E’ partita la caccia agli oceani nelle profondità della Terra
Alcuni minerali idrati rivelano che il mantello terrestre potrebbe contenere più acqua di tutti gli oceani del nostro pianeta. Ma l’origine di questa acqua che potrebbe trovarsi a centinaia di chilometri di profondità resta ancora un mistero
di Marcus Woo/Quanta Magazine
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Un paio di centinaia di diamanti delle dimensioni di un ciottolo, estratti dal fango brasiliano, si trovano all’interno di una cassaforte della Northwestern University. Per alcuni, potrebbero non avere valore. “Sono messi male”, disse Steve Jacobsen, mineralogista della Northwestern. “Sembra che siano passati attraverso una lavatrice”. Molti sono scuri o gialli, ben diversi dalle gemme incontaminate dei sogni dei gioiellieri.
Eppure, per ricercatori come Jacobsen, questi frammenti di carbonio cristallino sono altrettanto preziosi, e non per il diamante in sé, ma per quello che è bloccato al loro interno: granelli di minerali forgiati a centinaia di chilometri di profondità nel manto terrestre.
Queste inclusioni minerali – alcune troppo piccole per essere viste anche al microscopio – offrono la possibilità di dare uno sguardo all’interno della Terra, altrimenti irraggiungibile. Nel 2014, alcuni ricercatori hanno intravisto qualcosa inglobato in questi minerali, qualcosa che, se non fosse per le origini profonde dei minerali, sarebbe stato irrilevante: acqua.
Non si tratta di vere e proprie gocce d’acqua, o molecole di H2O, ma dei suoi ingredienti, atomi di idrogeno e ossigeno incorporati nella struttura cristallina del minerale stesso. Questo minerale idrato non è bagnato. Ma quando fonde, libera acqua. La scoperta è stata la prima prova diretta che ci sono minerali ricchi di acqua a grande profondità, tra 410 e 660 chilometri, in una regione chiamata zona di transizione, incastonata tra il mantello superiore e quello inferiore.
Da allora, gli scienziati hanno trovato altre eccitanti prove della presenza di acqua. A marzo, un gruppo ha annunciato di aver scoperto diamanti dal mantello della Terra che racchiudono vera e propria acqua al loro interno. I dati sismici hanno anche mappato minerali di questo tipo
in gran parte dell’interno della Terra. Alcuni scienziati ora sostengono che un enorme serbatoio d’acqua potrebbe essere nascosto molto al di sotto dei nostri piedi. Se – considerando tutte le acque superficiali del pianeta alla stregua di un unico oceano – scoprissimo che ci sono svariati oceani sotterranei, dovrebbe cambiare il modo in cui gli scienziati pensano all’interno della Terra. Ma questo solleva anche un’altra questione: quale sarebbe l’origine di tutta quest’acqua?
Un mondo di acqua
Senza acqua, la vita come la conosciamo non esisterebbe. E nemmeno il pianeta vivo e dinamico che conosciamo oggi. L’acqua ha un ruolo fondamentale nella tettonica delle placche, innescando vulcani e aiutando parti del mantello superiore a fluire più liberamente. Tuttavia, la maggior parte del mantello è relativamente asciutto. Il mantello superiore, per esempio, è costituito principalmente da un minerale chiamato olivina, che non è in grado di immagazzinare molta acqua.
Ma sotto i 410 chilometri, nella zona di transizione, temperature e pressioni elevate comprimono l’olivina in una nuova configurazione cristallina chiamata wadsleyite. Nel 1987, Joe Smyth, mineralogista all’Università del Colorado, si rese conto che la struttura cristallina della wadsleyite sarebbe stata costellata di lacune. Queste lacune risultano essere perfette per gli atomi di idrogeno, che potrebbero sistemarsi comodamente in questi difetti e legarsi con gli atomi di ossigeno adiacenti già presenti nel minerale. Smyth ha scoperto che la wadsleyite può teoricamente catturare molto idrogeno, trasformandolo in un minerale idrato che produce acqua quando fonde. Per scienziati come Smyth, idrogeno significa acqua.
Più in profondità nella zona di transizione, la wadsleyite diventa ringwoodite. E in laboratorio, Jacobsen (che negli anni novanta si era laureato con Smyth) ha spremuto e riscaldato frammenti di ringwoodite per imitare le condizioni estreme della zona di transizione. I ricercatori che fanno esperimenti simili sia con wadsleyite sia con ringwoodite hanno trovato che nella zona di transizione questi minerali potrebbero contenere dall’1 al 3 per cento del loro peso in acqua. Considerando che la zona di transizione è un guscio di circa 250 chilometri di spessore che rappresenta circa il 7 per cento della massa terrestre (per confronto, la crosta è solo l’1 per cento), essa potrebbe contenere diverse volte l’acqua degli oceani della Terra.
