Ma il sole di cosa è fatto? E sopratutto, quando morirà?
Il contenuto di metalli di una stella determina in modo cruciale il suo comportamento e la durata del suo ciclo di vita. Nel caso del Sole, alcune differenze sulla stima della metallicità pongono qualche problema all’attuale modello della nostra stella e alle previsioni sulla sua fine
Natalie Wolchover/Quanta Magazine
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Come ogni stella nel fiore degli anni, il Sole è composto principalmente da atomi di idrogeno che si fondono due a due in elio, liberando un’immensa energia nel processo. Ma è la minuscola concentrazione di elementi più pesanti, che gli astronomi chiamano metalli, a controllare il suo destino. “Anche una piccolissima frazione di metalli è sufficiente a modificare il comportamento di una stella”, ha spiegato Sunny Vagnozzi, fisico dell’Università di Stoccolma, in Svezia, che studia la “metallicità” del Sole. Quanto più è metallica una stella, tanto più è opaca (poiché i metalli assorbono le radiazioni). E a sua volta l’opacità è collegata a dimensioni, temperatura, luminosità, durata del ciclo vitale di una stella e ad altre proprietà cruciali. “La metallicità, in sostanza, dice anche come morirà”, ha detto Vagnozzi.
Ma la metallicità del Sole, oltre a rivelare la sua storia, serve anche come una sorta di metro di paragone per calibrare le misurazioni della metallicità di tutte le altre stelle, e quindi età, temperature e altre proprietà di stelle, galassie e quant’altro. “Se cambiamo il metro di paragone solare, allora automaticamente deve cambiare la nostra comprensione del cosmo”, ha detto Martin Asplund, astrofisico dell’Australian National University. “Quindi avere una conoscenza accurata della composizione chimica solare è estremamente importante”.
Tuttavia, misurazioni sempre più precise della metallicità del Sole hanno sollevato più questioni di quante ne abbiano risolte. L’incapacità degli astronomi di risolvere il mistero conosciuto come problema della metallicità solare, dell’abbondanza solare, della composizione solare o della modellazione solare
suggerisce che potrebbe esserci “qualcosa di fondamentalmente sbagliato” nella loro comprensione del Sole, e quindi di tutte le stelle, ha detto Vagnozzi. “Sarebbe una cosa enorme”.

Vent’anni fa, gli astronomi avevano pensato di avere classificato il Sole. Metodi sia diretti sia indiretti avevano permesso di inferire un contenuto di metalli pari a circa l’1,8 per cento, con una felice convergenza che aveva portato gli astronomi a credere di aver compreso non solo la lunghezza del loro metro di paragone solare ma anche come funziona il Sole. Negli anni duemila, però, misurazioni spettroscopiche sempre più precise della luce solare – un indice diretto della composizione del Sole, poiché nello spettro ogni elemento crea linee di assorbimento rivelatrici – hanno indicato una metallicità molto più bassa, di appena l’1,3 per cento. Nel frattempo, l’eliosismologia, l’approccio concorrente e indiretto per inferire la metallicità in base a come le onde sonore di diverse frequenze si propagano all’interno della nostra stella, ha continuato a indicare un contenuto dell’1,8 per cento.
Ma se la teoria degli astronomi riguardo al Sole, chiamata “modello solare standard”, è corretta, allora spettroscopia ed eliosismologia dovrebbero essere d’accordo. Cioè, gli astronomi dovrebbero essere in grado di usare le misure eliosismologiche per calcolare la profondità di un importante strato limite all’interno Sole dove la radiazione lascia il posto alla convezione. E secondo le equazioni questa profondità si riferisce all’opacità del Sole, quindi alla sua metallicità. Questa sequenza di calcoli dovrebbe prevedere lo stesso valore per la metallicità misurata direttamente dalla luce solare con gli spettroscopi. Ma non è così.
“È un problema non solo per la fisica solare, ma anche per l’astronomia nel suo insieme”, ha detto Asplund, alla guida del gruppo che ha effettuato le precise misurazioni spettroscopiche. “O gli astronomi non capiscono come misurare le abbondanze degli elementi nelle stelle usando la spettroscopia, oppure la nostra comprensione dell’interno delle stelle e di come oscillano è incompleta”, ha dichiarato. “In ogni caso, il problema ha importanti ricadute, dal momento che le stelle sono i parametri fondamentali del cosmo: l’astrofisica stellare fornisce molte basi all’astronomia e alla cosmologia moderna”.
Dopo aver parlato per anni di quello che sarebbe potuto andare storto – comprese le speculazioni sulla materia oscura nel Sole – il dibattito ha raggiunto “un punto morto”, ha detto Sarbani Basu, astrofisico della Yale University. Ma c’è una speranza. Di recente, un debole indizio della metallicità solare è venuto dalle fugaci particelle provenienti dalla nostra stella e chiamate neutrini solari. Diverse reazioni di fusione nucleare producono neutrini solari di differenti energie, quindi le particelle portano con sé informazioni sulla composizione del Sole. In una conferenza tenutasi il mese scorso a Heidelberg, in Germania, l’esperimento Borexino ai Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, in Italia, ha rilevato neutrini solari che favoriscono lievemente la stima superiore dell’1,8 per cento della metallicità del Sole.
Se questa stima di metallicità elevata è effettivamente corretta, allora solleva questioni su che cosa è andato storto con le misurazioni spettroscopiche di Asplund e collaboratori. “Se il problema è con la spettroscopia, probabilmente facciamo errori simili analizzando altre stelle”, ha detto Asplund, il che avrebbe un impatto sulle interpretazioni dell’evoluzione chimica di stelle e galassie come la Via Lattea.
Ma Asplund difende la sua stima spettroscopica dell’1,3 per cento. Cita uno studio del 2015 pubblicato su “Nature” che indica che nelle condizioni di alta pressione del nucleo del Sole i metalli potrebbero aumentare l’opacità anche più di quanto si pensasse in precedenza. La correzione di questa differenza nel modello solare standard potrebbe portare le stime eliosismologiche e quelle basate sui neutrini fino all’1,3 per cento di metallicità, ha detto.
Nei prossimi anni, il gruppo di Borexino si aspetta di rilevare i neutrini solari rari prodotti nel ciclo CNO, una reazione di fusione nel Sole in cui carbonio (C), azoto (N) e atomi di ossigeno (O) agiscono da catalizzatori per la fusione dell’idrogeno in elio. “I neutrini CNO sono fortemente influenzati dalla metallicità, quindi la loro misurazione potrebbe essere definitiva”, ha detto Andrea Pocar, fisico dell’Università del Massachusetts ad Amherst e membro della collaborazione Borexino.
Se verrà fuori che il Sole in realtà ha una metallicità solo dell’1,3 per cento, significherebbe che il modello solare standard prevede davvero un’opacità sbagliata. “Questo impatta essenzialmente su tutta l’astronomia – ha detto Asplund – dal momento che un’accurata comprensione dell’evoluzione stellare è alla base di quasi tutto ciò che facciamo.”
Le età stimate delle stelle e delle galassie dovrebbero essere riviste anche del 10-15 per cento. Sfortunatamente per il Sole (e per la vita futura sulla Terra), le stelle a bassa metallicità bruciano più velocemente il combustibile rispetto alle stelle a metallicità elevata, quindi il Sole dovrebbe morire circa un miliardo di anni prima di quanto pensassimo.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 5 luglio da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)