsunami: dopo il consueto ritiro del mare, onde alte una dozzina di metri sommergono la zona del porto e gli edifici in prossimità della spiaggia, causando circa 150 morti. A Pisagua e Caldera si registrano danni alle navi in rada ed alle infrastrutture dei porti mentre a Valdivia, posta circa 2000 km a sud dell’epicentro, le onde raggiungono i 5 metri d’altezza. Praticamente, l’intera costa sudamericana a sud dell’Equatore risente dello tsunami.
Transpacifico. Lo tsunami però non si limita a colpire le coste sudamericane. Il primo a studiare seriamente il fenomeno, indagando a fondo e ricostruendo il moto ondoso attraverso diverse testimonianze, è il geologo tedesco Ferdinand von Hochstetter. La sua ricostruzione suscita ammirazione ancora oggi: si tratta in pratica di uno studio pionieristico sull’evoluzione di uno tsunami transoceanico.
Le onde impiegano circa 15 ore per giungere in Nuova Zelanda dove viene particolarmente colpita Chatham Island, con run-up di circa 10 metri e diversi villaggi maori distrutti. Nonostante le ondate giungano intorno all’una di notte, gli abitanti sono svegliati dal rombo dello tsunami e riescono a rifugiarsi sulle alture. Altre zone neozelandesi in cui lo tsunami si esplica con particolare violenza sono la Great Barrier Island, nei pressi dell’attuale Auckland, e la penisola di Banks dove vengono distrutti diversi ponti ed inondati alcuni villaggi, senza però vittime accertate: in questo caso il mare si ritira e ritorna sulla costa per diverse ore, con ondate di potenza decrescente. Su tutta la costa orientale, sia nell’isola del Nord che in quella del Sud, le altezze medie delle onde raggiungono i 4-5 metri mentre le cittadine di Lyttleton, oggi prossima a Christchurch, e Oamaru risultano quelle che subiscono i danni principali.
Lo tsunami raggiunge, in circa 14 ore, anche l’arcipelago hawaiiano dove l’isola che subisce le conseguenze più gravi è la più grande ed orientale, Hawaii: qui, come in altre circostanze analoghe è la cittadina di Hilo a registrare i run-up più alti, 4.5 metri, ed a subire le maggiori devastazioni. Danni si verificano anche a Maui, con onde alte fino a 3.5 metri, a Molokai ed Honolulu dove il run-up si limita comunque al metro. Altre isole in cui lo tsunami provoca danni ma non vittime sono le Samoa (run-up di 3 metri) e le Marchesi la cui conformazione morfologica e la batimetria dei fondali, come già descritto, amplificano la potenza devastatrice delle onde. Alaska (altezze intorno ai due metri sull’isola di Kodiak), California (12 ore il tempo di arrivo ed oscillazioni di qualche decimetro), Australia ed Oregon altre zone in cui le onde di questo tsunami vengono registrate.
Infine, il Giappone: nonostante la distanza (17mila km!), come accade anche nel 1960, uno tsunami originatosi in Sud America colpisce l’arcipelago nipponico dove le ondate arrivano 22-23 ore, quasi un giorno intero, dopo lo sviluppo del sisma. L’intera costa orientale avverte l’onda che tuttavia risulta abbastanza limitata, con run-up mediamente intorno al metro e mezzo anche se in alcuni casi, ad esempio a Hakodate, l’altezza giunge fino a 3 metri.
Dunque un altro grande tsunami transoceanico, capace di colpire tre continenti e che conferma l’Oceano Pacifico come il mare più a rischio tsunami del nostro pianeta. Secondo un recente studio, la “fossa Perù-Cile”, in particolare l’area compresa tra le latitudini di 15°S e 24°S, rappresenta la sorgente tsunamigenica più probabile per un grande evento transoceanico nel prossimo futuro. Vedremo, prima o poi, se questa teoria sarà confermata.
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www.wikipedia.org