Questi esperimenti, però, stimano solo la potenziale capacità in acqua. “Non è una misura di quanto è bagnata la spugna, è una misura di quanto può essere bagnata”, ha detto Wendy Panero, geofisica all’Ohio State University.
Né gli esperimenti erano necessariamente realistici, dato che i ricercatori potevano testare solo campioni di ringwoodite prodotti in laboratorio. A parte alcuni meteoriti, nessuno aveva mai osservato la ringwoodite in natura. Almeno, fino al 2014.
Indizi stuzzicanti
Mentre i tifosi di calcio accorrevano in Brasile per i mondiali del 2014, un piccolo gruppo di geologi si dirigeva verso le aree agricole attorno a Juína, una città a quasi 2000 chilometri a ovest di Brasilia. Erano alla ricerca di diamanti dragati dai fiumi locali.
Poiché i diamanti si formano grazie al calore e all’alta pressione del mantello, possono intrappolare frammenti di minerali. Poiché i diamanti sono così duri e rigidi, conservano questi minerali del mantello mentre vengono portati in superficie dalle eruzioni vulcaniche.
I ricercatori hanno acquistato più di 1000 cristalli mineralizzati tra i più macchiettati. Uno degli scienziati, Graham Pearson, ne ha portate alcune centinaia nel suo laboratorio all’Università dell’Alberta, dove, all’interno di un particolare diamante, con i colleghi ha scoperto ringwoodite dalla zona di transizione. Non solo, era ringwoodite idrata, ossia che conteneva acqua, circa l’1 per cento in peso.
“È una scoperta importante in termini di plausibilità”, ha dichiarato Brandon Schmandt, sismologo all’Università del New Mexico. Per la prima volta, gli scienziati hanno avuto un campione della zona di transizione, ed era idratato. “Dunque, non è pazzesco pensare che anche altre parti della zona di transizione siano idratate”.
Ma, ha aggiunto, “sarebbe un po’ folle pensare che un singolo cristallo rappresenti la media dell’intera zona di transizione”. I diamanti, dopo tutto, si formano solo in certe condizioni, e questo campione potrebbe provenire da un luogo eccezionalmente acquoso.
Per capire quanto possa essere diffusa la ringwoodite idrata, Schmandt ha collaborato con Jacobsen e altri per mapparla con le onde sismiche. A causa della convezione, la ringwoodite idrata può affondare e quando scende al di sotto della zona di transizione, la pressione crescente strizza l’acqua, provocando lo scioglimento del minerale. Proprio sotto la zona di transizione dove il materiale del mantello sta scendendo, queste piscine di minerali fusi possono rallentare bruscamente le onde sismiche. Misurando la velocità sismica al di sotto del Nord America, i ricercatori hanno scoperto che, in effetti, le piscine di questo tipo sembrano comuni al di sotto della zona di transizione. Un altro studio che misura le onde sismiche sotto le Alpi, in Europa, ha trovato un modello simile.
L’abbondante acqua del mantello ha ricevuto un’ulteriore conferma a marzo, quando un gruppo guidato da Oliver Tschauner, mineralogista all’Università del Nevada a Las Vegas, ha scoperto diamanti che contengono veri e propri pezzi di ghiaccio d’acqua: si tratta della prima osservazione di H2O libera esistente dal mantello. I campioni potrebbero dire di più sulle condizioni di umidità che hanno concorso alla formazione del diamante rispetto a quello che potrebbe fare l’esistenza di un qualsiasi serbatoio onnipresente. Ma poiché quest’acqua – una forma ad alta pressione chiamata ghiaccio VII – è stata trovata in diverse località dell’Africa meridionale e della Cina, potrebbe rivelarsi relativamente diffusa.
“Tra un paio d’anni potremmo scoprire che il ghiaccio VII è molto più comune”, ha detto Steve Shirey, geologo alla Carnegie Institution for Science . “Ci sta dicendo che abbiamo la stessa storia che ci sta raccontando la ringwoodite idrata.”
Ma se la storia è che il mantello è pieno d’acqua, da dove sia arrivata resta un giallo.
