La percezione distorta delle emergenze
La nostra percezione della realtà è soggetta a una distorsione sistematica: gli stimoli minacciosi che ci fanno sentire una situazione come un’emergenza sono percepiti come intensi e frequenti anche quando in realtà sono in calo. Il fenomeno può influenzare una vasta gamma di decisioni importanti
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Quando una minaccia o una situazione di emergenza si affievolisce – che si tratti dei tassi di povertà, della diffusione dei reati o di qualche forma di discriminazione – continuiamo a percepirla come se fosse costante a causa di un meccanismo cognitivo generale.
A dimostrare la pervasività di questo fenomeno – detto di ri-concettualizzazione del problema – è un gruppo di ricercatori della Harvard University a Cambridge, in Massachusetts, e della Dartmouth University ad Hanover, in New Hampshire, che firmano un articolo su “Science”.
Quando i problemi che abbiamo di fronte diventano meno gravi, “diventiamo più critici, e questo può indurci a concludere erroneamente che la situazione non è affatto migliorata. Il progresso, a quanto pare, tende a mascherarsi”, spiega Daniel T. Gilbert, coautore dello studio.
L’obiettivo di Gilbert e colleghi era comprendere meglio il perché della discrepanza fra il miglioramento dei problemi sociali, rilevato statisticamente, e la percezione diffusa della loro persistenza, se non addirittura del loro aggravamento, rilevata dai sondaggi.
I ricercatori hanno sottoposto ad alcuni soggetti una lunga serie di volti la cui espressione passava progressivamente dal minaccioso al neutrale, chiedendo loro di classificarli in una o nell’altra categoria. Nella prima sessione di prove è risultato che circa metà dei volti veniva classificata come minacciosa. Tuttavia, quando il test veniva ripetuto dopo aver eliminato eliminando via via sempre più facce minacciose, la classificazione non cambiava: i soggetti continuavano a ritenere minacciosa la metà circa dei volti mostrati. Ciò
significa che alcuni volti prima considerati neutri erano passati alla categoria “minacciosi”.
A mostrare che all’origine di questo fenomeno è un processo percettivo generale è stato un test analogo in cui al posto dei volti era mostrata una lunga serie di punti (un migliaio) che sfumava da un viola molto intenso a un blu netto. Anche quando erano stati eliminati molti punti blu, a giudizio dei partecipanti il loro numero era rimasto stabile: punti già considerati viola erano “diventati” blu.
L’aspetto sconcertante, che dimostra la forza di questa distorsione percettiva, è che persisteva anche quando i partecipanti erano stati avvertiti che i ricercatori stavano studiando il fenomeno, e perfino quando è stato offerto loro del denaro perché facessero attenzione a evitarlo.
A volte, osserva Gilbert, il cambiamento concettuale indotto dalla prevalenza è perfettamente sensato, espressione della capacità di modulare la risposta in funzione delle circostanze: quella che può apparire un’emergenza in una certa situazione, può non richiedere un intervento prioritario in altre, e viceversa. Tuttavia in altri casi potrebbe rappresentare un problema.
“Ampliare la ridefinizione di un problema può essere visto da alcuni come un eccesso di politicamente corretto: la riduzione della prevalenza della discriminazione, per esempio, ci farà semplicemente iniziare a chiamare discriminatori un maggior numero di comportamenti. Altri la vedranno come un aumento della sensibilità sociale, come rendersi conto di problemi che prima non riconosciuti”, ha concluso Gilbert, osservando che la ricerca non prende posizione sulla questione, ma che la semplice consapevolezza del problema non basta a prevenirlo e potrebbe esserci bisogno di meccanismi istituzionali per proteggersi da esso.