Golfo del Messico: a 8 anni dal disastro l’oceano è ancora pieno di petrolio

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Golfo del Messico: a 8 anni dal disastro l’oceano è ancora pieno di petrolio

Otto anni sono passati da quando l’umanità ha creato uno dei più grandi disastri ambientali della storia: la fuoriuscita di idrocarburi dalla piattaforma Deepwater Horizon, che portò allo scarico in mare di 4,9 milioni di barili di petrolio. Una marea nera dalla quale la natura non si è ancora ripresa.
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L’esplosione e l’affondamento, nel 2010, della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico riversò greggio, schiuma e additivi chimici ad un ritmo che allora si stimò intorno ai 5mila barili di petrolio al giorno.

L’area in cui il petrolio andò a finire ospita più di 8mila specie, tutte minacciate dalle perdite di idrocarburi. Uno studio del 2014 sugli effetti della fuoriuscita di petrolio sul tonno rosso scoprì che le tossine da fuoriuscite di petrolio possono causare battiti cardiaci irregolari che portano all’arresto cardiaco, mentre un altro studio mise in evidenza che quelle stesse tossine possono danneggiare gravemente gli organi interni dei predatori e persino degli esseri umani nell’area, contrariamente a quanto disse la British Petroleum, la compagnia petrolifera responsabile dello sversamento.

A peggiorare le cose, come ci sembrerà ovvio, è stato il potente solvente chimico Corexit EC9500A, precedentemente usato solo come applicazione superficiale, ma poi rilasciato sott’acqua in quantità senza precedenti. L’obiettivo era quello di rendere l’olio più facilmente biodegradabile, ma il piano si è ritorto contro quando la miscela di olio e disperdente permeava la catena alimentare attraverso lo zooplancton, da dove si diffondeva attraverso l’intero ecosistema.

I prodotti chimici della fuoriuscita sono stati trovati in uccelli migratori fino al Minnesota, per intenderci, con un effetto devastante sulla fauna marina. Uno studio del 2016 ha riportato che l’88% di circa 360 delfini neonati o nati morti nell’area di sversamento “presentava polmoni anormali o sottosviluppati”, rispetto al 15% in altre aree.

Lo studio sui vecchi naufragi

Un disastro scioccante, insomma, e le cose probabilmente non andranno meglio. Un nuovo studio dell’Università del Sud Mississippi ha infatti scoperto che gli elementi costitutivi fondamentali della vita nell’oceano sono stati modificati, dimostrando che l’oceano non si è ancora ripreso da quel massiccio sversamento di petrolio.

“Nei siti più vicini allo sversamento, la biodiversità è stata appiattita – ha detto l’autrice principale dello studio ed ecologista microbiologica dell’Università del Sud del Mississippi, Leila Hamdan. C’erano meno tipi di microbi. Questo è un ambiente freddo e buio dove qualsiasi cosa si depositi è destinata a durare molto più di quanto abbiamo visto sulle coste della Florida. Pertanto è difficile anche solo immaginare che tutti gli effetti legati allo sversamento siano finiti e completamente risolti”.

I ricercatori hanno prelevato campioni di sedimenti dalle carcasse di vecchi naufragi, considerati punti caldi della biodiversità, sparsi fino a 150 km dal sito di sversamento, per studiare come e se la micro-biodiversità si è ripresa.

“Oltre 2mila naufragi storici che attraversano 500 anni di storia riposano sul fondo del Golfo del Messico. I naufragi fungono da scogliere artificiali e punti caldi della biodiversità fornendo substrato duro, qualcosa di raro nelle regioni oceaniche profonde. Il Deepwater Horizon (DWH) ha sversato petrolio greggio nel Golfo profondo. A causa delle interazioni fisiche, biologiche e chimiche, l’olio DWH è stato depositato sul fondale marino, dove sono presenti relitti storici. Questo studio ha esaminato i microbiomi dei sedimenti in sette naufragi storici”.

I risultati non sono incoraggianti: i microbi stanno ancora lottando per riprendersi e, a mano a mano che vengono colpiti, viene colpita anche l’intera catena alimentare.

E non finisce qui: Donald Trump ha ben pensato di smantellare l’ordinanza di Obama immediatamente dopo il disastro della Horizon e che rimetteva al Governo federale la responsabilità di assicurare la protezione e la “gestione oculata” dei mari e dei Grandi laghi americani.

Niente più di tutto ciò: il programma di Trump favorirà senz’altro una nuova ondata di installazioni d’estrazione anche in zone particolarmente sensibili, come nell’Artico.

Ciò significa che questo tipo di disastro è solo una goccia in mezzo all’oceano di una politica tutt’altro che ambientalista.

Germana Carillo

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