Origini acquose
Secondo il racconto standard, l’acqua della Terra è stata importata. La regione attorno al Sole dove si stava formando il pianeta era troppo calda per permettere la condensazione di composti volatili come l’acqua. Così, alla sua nascita la Terra era arida, per diventare umida solo dopo che i corpi ricchi d’acqua provenienti dalle regioni più remote del sistema solare si schiantarono sul nostro pianeta, trasportando acqua sulla sua superficie. Probabilmente la maggior parte di questi corpi non erano comete, ma asteroidi detti condriti carboniose (o carbonacee), che possono essere formate fino al 20 per cento, in peso, da acqua, immagazzinandola sotto forma di idrogeno come ringwoodite.
Ma se c’è un’enorme riserva d’acqua nella zona di transizione, la storia dell’origine dell’acqua dovrebbe essere cambiata. Se la zona di transizione potesse immagazzinare l’1 per cento del suo peso sotto forma di acqua – una stima moderata, ha detto Jacobsen – conterrebbe il doppio degli oceani del mondo. Il mantello inferiore è molto più asciutto, ma anche molto più voluminoso. Potrebbe immagazzinare tutti gli oceani del mondo (di nuovo). E c’è acqua anche nella crosta. Affinché la subduzione incorpori una simile quantità d’acqua dalla superficie al tasso corrente, ci vorrebbe molto più tempo di quella che è l’età del pianeta, ha detto Jacobsen.
Se fosse così, almeno una parte dell’acqua all’interno della Terra deve essere sempre stata qui. Secondo alcune teorie, nonostante il calore del sistema solare primordiale, le molecole d’acqua potrebbero aver aderito alle particelle di polvere che si sono aggregate per formare la Terra.
Eppure la quantità totale di acqua nel mantello è molto incerta, secondo Schmandt e altri, nella sua parte più bassa, il mantello potrebbe contenere solo la metà dell’acqua degli oceani del mondo.
Nella parte alta, il mantello potrebbe contenere due o tre volte la quantità d’acqua negli oceani. Se ce ne fosse molto di più, il calore aggiuntivo della giovane Terra avrebbe reso il mantello troppo acquoso e fluido per rompere le placche continentali, e la tettonica delle placche di oggi potrebbe non aver mai avuto inizio. “Se avete molta acqua in superficie, è grandioso”, ha detto Jun Korenaga, geofisico all’Università di Yale. “Se ne avete molta nel mantello, allora non è grandioso per niente.”
Ma restano molte incertezze. Un grande punto interrogativo è il mantello inferiore, dove le pressioni estreme trasformano la ringwoodite in bridgmanite, che non può contenere molta acqua. Studi recenti, però, suggeriscono la presenza di nuovi minerali contenenti acqua, denominati fase D e fase H. Che cosa siano esattamente questi minerali e quanta acqua potrebbero immagazzinare rimane una questione aperta, ha detto Panero. “Poiché si tratta di una questione decisamente aperta, penso che il contenuto in acqua del mantello rimanga un problema altrettanto aperto.”
Misurare l’accumulo di acqua all’interno della Terra non è facile. Un modo promettente è misurare la conducibilità elettrica del mantello, ha detto Korenaga. Ma queste tecniche non sono ancora così avanzate come, per esempio, l’uso delle onde sismiche. Tuttavia, se le onde sismiche offrono una visione globale dell’interno della Terra, il quadro non è sempre chiaro. I segnali sono sottili e i ricercatori hanno bisogno di dati più precisi e di una migliore comprensione più realistica delle proprietà del materiale del mantello, al di là della ringwoodite e della wadsleyite. Questi due minerali costituiscono circa il 60 per cento della zona di transizione, il resto è una miscela complessa di altri minerali e composti.
Sarebbe utile anche trovare più diamanti con minerali idrati. Nel laboratorio di Jacobsen, questo lavoro spetta alla Michelle Wenz. Per analizzare ogni singolo diamante la scienziata usa i potenti raggi X prodotti all’Argonne National Laboratory per mappare la posizione di ogni macchiolina minerale, che potrebbero essere una mezza dozzina. Poi, per identificare i minerali, spara i raggi X contro ciascuno di essi e misura come i raggi si diffusi dalla sua struttura cristallina. Delle centinaia di diamanti presenti in laboratorio, tutti provenienti dal Brasile, ne sono stati testati circa 60. Finora non è stata trovata acqua.
Acqua o no, ha detto Wenz , queste capsule dal profondo sono comunque sorprendenti. “Ognuno è unico”, ha detto. “Sono molto simili a fiocchi di neve.”